Messaggi del 17/01/2012

Buon compleanno,Alì!

Post n°1666 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Ciao Alì.
Oggi compi 70 anni.
Io sono una che ti ha visto boxare.Ero una bambina sulle ginocchia di mio padre quando combattevi contro Patterson e Liston,e restavo incantata a guardarti "ballare" sul ring.Un po' più grandina ti ho ammirato quando ti sei rifiutato di combattere una guerra ingiusta.Ho gioito quando hai ripreso a combattere,ti hovisto trionfare su Foreman.
Adesso sei molto malato.Stai combattendo da anni contro il Parkinson,che io conosco molto bene,dato che si è portato via mio padre.Ogni volta che ti vedo mi si riempiono gli occhi di lacrime,vorrei abbracciarti.
Ti auguro buon compleanno,Alì,grande uomo e grande pugile!

 
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Scrittori dimenticati:Thomas Merton

Post n°1665 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

omas Merton (Prades, 31 gennaio 1915 – Bangkok, 10 dicembre 1968) è stato uno scrittore e religioso statunitense dell'ordine dei monaci Trappisti, autore di oltre sessanta tra saggi e opere in poesia e in prosa dedicati soprattutto ai temi dell'ecumenismo, del dialogo interreligioso, della pace e dei diritti civili.


Biografia

Nacque nel 1915 in Francia dal neozelandese Owen e dalla statunitense Ruth Jenkins, entrambi pittori; a causa dello scoppio della prima guerra mondiale, nel 1916 si trasferì con la famiglia nella casa dei nonni materni a Douglaston, vicino a New York: dopo la perdita della madre, morta di cancro nel 1921, si trasferisce con il padre prima alle isole Bermude, e nel 1925 di nuovo in Francia, a Saint-Antonin.

Nel 1926 inizia a Montauban gli studi liceali, che completa nel 1932 ad Oakham, in Inghilterra: nel frattempo perde anche il padre, morto di tumore al cervello nel 1931, ma grazie ad una borsa di studio riesce comunque ad iscriversi al Clare College di Cambridge, dove studia lingue e letterature straniere.

Nel 1933 intraprende un viaggio a Roma, dove viene colpito particolarmente dalle basiliche paleocristiane, e, nel Santuario delle Tre Fontane, inizia a maturare l'idea di convertirsi dall'anglicanesimo al cattolicesimo.

Nel 1934 abbandona Cambridge, dove la sua condotta disordinata e dissoluta gli aveva irrimediabilmente compromesso la prosecuzione degli studi: completa la sua carriera universitaria alla Columbia University di New York, dove consegue il titolo di Bachelor of Arts nel 1938 e, nel 1939, il Master of Arts discutendo una tesi sulla poesia di William Blake. Intanto, grazie soprattutto a docenti come il cattolico Dan Walsh, che gli fa scoprire l'aspetto sociale del Vangelo, completa il suo percorso di conversione e, il 16 novembre 1938, viene accolto nella Chiesa cattolica nella parrocchia newyorchese del Corpus Christi.

Dopo la laurea, per qualche anno si dedica all'insegnamento della letteratura inglese presso la Columbia University e poi presso la St. Bonaventure University di Allegany, gestita dai frati francescani. In seguito a un ritiro spirituale presso l'Abbazia Trappista di Nostra Signora di Gethsemani, nei pressi di Bardstown, nel Kentucky, rimane profondamente colpito dalla vita di solitudine e preghiera dei monaci e matura la decisione di entrarvi: il 10 dicembre del 1941 vi viene ammesso come postulante e il 19 marzo 1944 emise la sua prima professione religiosa, assumendo il nome di Louis; il 19 marzo 1947 pronunciò i voti solenni, diventando monaco; nel frattempo si dedicò agli studi teologici e il 26 maggio 1949 venne ordinato sacerdote.

In quegli anni perde anche suo fratello John Paul, caduto in combattimento e disperso nel Mare del Nord durante la II Guerra Mondiale: un evento che contribuì molto a far maturare in lui una profonda avversione nei confronti delle guerre che lo porterà a diventare uno dei principali punti di riferimento del movimento pacifista degli anni sessanta. Si schierò apertamente anche a sostegno del movimento non-violento per i diritti civili, che egli definì come "il più grande esempio di fede cristiana attiva nella storia sociale degli Stati Uniti". Fu amico di papa Giovanni XXIII.

Durante la guerra del Vietnam, Merton maturò un profondo interesse per il monachesimo buddista e nel 1968 intraprese un lungo viaggio in oriente, incontrando anche il Dalai Lama che per lui ebbe modo di manifestare profonda stima; durante questo viaggio trovò la morte, folgorato a causa di un ventilatore difettoso.
« Io, Signore Iddio, non ho nessuna idea di dove sto andando.

Non vedo la strada che mi sta davanti.
Non posso sapere con certezza dove andrò a finire.
Secondo verità, non conosco neppure me stesso
e il fatto che penso di seguire la tua volontà non significa che lo stia davvero facendo.
Ma sono sinceramente convinto che in realtà ti piaccia il mio desiderio di piacerti
e spero di averlo in tutte le cose, spero di non fare mai nulla senza tale desiderio.
So che, se agirò così, la tua volontà mi condurrà per la giusta via,
quantunque io possa non capirne nulla.
Avrò sempre fiducia in te,
anche quando potrà sembrarmi di essere perduto e avvolto nell'ombra della morte.
Non avrò paura,
perché tu sei con me e so che non mi lasci solo di fronte ai pericoli. »


(Tomas Merton, Preghiere)

 
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Scrittori dimenticati:Nino Salvaneschi

Post n°1664 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Nino Salvaneschi nacque a Pavia il 3 dicembre 1886. Iniziò la sua carriera giornalistica molto giovane, collaborando a vari quotidiani: la Gazzetta del Popolo, la Stampa di Torino, la Tribuna di Roma e il Corriere della sera di Milano; è stato anche tra i fondatori del giornale sportivo Guerin Sportivo. Durante la prima guerra mondiale si arruolò nella marina svolgendo con senso del dovere azioni che andavano contro i suoi principi d’uomo di pace e di libertà e alla fine del conflitto manifestò tutta la sua contrarietà con alcuni scritti raccolti e pubblicati nel libro Uccidiamo la Guerra. Sposò una donna che ebbe molta importanza nel suo destino d’uomo e di scrittore, descrivendola come una creatura mandatagli da Dio e insieme andarono ad abitare a Capri, dove inizierà a scrivere i primi abbozzi del libro Sirénide.

In seguito fu colpito da una grave malattia, con un susseguirsi di degenze ospedaliere, prima in quella di Rodi poi all’ospedale della Marina di Piedigrotta di Napoli. Questa lunga parentesi forzata della sua vita gli servì per trovare un equilibrio religioso. La sua inquietudine si dibatteva tra Gesù e Buddha.
Tutto cominciò dalla lettura di un piccolo libro che ebbe in regalo dalle suore infermiere, l’Imitazione di Cristo: questo fu il primo segno della crisi, ma risultò poi nel tempo essere stata la lettura più utile della sua vita, e lo avviò verso la completa devozione alla Chiesa Cattolica. Da quel momento la sua vita fu un peregrinare verso mete che a quell’epoca erano un "refugium peccatorum" per centinaia di fedeli: Assisi e San Giovanni Rotondo da Padre Pio di Pietrelcina che conobbe personalmente nel 1919.

