Messaggi del 24/02/2012

Scrittori dimenticati:Erskine Caldwell

Post n°1994 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Erskine Preston Caldwell (December 17, 1903 – April 11, 1987) was an American author.[1][2] His writings about poverty, racism and social problems in his native South like the novels Tobacco Road and God's Little Acre won him critical acclaim, but they also made him controversial among fellow Southerners of the time who felt he was deprecating the people of the region.

 Biography

Caldwell was born in a house in a wooded area outside Moreland, Georgia, the son of a minister of the Associate Reformed Presbyterian Church. During his early childhood he was relocated from state to state across the American South, as his father found jobs in various churches.[citation needed]

Later, he attended, but did not graduate from Erskine College. He was six feet tall, athletic, and played football. His political sympathies were with the working class, and he used his experiences with common workers to write books that extolled the simple life of those less fortunate than he was. Later in life, he gave seminars on low-income tenant-sharecroppers in the American South.[citation needed]

His first and second published works were Bastard (1929) and Poor Fool (1930) but the works for which he is most famous are his novels Tobacco Road (1932) and God's Little Acre (1933). Maxim Lieber was his literary agent, 1932–1943 and 1947–1948.

When his first book was published, it was banned and copies were seized by authorities. Later, with the publication of God's Little Acre, authorities, at the instigation of the New York Society for the Suppression of Vice (apparently incensed at Caldwell's choice of title), arrested Caldwell and seized his copies when he went to New York for a book-signing event. A trial exonerated Caldwell[3], and he counter-sued for false arrest and malicious prosecution.[citation needed]

Through the 1930s, Caldwell and his wife Helen managed a bookstore in Maine. Caldwell was married to photographer Margaret Bourke-White from 1939 to 1942, and they collaborated on three photo-documentaries: You Have Seen Their Faces (1937), North of the Danube (1939), and Say, Is This The USA (1941).

During World War II, Caldwell obtained papers from the USSR that allowed him to travel to Ukraine and work as a foreign correspondent documenting the war effort there. Disillusionment with the intrigues of the Stalinist regime led him to compose a four-page short story, "Message for Genevieve," published on returning to the United States in 1944. In this story, a woman journalist is executed by a firing squad after being tried in a secret court on charges of espionage.

After he returned from World War II, Caldwell took up residence in San Francisco. His ex-wife kept the bookstore in Maine as a property settlement.

During the last twenty years of his life, his routine was to travel the world for six months of each year, taking with him notebooks in which to jot down his ideas. Many of these notebooks were not published, but can be examined in a museum dedicated to him: The house in which he was born was moved from its original site and preserved, and was made into a museum in the town square of Moreland, Ga.

Caldwell died from complications of emphysema and lung cancer on April 11, 1987, in Paradise Valley, Arizona. He is interred in Scenic Hills Memorial Park, Ashland, Oregon.[4

 
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Scrittrici dimenticate:Marie Cardinal