Per alcuni anni lavorò come giornalista in Belgio e nel 1921 fondò a Bruxelles L'époque nouvelle, con l'intento di far conoscere l'Italia in quel paese, quando dovette rientrare in Italia a Torino nel 1923 a causa di una cecità permanente e totale, colpito nel fisico ma non nello spirito, continuò a raccogliere pur con gran difficoltà i suoi scritti di letteratura in oltre 30 libri. Il poeta Tagore lo esortò in quest’impresa con l’invito: "Se vuoi essere un cantastorie cieco, guarda la tua vita riflessa dentro di te e scrivi". L’ultimo lavoro che scrisse prima di diventare cieco, fu Sirenide . Da questo tragico evento la sua vita fu confortata solo dall’aiuto che dedicava ai suoi compagni per opere di tipo assistenziali.

Nel 1926 organizzò un corteo di persone cieche e le guidò in pellegrinaggio da Padre Pio di Pietrelcina, portando in dono un giglio, un olivo e un biancospino, simboli di purezza, umiltà, e tribolazioni: e il frate diventò per molti anni la sua guida spirituale.
Morì a Torino nel 1968.

Il percorso religioso [modifica]

Salvaneschi è stato definito da alcuni critici Il cantastorie di Dio colui che ha vissuto per regalare agli uomini di poca vista la meravigliosa luce della vita. Uomo di poco rumore privo d’ogni scandalo umanistico si dedicò alla sua gran passione, quella di trasmettere il suo amore, la sua fede attraverso la stesura di più opere, insegnando ad amare la vita e ad avere fede nei momenti di sconforto: proprio lui che rimase vittima di una grave malattia, quale la cecità, ha insegnato ad amare Dio e della sua vita ha fatto un bastone su cui appoggiarsi ed uno specchio a cui specchiarsi.

Salvaneschi è stato un uomo che vedeva dentro di sé senza paura di scoprire realtà che non poteva vedere. Ciò gli permetteva - data la sua situazione di non vedente - di divulgare una saggezza pari al suo amore verso la vita. Uno dei pochi, fu un poeta cieco ad inneggiare all’amore. Scrisse con intenzioni moraleggianti e religiose, avendo come ispiratrice l’oscurità della notte: efficace e toccante un suo scritto :

« Per quanto mi concerne, non muterei il mio destino di scrittore cieco con quello di nessun altro, anche perché mi consente di dire quello che vedo e di vedere chiaramente il mio sentiero terreno. E spesso ho vergogna di non poter offrire che una parola. Una parola soltanto… »

 

L’Associazione Nazionale ciechi - della quale fu per tanto tempo presidente - ha istituito in sua memoria il Premio Nino Salvaneschi per il giornalismo. In una delle sue conferenze a difesa dei suoi colleghi ciechi pronunciò queste parole:

« Noi siamo cavalli di razza abituati alla lotta e alla resistenza: i ciechi d'Europa per vincere la loro battaglia devono avere organizzazioni forti, unite, consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri.. »

 

 
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Scrittrici dimenticate:Sigrid Undset

Post n°1663 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Sigrid Undset (1882-1949) è uno dei tre scrittori norvegesi ad essere stato insignito del Premio Nobel per la letteratura. L’ultima dopo il drammaturgo nazionale Bjørnstjerne Bjørnson che ha ricevuto il premio nel 1903 e Knut Hamsun che lo ha ricevuto nel 1920. La Undset ricevette il premio nel 1928 per le imponenti descrizioni della vita medievale norvegese, così infatti si espresse all’epoca il Comitato Nobel per la letteratura in Svezia. Si trattava di due cicli di romanzi ambientati nel medioevo del 1200, tre volumi su “Kristin Lavransdatter” e quattro volumi su “Olav Audunssøn”.
Questi romanzi medievali, e “Kristin Lavransdatter” in particolare, ebbero all’epoca un successo mondiale. Nel suo testamento Alfred Nobel scrisse che il premio per la letteratura doveva essere assegnato a scrittori “di opere magistrali di tendenza idealistica”, ed i libri della Undset potevano tranquillamenti essere inseriti in questa elastica categoria. Ma, più che la tendenza idealista, è stata l’imponente arte della narrazione ad affascinare i lettori di tutto il mondo. Ancora prima che ricevesse il premio Nobel, i suoi libri erano stati tradotti nelle principali lingue e dopo il 1928 sono stati pubblicati si può dire in tutte le lingue del mondo. Oggi, a 70 anni di distanza, “Kristin Lavransdatter” viene letto in tutto il mondo, da sempre più nuove generazioni.
E’ praticamente l’unica opera della Undset ad essere conosciuta al di fuori della Norvegia. In patria è tutto il contrario, come ho potuto constatare quando ho pubblicato una biografia di Sigrid Undset nel 1989. Da tutti gli angoli della Norvegia, da giovani e meno giovani, da donne e uomini ho ricevuto lettere che mostrano come Sigrid Undset goda di un crescente numero di lettori nonostante questa sia l’era della televisione. I suoi libri continuano ad essere letti.
E questo non si limita soltanto ai romanzi medievali. La sua opera comprende ben 36 libri, di cui i romanzi medievali costituiscono una parte, i romanzi contemporanei ambientati prima a Christiania e poi ad Oslo dalla fine del secolo fino agli anni 1930 un’altra parte, ed i saggi letterari e la raccolta di articoli storici una terza parte. Ci troviamo in presenza di una produzione molto vasta ed è evidente che una nuova generazione di lettori in Norvegia lo ha scoperto.
Nessuno dei suoi libri lascia il lettore indifferente. La sua fantastica capacità narrativa, la sua profonda e realistica comprensione dei labirinti della mente umana attraverso i tempi, le sue conoscenze storico-letterarie, acquisite di persona, la conoscenza concreta della natura e la consapevolezza della sua interazione con l’uomo: Sigrid Undset racchiude in sè una ricchezza sia emozionale che intellettuale da cui attingere.
Chi era Sigrid Undset? Può essere interessante notare che è nata lo stesso anno di Virginia Woolf e James Joyce e tre anni prima di D.H. Lawrence e Karen Blixen. Se si esclude Lawrence, per il quale nutre un vivo interesse negli anni 1930, nessuno di questi autori avrà su di lei una forte influenza dal punto di vista letterario.
Ma appartengono alla stessa generazione, sono contemporanei ognuno nel proprio angolo di Europa. E anche se le rispettive produzioni letterarie si sarebbero sviluppate in direzioni differenti, hanno ugualmente una cosa in comune: sono i figli di una Europa in crisi profonda, e ne sono profondamente consapevoli.
I temi di Sigrid Undset sono chiaramente norvegesi, ma allo stesso tempo ugualmente europei, nello stesso modo in cui i temi di James Joyce hanno radici intensamente ed esclusivamente irlandesi.
Nel caso di Sigrid Undset questo deriva dalla sua adolescenza. L’ambiente in cui è cresciuta era un ambiente europeo, norvegese, scandinavo. Il padre, Ingvald Undset, era un archeologo di fama internazionale il cui settore di specializzazione era l’Età del Ferro in Europa ed i settori secondari erano il Norreno e la preistoria europea. Per svolgere la sua professione ha effettuato molti viaggi e ricerche archeologiche in tutta l’Europa. La madre, Charlotte Undset, era danese. Molto partecipe al lavoro del marito, parlava perfettamente tedesco e francese ed aveva una profonda conoscenza della cultura nordica ed europea.
Sigrid Undset nacque il 20 maggio 1882 a Kalundborg in Danimarca, nell’elegante casa natale della madre sulla piazza del mercato della cittadina.
Sigrid era la primogenita delle tre figlie della coppia. La famiglia si trasferì in Norvegia quando Sigrid aveva due anni, a causa della malattia del padre, che gli impedì di proseguire i viaggi di studio per l’Europa.
Sigrid Undset crebbe quindi a Christiania, come Oslo si chiamava a quel tempo. I primi 11 anni della sua vita furono molto influenzati dalla grave malattia del padre, ma anche dalla sua notevole cultura storica. La piccola Sigrid ha imparato presto sia i segreti dell’archeologia che le saghe norrene ei i canti popolari della Scandinavia.
Quando Sigrid aveva 11 anni il padre morì, a soli 40 anni. La madre rimase sola con le tre figlie da crescere e scarsi mezzi economici. Questa tragedia influenzerà moltissimo l’infanzia e l’adolescenza della scrittrice. Dovette rinunciare all’idea di intraprendere gli studi universitari. Dopo gli esami di scuola media frequentò un corso annuale per segretaria commerciale e, all’età di 16 anni si impiegò come segretaria in una grande ditta di ingegneri, di proprietà tedesca, a Christiania. Era questo qualcosa per cui era portata? Non era questo il problema, doveva guadagnarsi da vivere per aiutare la mamma e le due sorelle.
Per dieci anni ha lavorato per la stessa ditta in qualità di segretaria ricoprendo un incarico sempre più di fiducia. Spesso odiava questo lavoro e sentiva che stava sprecando il suo tempo e la sua gioventù. Ma le servì a rendersi conto di come funzionavano le grandi imprese, le insegnò a lavorare in modo sistematico e ad usare perfettamente la macchina per scrivere. Anche in periodi successivi della sua vita ha dimostrato di avere un grande talento organizzativo, sia come donna di casa che come presidente dell’associazione scrittori norvegesi. La sistematicità del lavoro d’ufficio le ha insegnato, una volta diventata scrittrice, ad organizzare la stesura di grandi opere quali sono stati i suoi romanzi.
Ma i dieci anni trascorsi in ufficio furono per lei un tormento. Cercava di rubare un pò di tempo la notte, durante il fine settimana e le ferie per scrivere. Già all’età di 16 anni Sigrid Undset faceva i primi deboli tentativi di scrivere un romanzo ambientato nel medioevo nordico. Per diversi anni ha lavorato duro con questa materia.
Allo stesso tempo legge molto procurandosi, da autodidatta, una ottima conoscenza della letteratura nordica e in particolare di quella inglese. Le piaceva molto Shakespeare, era entusiasta di Chaucer e molto attratta dalle leggende di Re Artù. Studiò con grande attenzione anche i drammaturghi scandinavi come Ibsen, Strindberg, Brandes e i romanzieri inglesi come le sorelle Brontë e Jane Austen. Su sua iniziativa, quindi, e nel tempo libero acquisì una profonda conoscenza dell’arte della narrazione, preparandosi per quello che lei stessa sentì fin da piccola essere il suo “destino”.
All’età di 22 anni aveva terminato il manoscritto del suo primo romanzo, risultato di tanti anni di intenso lavoro notturno. Era un romanzo storico ambientato nel medioevo danese di tendenza decisamente romantica. Il manoscritto venne rifiutato dalla casa editrice e per la scrittrice la delusione fu cocente. Ma un paio di anni dopo aveva completato un altro manoscritto, questa volta meno voluminoso, di sole 80 pagine. Aveva abbandonato il medioevo per descrivere in modo realistico una figura femminile contemporanea, una donna piccolo borghese di Christiania. Il libro era intitolato “Fru Marta Oulie” (la Signora Marta Oulie) ed iniziava con una frase considerata estremamente scandalosa per le orecchie di quei tempi: “Jeg har vært min mand utro” (Ho tradito mio marito). Anche questo manoscritto inizialmente venne rifiutato, ma successivamente accettato in seguito all’intervento di uno degli scrittori norvegesi maggiormente conosciuti dell’epoca.
Questo fu il debutto di Sigrid Undset, appena 25enne, con un piccolo romanzo realistico sul tema dell’adulterio che suscitò scandalo ma che la collocò tra i giovani autori promettenti della Norvegia. Negli anni che seguirono fino al 1919 la Undset pubblicò una serie di romanzi contemporanei ambientati a Christiania.
I dieci anni passati in ufficio furono difficili e solitari, ma le avevano dato una buona conoscenza del mondo fatto di gente comune, persone che coraggiosamente, anche se non proprio eroicamente, lottavano per raggiungere una certa felicità in vita.
La Undset era una giovane timida, introversa con pochi amici. Ma aveva un occhio particolarmente attento nel valutare gli esseri umani e nel capire cosa celassero nel profondo dell’anima. Cercò di combattere la solitudine facendo lunghe passeggiate a Christiania e nei dintorni, sia ad est che ad ovest, e alla fine conosceva la sua città molto meglio di tanti altri. La città ed i suoi comuni abitanti riempiono i suoi romanzi contemporanei scritti dal 1907 al 1918. Descrive le esistenze monotone delle impiegate che vivono in tristi pensioni in una città buia, il loro bisogno di calore ed amore ed il loro rifiuto orgoglioso, quasi fiero, di lasciarsi andare. Descrive la classe operaia, il destino di famiglie comuni, il rapporto tra genitori e figli, in modo sobrio e realistico, con partecipazione, senza però cadere nel sentimentalismo. Il suo tema principale sono le donne ed i loro amori. Come lei stessa si espresse in modo ironico, ma allo stesso tempo risoluto, “il genere immorale”.
Il periodo realista culmina con la pubblicazione del romanzo “Jenny” nel 1911 e “Vaaren” (la Primavera) nel 1914. Il primo tratta di una donna pittrice che con i suoi amori infelici sente che sta buttando via la sua vita e finisce per mettere fine ai suoi giorni.
Il secondo tratta di una donna che riesce a salvare se stessa ed il suo amore a dispetto delle amare crisi matrimoniali, e riesce a creare un solido ambiente familiare. Questi libri collocarono la Undset più o meno chiaramente lontano dai nascenti movimenti per l’emancipazione femminile in Europa, forse non proprio contro di questi ma su livelli completamente differenti.
I libri della Undset vendettero bene dall’inizio per cui dopo l’uscita del terzo libro, smise di lavorare in ufficio e decise di guadagnarsi da vivere scrivendo. Ottenuta una borsa di studio per scrittori decise di intraprendere un lungo viaggio in Europa. Dopo un breve soggiorno in Danimarca ed in Germania si recò in Italia, e nel dicembre 1909 arrivò a Roma dove rimase per nove mesi.
I genitori avevano avuto uno stretto rapporto con la Città Eterna. In effetti Sigrid Undset sarebbe dovuta nascere a Roma nel corso del soggiorno dei genitori nel 1882, ma l’improvvisa e grave malattia del padre, poco prima della nascita della bambina, fece sì che la famiglia fece ritorno in tutta fretta al nord, alla casa della madre a Kalundborg, dove Sigrid poi nacque.
Ma la stessa Undset sentirà Roma come la sua città natale. Nel corso del soggiorno nel 1909 seguì le orme dei suoi genitori.