Post n°1993 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Era già una scrittrice piuttosto nota in Francia Marie Cardinal quando scrisse Le parole per dirlo, il libro dove l’amore per la terra natale e la riconoscenza verso la psicoanalisi, che le aveva salvato la vita, prendono corpo. La salvezza inizia in un vicolo nel cuore di Parigi, dove c’è lo studio dell’analista. Qualche anno dopo sarà in un vicolo simile che andrà a trovare l’amica scrittrice Annie Leclerc con la quale scriverà In altri termini, libro intervista che precisa e riannoda la storia drammatica del suo romanzo più famoso e di tutta la sua nuova vita, appassionata di politica e soprattutto di politica delle donne, perché lei per prima aveva patito la disperazione di non avere parole per raccontare una vita che la stava uccidendo, il dolore di non avere le parole per dirlo ma che poi grazie al percorso di analisi freudiana troverà. «La donna più semplice che racconta la sua giornata con le parole più semplici, più vere, più vicine alla sua vita, è una donna che fa un discorso rivoluzionario» dirà all’amica Annie.
La giovane donna incapace di vivere che chiede aiuto all’uomo piccolo e anonimo che per sette anni le presterà ascolto, viene da una ricca e antica famiglia di pieds-noir che hanno perso la ricchezza e la posizione sociale con la guerra di Algeria. Una famiglia alto-borghese macchiata dal divorzio dei genitori, avvenuto proprio mentre la madre era incinta di Marie. La morte precoce della primogenita, la tubercolosi del figlio maschio, avevano fatto sì che con rabbia e orrore la madre si allontanasse da quell’uomo affascinante che si era fatto da sé e che aveva avventatamente sposato. Presa nelle opere di carità e di beneficenza, quella donna bellissima fu una madre fredda e distante. Per arrivare al nodo del loro rapporto occorsero molti anni e il coraggio di confessare la “carognata”, cioè che la giovane donna in procinto di divorziare, aveva fatto di tutto per abortire quel bambino non previsto e non voluto. A Marie adolescente non venne risparmiato nessun sordido particolare. Quel rifiuto primordiale e la noncuranza nel raccontarlo, la fecero precipitare in un vortice di rifiuto e di depressione con una forte componente psico-somatica. Marie sanguinò per anni e anni prima che la nuova consapevolezza di se stessa permettesse al suo povero corpo di trovare pace e libertà. La pazza, come si definisce nel romanzo, viveva la maggior parte del proprio tempo in bagno, seduta tra il bidet e la vasca a guardare le piastrelle o il sangue che gocciolava ininterrotto dal suo corpo. “La Cosa”, così chiamava la sua nevrosi, aveva vinto, il cuore batteva all’impazzata e vivere era diventato quasi impossibile. Nonostante l’amore del marito e i tre figli piccoli cui badare, Marie sprofondò nel suo male e ne rimase prigioniera. «La Cosa aveva vinto. Ormai eravamo sole io e lei, per sempre. Eravamo finalmente isolate, noi e le nostre secrezioni: il sangue, il sudore, le feci, la saliva, il pus, il muco, il vomito. La Cosa aveva cacciato via i miei figli, le strade piene di gente, le luci dei negozi, la spiaggia a mezzogiorno con le piccole onde dell’estate, gli alberi di lillà, le risate, il piacere di ballare, il calore degli amici, l’esaltazione intima dello studio, le lunghe ore di lettura, la musica, le braccia tenere di un uomo attorno a me, la crema al cioccolato, la gioia di nuotare nell’acqua fresca».
Furono le parole liberate dall’analisi a permetterle di raccontare l’indicibile, di vincere la paura, di riannodare i fili di un’esistenza vissuta sotto le insegne della morale borghese e cattolica della madre. La rinuncia a studiare l’amata matematica per accedere allo studio più femminile della logica, un futuro tracciato che l’attendeva, permisero alla pazza di mettere solide radici in lei. La ribellione alle convenzioni, la volontà di lasciarsi andare alla passione erotica, non furono sufficienti a darle la sanità mentale che cercava. Forse anche perché quando era bambina la madre si interessava a lei solo quando era ammalata.