L’incontro con l’Europa meridionale ha significato molto per lei. Si fece molti amici tra i colleghi scandinavi a Roma, si aprì caratterialmente sempre di più divenendo molto più allegra e vivace nei suoi rapporti con gli altri.
Ed è a Roma che incontra il pittore norvegese Anders Castus Svarstad, con il quale si sposerà due-tre anni più tardi. Ha ormai 30 anni ed è il suo primo grande amore. Svarstad aveva nove anni più di lei, era sposato con moglie e tre figli in Norvegia. Il loro incontro a Roma fu sicuramente un amore a prima vista, ma ci vollero quasi tre anni a Svarstad per ottenere il divorzio.
Nel 1912 si sposarono e si trasferirono a Londra per sei mesi: mentre Svarstad dipinge la Undset si immerge nella cultura inglese che successivamente avrà un ruolo decisivo sulla sua esistenza. Da Londra si trasferirono a Roma dove Sigrid Undset dette alla luce il suo primo bambino nel gennaio 1913, a cui diede il nome del marito, Anders.
Il matrimonio ed i figli che nacquero significarono molto per Sigrid Undset sia come donna che come essere umano. Per l’artista rappresentarono un dilemma opprimente. Gli anni del matrimonio fino al 1919, nel corso dei quali mette al mondo tre figli e gestisce una grande casa dove vanno a vivere anche i figli del primo matrimonio di Svarstad, furono anni difficili. La seconda figlia era ritardata e ritardato era anche il figlio di Svarstad. La vasta dimora era aperta per la grande famiglia e per tutti gli amici.
Continua lo stesso a scrivere la notte quando tutti sono andati a dormire, portando a termine gli ultimi romanzi realistici e la raccolta di racconti. Partecipò ai dibattiti pubblici sui temi più scottanti dell’epoca: critica verso l’emancipazione femminile per il modo come si stava sviluppando, ed il declino etico e morale che l’avvicinarsi della prima guerra mondiale porta con sè minaccioso, anche se al di fuori delle coste della Norvegia, rimasta neutrale.
Nel 1919 prende con sé i due figli e si trasferisce nella cittadina di Lillehammer nel Gudbrandsdalen, nella Norvegia sud-orientale. E’ in attesa del terzo figlio ed intende riposarsi un po' per poi tornare a Christiania non appena Svarstad, il marito, ha terminato i lavori della nuova casa. Ma non sarà così. Tra i due la rottura diviene definitiva. Il terzo figlio nasce a Lillehammer nell’agosto 1919. Si stabilisce definitivamente a Lillehammer e costruisce nel giro di due anni una superba dimora che chiamerà Bjerkebæk. La proprietà è composta di tre grandi e belle case in legno di stile norvegese, un grande giardino con una vista superba sulla cittadina ed i dintorni. La figlia malata ed i due figli beneficiano quindi della stabilità di un focolare eccezionale. La scrittrice, dopo molti anni di cambiamenti, ha finalmente un posto tranquillo dove rifugiarsi lontano dal mondo e fare l’unica cosa che sa di sapere fare veramente: scrivere.
Il matrimonio e la prima guerra mondiale avrebbero cambiato l’atteggiamento della Undset. In questi anni difficili attraversa una crisi spirituale, in modo quasi impercettibile all’inizio, ma poi in modo sempre più forte. La crisi la porta da un evidente scetticismo agnostico, a volte una inquietudine dolorosa davanti al degrado morale del mondo, alla conversione al cristianesimo. Cresciuta in un ambiente tollerante di liberi pensatori era lei stessa una libera pensatrice scettica, e priva di quel credo assoluto positivista, caro al suo tempo, nella scienza e nel materialismo come scopo e fine di tutte le cose. Sembra che Sigrid Undset, durante i periodi di crisi, abbia avuto come una rivelazione spirituale. Ne emergerà con una visione tutta nuova della religione. Non crede più che l’uomo si sia creato Dio, ma che Dio ha creato l’uomo. Ma non si avvicina alla chiesa luterano-evangelista, la Chiesa protestante di Stato norvegese, quella dove è stata battezzata. Si converte alla Chiesa cattolica-romana nel novembre 1924, dopo alcuni anni di catechismo presso il sacerdote cattolico della parrocchia dove abita. Ha 42 anni.
La conversione di Sigrid Undset al cattolicesimo crea sensazione, un vero scandalo in Norvegia, e l’avvenimento non passa inosservato neanche all’estero dove oramai inizia ad essere conosciuta grazie al successo mondiale ottenuto con “Kristin Lavransdatter”.
Tutta questa reazione può sembrare ridicola ai nostri giorni. Ma all’epoca non vi erano cattolici nella Norvegia protestante ed il disprezzo, la paura per quello che era definito “papismo” era sviluppato in tutti gli ambienti. Non solo quello della Chiesa norvegese, ma anche tra i liberi pensatori e quelli vicini al marxismo, leninismo o socialismo.
Gli attacchi a volte erano violenti, ma riuscirono solo a risvegliare l’istinto polemico della Undset. Partecipa attivamente al dibattito pubblico, cerca in tutte le occasioni di difendere la Chiesa romana con un fervore prossimo all’assolutismo.
Ma non è la padrona di casa di Bjerkebæk nè la cattolica Sigrid Undset che ci interessano. E’ la scrittrice e questo è un periodo fruttuoso.
Dopo avere messo al mondo il terzo figlio ed essersi assicurata un adeguato tetto sulla testa, inizia a scrivere la grande opera “Kristin Lavransdatter”. In realtà ci ha lavorato sopra per più di 15 anni e conosce il soggetto a fondo. Ha già scritto un piccolo romanzo storico di un periodo della storia norvegese vicina all’epoca pagana. Ha anche pubblicato una versione in norvegese delle leggende di Re Artù, ambientate nel medio-evo britannico e celtico. Ha studiato manoscritti norreni e testi medievali, ha visitato attentamente le chiese ed i chiostri sia all’estero che in Norvegia. E’ oramai una autorità dal punto di vista storico sul periodo che sta faticosamente cercando di ritrarre. E’ tutta un’altra persona, rispetto alla ragazza 22enne che aveva scritto il primo romanzo medievale.
Il cambiamento non è solo di carattere storico e letterario, ma ha a che fare con il suo sviluppo come persona. Aveva provato l’amore, la passione e la sua amara fine. Aveva provato il dolore profondo che si prova davanti ad una figlia malata e ritardata. Aveva provato la disperazione nei confronti di un mondo malato che si è immerso nel bagno di sangue della prima guerra mondiale. Quando si accinge a scrivere “Kristin Lavransdatter” nel 1919 sapeva molto della vita.
“Kristin Lavransdatter” è ovviamente un romanzo storico, ma non è solo questo, è molto di più. Lo sfondo storico del libro è preciso, sufficientemente realistico e mai romanzato. Non è assolutamente una fuga da parte della scrittrice dal presente per rifugiarsi in modo poco chiaro nel passato. Quello che la Undset fa in questi tre libri descrivendo la vita di Kristin è trasferire le forti esperienze di gioia e dolore, di estasi e di disperazione che ora ben conosce e comprende, per collocarle in un passato lontano. Ma non per romanticizzare le cose anche se appare evidente che la scelta della Undset del medio-evo è dovuta alla ammirazione che nutriva per la capacità di quei tempi di credere nella fede. Trasferisce i suoi personaggi in un passato lontano per crearsi quella distanza che le è necessaria come scrittrice, per sublimare in arte la violenza dei suoi sentimenti ed il rigore del suo spirito. Sente di essere sulla soglia di qualcosa di nuovo nella sua produzione letteraria; cerca e trova la distanza necessaria attraverso il medioevo. “Cerco di barcamenarmi con le mie sole forze” scrive in questo periodo ad un’amica.
Sono i misteri della vita, così come li ha vissuti personalmente, ciò che descrive in “Kristin Lavransdatter”. E quindi questa opera che consta di quasi 1400 pagine e quella successiva di più di 1200 pagine su “Olav Audunssøn” in un certo senso sono prive di tempo. I personaggi sono uomini e donne in carne ed ossa, potrebbero essere i nostri vicini di casa di oggi; la natura della sua Oslo, quella del suo caro Gudbrandsdalen e del Trøndelag, la regione del padre. E’ una natura che conosce intimamente, rimasta come lei l’ha descritta 70 anni fa e come era nel 13esimo secolo.
Ed è dopo la rottura del suo matrimonio che Sigrid Undset matura per scrivere il suo capolavoro.
Nel corso di questi anni dal 1920 al 1927 pubblica prima i tre volumi su Kristin e poi i quattro volumi su Olav. Contemporaneamente a questo processo creativo cerca la risposta al significato della propria vita e lo trova nel Dio cristiano. “E’ venuto a cercarmi nel deserto” come lei stessa ha affermato.
Alla fine di questo periodo di ispirazione creativa, Sigrid Undset si dirige verso acque più calme. Dal 1929 completa una serie di romanzi contemporanei ambientati ad Oslo, tutti di marchio fortemente cattolico. Attinge per i suoi temi alla piccola ma interessante comunità cattolica in Norvegia, ma anche in questo caso il tema principale è l’amore. Pubblica inoltre una serie di opere storiche di un certo peso, che senza dubbio hanno contribuito a collocare la storia della Norvegia in una prospettiva più sobria. Traduce inoltre diverse saghe islandesi in norvegese e pubblica alcune raccolte di saggi, sopratutto sulla letteratura inglese. Tra questi vale la pena di menzionare un lungo saggio sulle sorelle Brontë e uno su D.H. Lawrence. Nessuno dei due può considerarsi grande letteratura ma sono opere solide e non prive di interesse.
Nel 1934 pubblica un’opera autobiografica che chiamerà “Elleve Aar” (Undici anni). Anche se in forma lievemente camuffata, tratta della sua infanzia a Christiania, della casa ricca di valori intellettuali e di amore, e del padre malato. E’ uno dei libri più belli che sia mai stato scritto su una bambina nella letteratura norvegese e non ce ne sono molti migliori nella letteratura mondiale. La Undset è ancora in fase crescente.
Alla fine degli anni 30 inizia un nuovo libro, un romanzo storico ambientato nel 1700 in Scandinavia. Solo il primo volume “Madame Dorthea” venne pubblicato nel 1939. Lo scoppio della seconda guerra mondiale la annienterà sia come essere umano che come scrittrice. Non finirà mai questo ciclo di romanzi ambientati nel 1700. La guerra prende tutte le sue forze.
In seguito all’occupazione tedesca della Norvegia nell’aprile del 1940, la Undset dovette fuggire all’estero. Già negli anni 30 si era opposta fermamente a Hitler ed al nazismo ed i suoi libri erano stati vietati in Germania. Per non cadere in ostaggio dei tedeschi si trasferì in Svezia. Il figlio primogenito, Anders, cadde in guerra all’età di 27 anni a pochi chilometri dalla casa di Bjerkebæk nell’aprile del 1940. Era un ufficiale dell’esercito norvegese e rimase ucciso in uno scontro con le truppe tedesche. La figlia malata era morta poco primo dell’inizio della guerra. Bjerkebæk venne occupata dalle truppe tedesche durante la guerra ed utilizzata come alloggio per gli ufficiali tedeschi.
Nel 1940, insieme al figlio minore, la Undset lasciò la neutrale Svezia e partì per l’America. Nei cinque anni di guerra perorò la causa della sua patria occupata scrivendo e tenendo discorsi. Al ritorno nella Norvegia liberata nel 1945 era esausta. Visse ancora per quattro anni senza però scrivere più neanche una parola.
E’ chiaro che le giovani generazioni di oggi hanno visibilmente riscoperto le sue opere. Apprezzano in lei la sua concezione morale dell’individuo, responsabile non solo di se stesso ma anche dei familiari, della natura e di tutta la vita che ci circonda. E’ senza dubbio per queste qualità che le sue opere oggi raggiungono un pubblico sempre più vasto di nuovi lettori.