Le parole per dirlo è un libro che ha segnato un’epoca e dato slancio alle rivendicazioni dei movimenti femministi. Come Il secondo sesso di Simone de Beauvoir aveva rivelato che «donne non si nasce, lo si diventa», così il libro della Cardinal toccava tutti gli aspetti della vita femminile e li raccontava, con passione e visceralità, con l’onestà intellettuale di una donna privilegiata consapevole del privilegio, ma che cerca relazioni e confronti con decine e decine di donne qualunque che vivono una vita di sacrifici e di duro lavoro. Il mondo del padre era sempre rimasto in ombra, solo l’ingiustizia e le violenze della guerra d’Algeria le mostrano che l’orrore della storia è in mano agli uomini. Il paese della sua infanzia, quello dove i profumi dei fiori erano un’orgia dal mattino alla sera, quello dove i colori si stagliavano netti l’uno contro l’altro, quello della macchia mediterranea e delle viti che raggiungevano l’orizzonte sino al mare, era scomparso per sempre. Ma non perduto, perché le porte rinserrate della memoria, grazie all’analisi potevano riaprirsi e varcata la soglia, ogni mostro poteva manifestarsi ed essere affrontato e sconfitto. Le parole allora possono non solo essere dette ma anche scritte, e il piacere di riempire quaderni su quaderni diventa, un progetto e poi il romanzo Ascolta il mare, che il marito legge e le dice quel che lei non aveva ancora avuto il coraggio di ammettere: quel romanzo faceva di Marie una scrittrice. «Il mio primo libro è stato l’alba della mia rinascita, della mia guarigione. Mi sono avventurata in queste prime pagine bianche come una donna perduta nel deserto trova tracce di acqua. Con una gioia indicibile e anche con inquietudine, con un’ansia enorme: e se non ci fosse stata acqua? Se mi fossi ingannata? È uno degli avvenimenti più importanti della mia vita questo primo libro, forse il più importante di tutti»,
La scrittura è una fonte di liberazione per quasi tutte le protagoniste dei libri della Cardinal. La salute ritrovata e la pubblicazione di quel primo libro, la rendono piena di energia e di coraggio, di forza, una donna sulla quale si può contare. Durante l’ultimo anno di analisi la madre comincia a morire. Non è più la donna bellissima e distante della sua infanzia, ma una vecchia sconfitta dalla vita e ripugnante. Quando la morte arriva al primo sentimento di un’Apocalisse compiuta, si sostituisce un senso di sollievo e di libertà. Ci vorrà del tempo prima che la pietà e la nostalgia le permettano di andare al cimitero a piangere sulla sua tomba. A questo lutto seguono la fine dell’analisi e l’inizio delle lotte politiche. «La porta chiusa dietro di me. Davanti il vicolo, la strada, la città, la terra e una voglia di vivere e di costruire grossa come il pianeta. … Alcuni giorni più tardi venne il maggio ‘68».
«Quando scrivo, parto sempre da qualcosa che conosco, che ho vissuto. Poi c’è una trasformazione, un’apertura, inizio a divagare, “io” può diventare “lei”, un “lei” che mi appartiene più di quell’“io” fittizio. “Io” è sempre una maschera».
Anche gli altri libri di Marie Cardinal, tra cui La chiave sulla porta, I giovedì di Charles e Lula, Amore, amori ci ricordano che una analisi non finisce mai perché l’analisi è uno stile di vita e che si deve sempre lasciare da parte quel che si conosce per cercare un linguaggio nuovo, le parole che a ognuno servono per dire la propria esperienza e la propria visione del mondo, che la passione politica è anche solidarietà di genere, che le donne conoscono meglio il lato materiale della vita perché è la prima cosa che ci viene insegnata, ma che altrettanto bene possono occuparsi di tutto il resto. Un’intensa vita di animatrice culturale, di autrice di testi per il teatro e la radio popolano gli anni della maturità. Ma nell’ultimo periodo della sua vita Marie Cardinal trascorre il tempo nel sud della Francia a Malaucènes, una cittadina che le ricordava il paesaggio della fattoria di Mostaganem in Algeria, dove era cresciuta. La Madeleine è la casa dove scrive l’ultimo libro in cui ritorna a raccontare della depressione, contemplando il paesaggio, in compagnia di un vecchio castagno e un pozzo disseccato. Qui, all’ombra di una magnolia, il suo albero preferito, riposano le sue ceneri.