 
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La Brinvilliers

Post n°1662 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Marie-Madeleine d'Aubray (6 luglio 163017 luglio 1676), marchesa di Brinvilliers, fu una nobile e serial killer francese.

Primogenita dei sei figli di Antoine Dreux d'Aubray, un consigliere di Stato e luogotenente civile di Parigi, la donna apparteneva alla nobiltà di toga. Era sposata con Antoine Gobelin, marchese di Brinvilliers, erede della famiglia produttrice degli arazzi Gobelins[1].

Dopo aver condotto una vita dissoluta[2], imparò dal suo amante Jean-Baptiste Gaudin de Sainte-Croix, che a sua volta apprese l'arte mentre era rinchiuso nella Bastiglia da un prigioniero italiano, a maneggiare i veleni[3]. Insieme sperimentarono gli effetti dell'arsenico su alcuni famigliari di Marie: avvelenarono poco a poco suo padre e due fratelli[4]. Insieme all'amante la donna cercò di uccidere anche una sorella, una cognata, una nipote e il marito Antoine[5].

Il ritratto che le fece Lu Brun durante l'esecuzione

Sainte-Croix morì probabilmente durante un esperimento[6]. Il suo laboratorio venne perquisito e in un cofanetto vennero trovate le lettere dei due amanti[7]. Prima che potesse essere arrestata però Marie riuscì a fuggire in Inghilterra facendo perdere le proprie tracce.