 
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Scrittrici dimenticate:Laura Orvieto

Post n°1992 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Laura Cantoni Orvieto (Milano, 7 marzo 1876Firenze, 9 maggio 1953) è stata una scrittrice italiana., ebrea, i cui libri per l'infanzia, e in particolare le Storie della storia del mondo, riscuotono ancora oggi grande successo

 

Biografia 

Laura Cantoni, figlia di Achille Cantoni e di Maria Cantoni, trascorre l'infanzia e l'adolescenza a Milano. Ama molto la lettura, ma la appassiona anche dedicarsi ai bambini, e si trattiene a lungo con loro narrando lunghe storie che li attraggono e li affascinano. Di indole ribelle, avrebbe voluto essere utile agli altri, come narra nell'autobiografia pubblicata postuma, e seguire l'attività dei doposcuola per l'infanzia creati dalla pedagogista Rosa Errera, ma la famiglia la frena in questa sua aspirazione. Nel 1899 sposa il giornalista e poeta Angiolo Orvieto, fondatore del periodico culturale "Il Marzocco" e si trasferisce a Firenze. Incoraggiata da Angiolo inizia a collaborare alla rivista, dapprima con semplici riassunti di saggi editi sulla stampa scientifica o straniera, quindi con veri e propri articoli, animando il dibattito con altre scrittrici e collaboratrici, quali Sibilla Aleramo o Ameria Pincherle Rosselli. A partire dal 1909 unisce la sua passione per la scrittura al desiderio di essere vicina al mondo dell'infanzia: si dedica così alla composizione di libri per bambini ispirati tanto alla vita familiare quotidiana quanto alla mitologia ed alla storia greca e romana. Sarà questa ispirazione a darle il maggior successo, con la fortunata collana delle "Storie della storia del mondo". Amica di vari scrittori e poeti a lei contemporanei, sarà particolarmente legata a Amelia Pincherle Rosselli, la madre dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, uccisi da emissari fascisti a Bagnoles de l'Orne, nel 1937. Negli anni delle persecuzioni razziali riuscirà a salvarsi nascondendosi con il marito Angiolo nel ricovero di San Carlo, fondato dal cappuccino Padre Massimo a Borgo S. Lorenzo. Nel dopoguerra sarà ancora attiva, dirigendo il periodico fiorentino per giovanetti "La Settimana dei ragazzi" dal 1945 al 1947. Si spegne a Firenze nel 1953.


L'attività di scrittrice 

Laura inizia la sua attività di scrittrice intorno al 1905, collaborando in forma anonima alla rubrica Marginalia de "Il Marzocco", dove si riassumevano in poche righe significativi articoli letterari o storici comparsi su riviste specialistiche italiane e straniere. Parteciperà poi al periodico con testi di maggiore spessore, inserendosi nei dibattiti "al femminile" discussi sulla testata fiorentina. Il suo primo volume per l'infanzia, comparso sotto lo pseudonimo "Mrs El", è Leo e Lia. Storia di due bimbi italiani con una governante inglese (1909), ispirato alle vicende quotidiane e alla sua esperienza di mamma, al quale seguirà Storia delle storie del mondo. Greche e barbare (1911), la sua opera di maggior successo, tradotta in molte lingue ed ancora oggi ristampata. Le Storie del mondo costituivano un progetto editoriale di ampio respiro, che comprenderà i volumi dedicati al mondo classico romano Storie della storia del mondo. Il natale di Roma (1928), e Storie della storia del mondo. La forza di Roma (1934), e probabilmente doveva raccogliere anche altri testi di diversa ispirazione, come il Viaggio meraviglioso di Gianni nel paese delle parole (2007), rimasti inediti vivente l'autrice. Anche l'autobiografia, conclusa nel 1939, sarà pubblicata soltanto postuma con il titolo Storia di Angiolo e Laura (2001)

 
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Massacro di Caltavuturo

Post n°1991 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

gruppo di contadini di Caltavuturo
non ebbe il tempo di dormire la notte
del 19 gennaio 1893. Girava di casa in
casa per convincere altri contadini a
partecipare all’importante manifestazione
del giorno dopo. «Ti raccomando,
non mancare...», era la frase ripetuta a
bassa voce. Poi le istruzioni: «Il segnale
sarà il suono del corno: appena lo senti,
mettiti in cammino. L’appuntamento è
al Gorgo di Sant’Antonio, a ridosso di
Terravecchia dal lato nord... ». All’alba
del 20 gennaio, si ritrovarono in centinaia
ad occupare i 250 ettari di terra
comunale, in contrada Sangiovannello.
Armati di zappe, cominciarono a dissodare
quella terra sognata da tempo, che
l’amministrazione comunale aveva promesso,
ma che mai aveva dato. «Vedremo
se il sindaco Giuffrè continuerà a fare
orecchie da mercante!», ripetevano
come per incoraggiarsi a vicenda i contadini.
In ogni angolo della Sicilia erano
ormai nati i Fasci dei lavoratori. Quel
giorno nacque anche a Caltavuturo. All’improvviso,
però, arrivò sul posto il tenente
Guttalà, comandante del presidio
militare di stanza in paese, con i
suoi uomini. «State tranquilli - disse l’ufficiale
- che l’amministrazione comunale
ormai ha deciso di darvele queste terre.
Tornate a casa tranquilli, che tutto si
risolverà per il meglio». Parole inutili,
perché i contadini nemmeno l’ascoltarono.
Anzi, cominciarono a fischiare e a
urlare contro la truppa. Per evitare che la
situazione precipitasse, Guttalà e i suoi
uomini si ritirarono e tornarono in paese.
Poco dopo, un gruppo di dimostranti
smise di zappare la terra e si recò davanti
al municipio, per chiedere di parlare
col sindaco. Fu risposto che il signor
Giuffrè era ammalato e che nessun assessore
era presente nella casa comunale.
Dal balcone del municipio si affacciò,
invece, il segretario comunale Antonino
Oddo, che disse: «Picciotti, chi c’è carnivalata?
». Una provocazione bella e buona,
fatta apposta per irritare i contadini
presenti, «che ben sapevano di quante
usurpazioni era responsabile proprio
lui», racconta il sacerdote don Giuseppe
Guarnieri, nel libro «Ricerche storiche su
Caltavuturo», edito Dalla Kefagrafica di
Palermo nel 1998. Ciò nonostante, i manifestanti
si lasciarono alle spalle il municipio
per tornare sui campi a zappare
insieme ai loro compagni. Ma quest’ultimi,
essendo ormai mezzogiorno, avevano
sospeso di lavorare e stavano tornando
in paese. Sulla via Vittorio Emanuele
erano, però, schierati i soldati, i carabinieri
e due guardie comunali, con
l’intenzione di impedire che i due gruppi
si ricongiungessero. Il tenente Guttalà
ancora una volta cercò di convincere i
contadini a disperdersi e a tornare nelle
proprie abitazioni, ma qualcuno tra i
manifestanti lanciò un sasso contro la
truppa, che fece esplodere due colpi in
aria. Gli spari, però, non intimidirono i
contadini, che continuarono ad avanzare,
lanciando altre pietre contro le
forze dell’ordine. A questo punto, si udirono
altri colpi, poi una fitta scarica di
fucileria e diversi contadini caddero a
terra in un lago di sangue. I militari e i
carabinieri (ma qualcuno giura di aver
visto anche qualcuno in borghese) avevano
cominciato a sparare ad altezza
d’uomo, consumando una strage. Otto
contadini furono uccisi sul colpo (Giuseppe
Bonanno di 28 anni, Nicolò Ianné
di 69 anni, Vincenzo Guarnieri di età
imprecisata, Giuseppe Renna di 30 anni,
Mariano Guggino di 49 anni, Mariano
Ariano di 34 anni, Giuseppe Modaro di
34 anni e Calogero Di Stefano di 32 anni),
ventisei rimasero feriti, ma, di questi,
cinque morirono nei giorni successivi.
Era il 20 gennaio 1893, il giorno di San
Sebastiano. E infatti, «in un primo tempo,
la popolazione, nell’udire gli spari,
pensò che si trattasse di mortaretti fatti
scoppiare in onore di San Sebastiano,
ma ben presto fu chiara la tragica realtà
di una inumana ed inutile strage, che
poteva e doveva essere evitata», scrive
ancora don Giuseppe Guarnieri. I manifestanti
rimasti illesi fuggirono sulle
montagne, ma alle quattro di pomeriggio
arrivò da Palermo una compagnia di
fanteria, che scatenò una vera caccia all’uomo,
arrestando parecchi contadini. I
cadaveri dei morti rimasero sulla strada
fino al pomeriggio del 21 gennaio, ’presidiati’
dalle forze dell’ordine, che impedirono
ai familiari di avvicinarsi, ma
non riuscirono ad evitare che i cani randagi
ne facessero scempio.