Gli inquirenti presero allora un suo domestico, Jean Hamelin, il quale sotto tortura confessò i crimini della sua padrona[8].

Si aprì a Parigi il cosiddetto Affare dei veleni, un processo che aveva ad oggetto i loschi traffici instaurati tra la corte di Versailles e i bassifondi della capitale. Al centro di questi era Jean-Baptiste Gaudin, il quale procurava potenti veleni dietro lauto compenso ai nobili che glielo richiedevano[9]. Durante l'affare, che raggiunse il suo culmine tra il 1679 e il 1682, vennero imprigionate 442 persone[10].

Nel 1673 Marie-Madeleine fu condannata a morte in contumacia e la Camera di Giustizia parigina chiese al re Carlo II d'Inghilterra l'estradizione. La donna però riuscì di nuovo a fuggire nascondendosi in un convento a Liegi[11]. Ivi però un reparto della cavalleria francese, che si trovava in città a causa della guerra d'Olanda, la riconobbe e la riportò in Francia[12].

Durante il processo del Parlamento di Parigi, che si svolse tra il 29 aprile e il 16 luglio 1676, confessò i suoi crimini e collaborò parzialmente a smascherare la rete criminale che coinvolgeva diversi membri dell'alta società e della nobiltà[13].

Ormai prossima alla morte, Marie-Madeleine si convertì per merito dell'abate Pirot, teologo della Sorbona, a cui confidò il proprio pentimento e il desiderio di venire bruciata viva per espiare i suoi peccati[14].

Il pittore Charles Le Brun, il decoratore della Reggia di Versailles, andò ad assistere all'esecuzione e ne eseguì un disegno ritraendo il viso della condannata durante il supplizio.

 
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L'affare dei veleni

Post n°1661 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

L'Affare dei veleni fu un caso verificatosi a Parigi nel decennio 16701680 che scosse Parigi e la Corte di Francia.

Nel 1672 alla morte di un ufficiale di cavalleria di nome Godin de Saint-Croix, nei suoi incartamenti furono scoperti alcuni scritti, che accusavano la sua amante, marchesa di Brinvilliers, d'aver avvelenato il proprio padre, i suoi due fratelli e sua sorella per impadronirsi delle loro parti di eredità. La marchesa di Brinvilliers fu sottoposta a processo e giustiziata nel 1676.
L'anno successivo, l'inchiesta svelò che una certa Maria Bosse aveva fornito veleni ad alcune spose di membri del parlamento, le quali volevano sbarazzarsi dei rispettivi mariti. La Bosse denunciò la Voisin, altre persone di minore importanza ed un certo Lesage. Le rivelazioni degli accusati condussero a persone di alto rango. Fu istituita una commissione d'inchiesta speciale per giudicare, senza possibilità d'appello, gli accusati: la Camera Ardente. Furono quindi citati personaggi noti e di alto lignaggio, prevalentemente donne, quali: Madame de Vivonne, cognata della Montespan, Madame de La Mothe, le Mademoiselle des Œillets et Cato (succedute alla Montespan), le nipoti del cardinale Mazarino Olimpia Mancini, contessa di Soissons, e Maria Anna Mancini, duchessa di Bouillon,[1] la contessa di Roure, la viscontessa di Polignac, il maresciallo di Luxembourg ed altri ancora.
Il luogotenente di polizia La Reynie condusse un'inchiesta accurata e ne venne fuori che all'accusa di avvelenamento si aggiungevano altri crimini: morti di bambini durante le messe nere celebrate da preti spretati (fra i quali il tristemente celebre Stefano Guibourg), profanazione di ostie consacrate ed anche fabbricazione di moneta falsa. Ma lo zelo di La Reynie celò la lotta fra il ministro della guerra Louvois e Jean-Baptiste Colbert, ministro delle finanze: un'inchiesta segreta parallela disposta dal Luvois per conto del re rivelò che i più illustri accusati erano parenti od amici di Colbert.
La Camera Ardente pronunciò contro i personaggi secondari 36 condanne a morte, più altre alla galera. Molti condannati furono rinchiusi nella cittadella Vauban du Palais a Belle-Île-en-Mer. La Voisin fu condannata al rogo e giustiziata il 22 febbraio 1680 sulla piazza de Grève. Dopo l'esecuzione della madre, la figlia della Voisin chiamò in causa Madame de Montespan: quest'ultima aveva intrattenuto rapporti con la Voisin indubbiamente per ottenere dei preparati, lei credeva, idonei a risvegliare l'amore del re, Luigi XIV, per lei. Inoltre aveva partecipato ad alcuni esorcismi. Tuttavia la Montespan, per disposizione del re, fu risparmiata ed i suoi accusatori rinchiusi nelle fortezze reali. La Montespan, madre di sei figli illegittimi, rimase a corte ma, caduta in disgrazia, fu relegata in un modesto appartamento di Versailles ove visse ancora per dieci anni e dove morì. La Camera Ardente fu sciolta nel 1682 per ordine del re.