 
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I fasci siciliani

Post n°1990 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Fasci siciliani (detti anche Fasci Siciliani dei Lavoratori) furono un movimento di massa di ispirazione democratica e socialista, sviluppatosi in Sicilia dal 1891 al 1893, fra proletariato urbano, braccianti agricoli, minatori ed operai. Fu sopito solo dopo un intervento militare durante il governo Crispi.

 

Profilo storico ]

Sull'esempio dei fasci operai nati nell'Italia centro-settentrionale, il movimento fu un tentativo di riscatto delle classi meno abbienti e, inizialmente, era formato dal proletariato urbano, a cui si aggiunsero braccianti agricoli, "zolfatai" (minatori), lavoratori della marineria ed operai. Essi protestavano sia contro la proprietà terriera siciliana, sia contro lo Stato che appoggiava apertamente la classe benestante. La società siciliana era all'epoca parecchio arretrata, il feudalesimo, sebbene abolito (dagli stessi aristocratici illuminati) agli inizi del XIX secolo, aveva condizionato la distribuzione delle terre e quindi delle ricchezze. L'unità d'Italia d'altro canto, non aveva portato i benefici sociali sperati ed il malcontento covava fra i ceti più umili. Il movimento chiedeva fondamentalmente delle riforme, soprattutto fiscali ed una più radicale nell'ambito agrario, che permettesse una revisione dei patti agrari (abolizione delle gabelle) e la redistribuzione delle terre.

La costituzione dei Fasci ed il massacro di Caltavuturo 
Giuseppe de Felice Giuffrida

I Fasci furono ufficialmente fondati il 1 maggio del 1891, a Catania ad opera Giuseppe de Felice Giuffrida in data 1 maggio 1891. Il movimento era però nato in maniera spontanea già alcuni anni prima il 18 marzo 1889 a Messina. A questo fece seguito il Fascio di Palermo (29 giugno 1892) guidato da Rosario Garibaldi Bosco e la costituzione del Partito dei Lavoratori Italiani (agosto 1892). A questi due fasci se ne aggiunse quello di Siracusa, uno dei primi con 5000 aderenti, presieduto dall'avv. Luigi Leone ed altri amcora e, già alla fine del 1892, il movimento si era diffuso in tutto il resto dell'isola con sedi in ogni capoluogo, tranne Caltanissetta. Il 20 gennaio 1893, a Caltavuturo (PA), 500 contadini, di ritorno dall'occupazione simbolica di alcune terre del demanio, vennero dispersi da soldati e carabinieri armati di fucile, e tredici manifestanti caddero vittime. A seguito di tale massacro furono organizzate numerose manifestazioni di solidarietà sia da parte dei Fasci, che sul piano nazionale, ed aumentò l'esasperazione dello scontro sociale.