 
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Ettore Fieramosca

Post n°1660 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Ettore Fieramosca nacque a Capua 1476 (?) e morì a Valladolid (Spagna) nel 1515.
Nel 1492 entra al servizio della corte aragonese come paggio e vive con uno stipendio mensile di 10 ducati.
Ancora giovanissimo, nel 1494, riceve il comando di un contingente di balestrieri a cavallo con la quale combatté, per Ferdinando II, contro Carlo III.
Ettore seguì Ferdinando II anche nell'esilio e fu al suo fianco durante l'assedio di Gaeta; nel 1497 era nelle Marche. Combatté a Fermo dove, con il fratello Guido, difese eroicamente il castello di Offida minacciato da Oliverotto da Fermo. Era il 1498 quando riceve in feudo, dal re di Napoli, il castello di Caspoli. Nello stesso anno ritorna a combattere i fermani per conto del signore di Ascoli Piceno Astolfo Guiderocchi. Nell’occasione viene accolto con tutti gli onori a Ripatransone. Nel 1501 si distingue nell’azione offensiva al castello di Calvi dove si sono asserragliati dei nemici. Poi, passato alla difesa di Capua agli ordini di Fabrizio Colonna, alla caduta della città, viene catturato. I francesi gli sequestrano la rendita della gabella nuova di Capua ed i feudi di Rocca d’Evandro e di Camino.
Nell’anno successivo Fieramosca contrasta i francesi in Puglia tra Andria, Trani e Barletta agli ordini di Prospero e Fabrizio Colonna e combatte nella battaglia di Cerignola al fianco di Andrea da Capua.
Agli inizi del 1503, mentre si trovava tra gli assediati nella città di Barletta, partecipò al famoso duello tra cavalieri italiani e francesi passato alla storia coma la Disfida di Barletta.
In sintesi gli eventi della Disfida. Il duca di Nemours, a causa della cattiva stagione, decise di raggiungere i quartieri d'inverno. Ma la ritirata delle truppe del generale francese verso Canosa avvenne in modo disordinato e con lentezza. Questo stato di cose indusse Diego di Mendoza e Prospero Colonna, con il sostegno di alcune schiere spagnole e italiane, ad assalire la retroguardia francese; i moltissimi prigionieri presi nell’azione furono condotti a Barletta.
Tra questi c’era Charles de la Motte, un orgoglioso cavaliere, il quale, in un banchetto, accusò gli Italiani di essere vili privi di coraggio.
Le oltraggiose parole del francese rappresentano l’antefatto di quella famosa sfida. Spagnoli e Francesi stipularono una breve tregua e stabilirono che il combattimento si sarebbe svolto fra tredici italiani contro altrettanti Francesi. Il 13 febbraio del 1503 i due eserciti si schierarono tra Barletta, Quadrata ed Andria, luogo scelto per lo scontro, per assistere alla sfida che doveva essere all'ultimo sangue. Chi veniva messo fuori dal campo doveva dichiararsi vinto e non poteva più tornare a combattere; ognuno, prima dell’inizio del combattimento doveva depositare presso i giudici cento scudi d'oro quale riscatto nel caso rimanesse vinto e prigioniero. Nessun francese, poiché convinti della vittoria, versò la somma del riscatto.
I tredici cavalieri italiani erano: Ettore Fieramosca da Capua, Giovanni Capaccio con Giovanni Brancaleone ed Ettore Giovenale da Roma, Marco Carellario di Napoli, Mariano da Sarni, Romanello da Forlì, Ludovico Aminale da Terni, Francesco Salamone e Guglielmo Albimonte, siciliani, Miale da Troia Riccio da Parma e Fanfulla da Lodi.
La sfida, combattuta accanitamente da entrambe le parti, finì con una strepitosa vittoria italiana. Dei francesi uno venne ucciso, gli altri dodici, in grande difficoltà, uno dopo l'altro si arresero tutti agli italiani e fatti prigionieri. Poiché i vinti non avevano versato la somma stabilita per il riscatto, dovettero seguire i vincitori. Tra i prigionieri c’era anche il La Motte. Dell'avvenimento venne realizzata una cronaca coeva che ora si conserva in soli due esemplari, di cui uno è gelosamente custodito a Capua nella Biblioteca del Museo Campano. L'episodio della disfida di Barletta venne idealizzato nel 1833, a fini patriottici, da Massimo D’Azeglio nel romanzo Ettore Fieramosca.
La vittoria degli Italiani fu di buon augurio per le armi spagnole, le quali, giunta la primavera, ripresero con successo l'offensiva. Ettore Fieramosca, dopo la vittoria, ebbe il titolo di Conte di Miglionico. Inoltre, il re Ferdinando il Cattolico da Medina del Campo gli conferma i feudi di Migliano Monte Lungo, Rocca d’Evandro, Camino e Camigliano, la gabella nuova di Capua ed altri privilegi fiscali in più riceve la signoria di Acquara.
Il cavaliere capuano, oltre ai privilegi, guadagnò anche un duraturo odioda parte dei francesi tant’è che quando questi ultimi, nel 1805, occuparono il Napoletano, distrussero il monumento che, a Barletta, ricordava la vittoria degli Italiani. Il monumento che fu poi restaurato nel 1846.
Fieramosca, comunque, continua la sua attività di condottiero e, sempre nel 1503, rientra in Capua con 500 cavalli e scaccia i francesi di Ivo di Allègre e di Antonello da San Severino, inoltre, nella valle del Garigliano, riconquista Rocca d’Evandro e Camino, occupate da Federico di Monforte. Nel 1507, con la pace di Blois, è costretto a restituire Rocca d’Evandro e Camino al Monforte, la contea di Miglionico al principe di Bisignano Bernardino da San Severino; in cambio gli viene proposta la signoria di Civitella del Tronto negli Abruzzi. Ettore non accetta e viene imprigionato dal re di Spagna. Alla fine, comunque, cede ricevendo a titolo di compensazione per i beni perduti 600 ducati. In seguito, per necessità e costretto a vendere Camigliano. Dice la leggenda che fosse caduto in disgrazia per aver amato la figlia del re e che, imprigionato, fosse stato poi liberato per intercessione di lei e mandato in esilio.
Nel 1510, cerca di passare al soldo dei veneziani ma le trattative falliscono per le sue richieste ritenute esose (chiede una condotta di 100 uomini d’arme e di 100 cavalli leggeri nonché il comando dell’artiglieria ed una compagnia di 150 cavalli leggeri per i due fratelli Guido e Cesare).
Nel 1514 si trasferisce in Spagna dove, a Valladolid, nel gennaio del 12505 muore.
Delle spoglie mortali di Ettore Fieramosca non si hanno tracce. Nell’abbazia di Montecassino, a destra dell'altare maggiore, Isabella Castriota, vedova di Guido, aveva fatto erigere un sepolcro monumentale degno del marito, morto nel 1532, condottiero e capitano, che ne perpetuasse il ricordo e nel quale fosse anch'essa sepolta dopo la morte, che avvenne quattordici anni più tardi ed è in questa tomba che, per molto tempo, si è creduto che fosse sepolto Ettore.
A creare confusione sono le due iscrizioni che si trovano Sul sarcofago. La prima scritta, che esprime il dolore di Isabella Castriota è la seguente:

DVM FACIO INFELIX AETERNO FUNERA FLETV
CREVERUNT LACRIMIS HAEC MONUMENTA MEIS
QVEIS NISI MOLLISSEM TRISTISS[IMA]. CORDA RIGEREM
IPSA ETIAM HEIC TOTO CORPORE FACTA SILEX
e, tenendo conto che si tratta di latino del Cinquecento, la traduzione potrebbe essere:

MENTRE, INFELICE, PORTO IL LUTTO CON PIANTO SENZA FINE
QUESTO MONUMENTO SI ACCRESCÉ CON LE MIE LACRIME E,
SE CON ESSE SE NON AVESSI
RESO MOLLI I MIEI TRISTISSIMI SENTIMENTI,
ANCHE IO STESSA SAREI IRRIGIDITA QUI,
DIVENUTA PIETRA CON TUTTO IL CORPO.
La seconda, invece, dice quanto segue:
VIDO FERAMOSCAE
MENN. REGULO Q.C.V. FER.D.T.SEP.
ISABELLA CASTRIOTA
CONUGI CARISS. F.
V.A.LII.M.VIL.D.VI.H.IX.
H.M.H.N.S.
e si leggeva per tradizione in questo modoì:
VIDO FERAMOSCAE MENNENSIO REGULO,
QUI CUM UNIVERSA FERAMOSCARUM DOMO TANDEM SEPULTUS.
ISABELLA CASTRIOTA CONJUGI CARISSIMO FECIT
VIXIT .ANNS QUINQUAGINTADUOS, MENSES SEPTEM, DIES SEX, HORAS NOVEM.
HOC MONUMENTUM HEREDES NON SEQUNTUR.
Che tradotto diventava:
ISABELLA CASTRIOTA FECE [QUESTA TOMBA] AL CARISSIMO CONIUGE
GUIDO FIERAMOSCA MENNENSIO REGOLO, CHE È [QUI] SEPOLTO
INSIEME CON TUTTA LA CASATA DEI FIERAMOSCA.
VISSE CINQUANTADUE ANNI, SETTE MESI, SEI GIORNI E NOVE ORE.
NESSUN EREDE SEGUE A QUESTO MONUMENTO. (*)