Il Congresso di Palermo [modifica]

Il 21 e 22 maggio 1893 si tenne il congresso di Palermo cui parteciparono 500 delegati di quasi 90 Fasci e circoli socialisti. Venne eletto il Comitato Centrale, composto da nove membri: Giacomo Montalto per la provincia di Trapani, Nicola Petrina per la provincia di Messina, Giuseppe De Felice Giuffrida per la provincia di Catania, Luigi Leone per la provincia di Siracusa, Antonio Licata per la provincia di Girgenti, Agostino Lo Piano Pomar per la provincia di Caltanissetta, Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato e Bernardino Verro per la provincia di Palermo

L'apice del movimento fu raggiunto nell'autunno del 1893, quando il movimento organizzò scioperi in tutta l'isola e tentò un'effimera insurrezione. La società siciliana fu sconvolta, ovunque si ebbero violenti scontri sociali, ed il movimento dettò le proprie condizioni alla proprietà terriera per il rinnovo dei contratti.

La repressione 

In questo contesto, il presidente del consiglio Francesco Crispi, siciliano di origini arbëresh, nel tentativo di ristabilire l'ordine e ascoltando solo le istanze dei possidenti, adottò la linea dura con un intervento militare. Il movimento fu sciolto nel 1894 e i capi vennero arrestati dal Commissario Regio Roberto Morra di Lavriano. Il 30 maggio il tribunale militare di Palermo condannò Giuseppe de Felice Giuffrida a 18 anni di carcere, Rosario Bosco, Nicola Barbato e Bernardino Verro a 12 anni di carcere quali capi e responsabili dei Fasci siciliani. L'on. de Felice fu difeso in sede giudiziaria dall' avvocato siciliano G.B. Impallomeni. Nel 1895, con un atto di amnistia, venne concessa la clemenza a tutti i condannati in seguito ai fatti dei Fasci siciliani.

Si concludeva così, in modo violento, il primo vero tentativo di emancipazione delle classi più umili, organizzato contro i proprietari fondiari.

 
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Il cielo in me (Pozzi)

Post n°1989 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Io non devo scordare
che il cielo
fu in me.

Tu
eri il cielo in me,
che non parlavi
mai del mio volto, ma solo
quand'io parlavo di Dio
mi toccavi la fronte
con lievi dita e dicevi:
- Sei più bella così, quando pensi
le cose buone -

Tu
eri il cielo in me,
che non mi amavi per la mia persona
ma per quel seme
di bene
che dormiva in me.

E se l'angoscia delle cose a un lungo
pianto mi costringeva,
tu con forti dita
mi asciugavi le lacrime e dicevi:
- Come potrai domani esser la mamma
del nostro bimbo, se ora piangi così? -

Tu
eri il cielo in me,
che non mi amavi
per la mia vita
ma per l'altra vita
che poteva destarsi
in me.
Tu
eri il cielo in me
il gran sole che muta
in foglie trasparenti le zolle

e chi volle colpirti
vide uscirsi di mano
uccelli
anzi che pietre
- uccelli -
e le lor piume scrivevano nel cielo
vivo il tuo nome
come nei miracoli
antichi.

Io non devo scordare
che il cielo
fu in me.

E quando per le strade - avanti
che sia sera -
m'aggiro
ancora voglio
essere una finestra che cammina,
aperta, col suo lembo
di azzurro che la colma.
Ancora voglio
che s'oda a stormo battere il mio cuore
in alto
come un nido di campane.
E che le cose oscure della terra
non abbiano potere
altro - su me,
che quello di martelli lievi
a scandere
sulla nudità cerula dell'anima
solo
il tuo nome.

 
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Libri dimenticati:Quando cielo e terra cambairono posto

Post n°1988 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Libro molto bello di una donna vietnamita-Da leggere

 
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Frase del giorno

Post n°1987 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Dicono che per amore non si muore,io per amore sto morendo

 
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