Guido, quindi, era l'ultimo Fieramosca e la casata si estingueva con lui.
Il Caravita interpretò, però, il Q.C.V.FER.D.T. SEP. In questo modo:
QUO CUM UNA FERAMOSCARUM DOMUS TOTA SEPULTA EST.
Una costruzione sintattica insolita con la posposizione del cum (con) al quo (quale) e quindi si avrebbe:
CON IL QUALE TUTTA INSIEME ED INTERA
È STATA SEPOLTA LA CASATA DEI FIERAMOSCA
Facendo intendere oltre a Guido ed Isabella fossero lì sepolti gli altri membri della famiglia. Di conseguenza, poiché Guido era morto senza eredi, gli altri avrebbero dovuto essere i fratelli, Ettore, Alfonso e Porzia.
Durante i bombardamenti della II guerra mondiale il sarcofago fu colpito e spaccato a all'interno furono rinvenuti solamente due cadaveri, uno dei quali femminile, evidentemente Isabella. Le spoglie mortali di Ettore Fieramosca, quindi, non sono mai state in quella tomba.
Un altro enigma è legato alla spada di Ettore Fieramosca.
Tra le armi esposte nel Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, c'è una spada che reca inciso un nome famoso: "ETTORE FIERAMOSCA DI CAPUA". Tale spada, a parere degli esperti, però, non appartenne mai al celebre cavaliere di Capua.
Il nome inciso sull'arma, infatti, sarebbe opera recente e, probabilmente, successiva all'uscita del romanzo di Massimo D'Azeglio. Inoltre, nel XVI secolo, si sarebbe detto verosimilmente " Ettore Fieramosca da Capua" piuttosto che "di Capua" com’è scritto sulla spada e, poi, come era solito far , il nome sarebbe stato scritto in latino. Oltre a ciò gli esperti asseriscono che i caratteri si presentano irregolari nella forma e nella disposizione e, cioè, difformi da quelli, perfetti ed armoniosi, che venivano allora ripresi da antiche iscrizioni classiche.
Comunque la fabbricazione della spada la si può far risalire ai primi decenni del '500 e, pertanto, si potrebbe accettare che quell'arma fosse appartenuta ad Ettore Fieramosca solo negli ultimi anni della sua vita.
Altra spada ritenuta essere di proprietà di Ettore è quella che si trova al fianco della statua del fratello Guido nella tomba di quest’ultimo a Montecassino, ma è stato assodato che si tratta di una riproduzione.
Anche a Roma c’è qualcosa che ricorda il condottiero capuano: la torre Fieramosca.
La casa-torre nell'angolo tra piazza S. Cecilia e piazza dei Mercanti in Roma viene detta, infatti, di Ettore Fieramosca. L’attribuzione, però, è fantasiosa e nasce da una scena dell'Ettore Fieramosca di D'Azeglio. In realtà l'edificio fu di proprietà dell'Ordine degli Umiliati, che nel Trecento si stanziò nel convento annesso a S. Cecilia, svolgendovi attività relative alla lavorazione della lana. 

 
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Pippipù si dà allo sport

Post n°1659 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Ricordate Pippipù,la dolce consorte del nostro Be'erino?
Stufa della vita sedentaria,ha deciso di colpo di darsi allo sport,per la precisione al lancio prima e al salto poi,praticandoli con il tipico zelo della neofita.In un altro paese magari non sarebbe successo nulla,ma essendo a S.Tobia come potevano essere i risultati,se non catastrofici?
Non ci credete?Leggete un po'!
LUNEDI'- Pippipù si è dato al lancio del disco.Non avendo dischi a portata di mano ha ripiegato sui piatti di casa.
Melchiorre Scozzagalli si è beccato una piattata sulla dentiera,che si è frantumata.
Lo Scannafù,per sfuggire a una raffica di piatti lanciati a 50km/h,si è dovuto buttare sui suoi fichi d'India
MARTEDI'- Oggi lancio del peso. Riempiti d'acqua un centinaio di sacchi della spazzatura,ha cominciato a tirarli ovunque con una forza sovrumana.In pochi minuti ha
Ammaccato 4 macchine
Fatto cadere dal motorino il postino
Fatto la doccia ai 15 cani di geppo (fatto positivo,visto che lui li lava ogni anno bisestile)
Distrutto la permanente della Patacon
MERCOLEDI'- Ritenendo che il lancio del martello fosse più consono alla sua personalità,Pippipù si è procurata 180 martelli e li ha lanciati coi seguenti risultati:
Belva ha la commozione cerebrale
Le moto del Libertario e del Piripicchi non esistono più
Maciste Trappoloni si è beccato ben 68 martellate in testa
La statua della fontana è stata decapitata
GIOVEDI'- Seguendo il consiglio del marito Pippipù si è data al salto in lungo,allenandosi vicino alla concimaia di Teobaldo.
Ci è finita dentor,provocando un'onda anomala di letame che ha investito la casa dei Martellacci.
Teobaldo e la Cesira sono stati salvati dalla Protezione Civile
VENERDI'- Puzzolente ma non doma,Pippipù si è cimentata nel salto con l'asta.
E' atterrata tipo meteorite sul tetto della canonica,sfondandolo e finendo addosso a Ireneo che stava facendo il bagno.nel bagno si è aperta una voragine di tre metri di diametro e 15 di profondità.
Per estrarre prete e ciccionazza sono dovuti intervenire i pompieri di Firenze
SABATO- Vista l'aria che tirava, stamani all'alba Be'erino e famiglia sono partiti per il Burundi meridionale.
I paesani hanno festeggiato fino a notte fonda.
Sono passate due settimane.
Melchiorre va avanti a omogeneizzati e frullati.
Allo Scannafù hanno estratto 25.876 spine di fico d'India e ancora non hanno finito.
Il postino è andato a vivere nel deserto del Negev,almeno non vede acqua.
I 15 cani di Geppo hanno preso il cimurro.
La Patacon ha il singhiozzo isterico.
Il Libertario e il Piripicchi per lo choc sono in stato catatonico.
Non ci crederete,ma il QI del Trappoloni a causa delle martellate è salito a 65.
Teobaldo e la Cesira sono ricoverati nella clinica Luminaris.Non fanno che ridacchiare e canticchiare "La marea di merda sale paraponzi ponzipò"
Anche Ireneo sta lì:è convinto di essere Gollum e vuol dare Pippipù in pasto a Shelob.
La ciccionazza è diventata la preparatrice della squadra olimpionica del Burundi (Dio ce la mandi buona)
Stretta la foglia,larga la via dite la vostra che ho detto la mia

 
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Io sono certa (Merini)

Post n°1658 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,
il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola
come una trappola da sacrificio,
è quindi venuto il momento di cantare
una esequie al passato.

 
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Libri dimenticati:Giro di vite

Post n°1657 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Romanzo gotico di Henry James,carico di tensione fino all'ultimo.Da leggere e tenere un libreria

 
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Frase del giorno

Post n°1656 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Il medico pietoso fa la piaga puzzolente!

 
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