Messaggi del 27/02/2012

Scrittori dimenticati:Julien Green

Post n°2021 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

E' morto a 97 anni lo scrittore franco - americano, uno dei massimi narratori cattolici del secolo. Membro dell'Accademia di Francia, si dimise nel 1992 Julien Green, il profeta inattuale Julien Green e' morto giovedi' scorso nella sua abitazione parigina. Aveva 97 anni. La notizia e' stata diffusa dai familiari soltanto ieri.Sembrava immortale e in effetti aveva trovato un modo di vivere di straordinario equilibrio, per questo Julien Green e' potuto arrivare alla piu' grande eta' senza mai rinunciare a niente (era nato a Parigi, da genitori americani, nel 1900). Si sarebbe detto che piu' andava avanti con gli anni piu' aumentava la sua capacita' di essere allo stesso tempo essenziale e completo. Il fascino che aveva esercitato su di lui la letteratura francese dai primi secoli fino alle opere dei suoi contemporanei lo indusse a diventare cittadino francese a pieno titolo e gli permise di salire la scala degli onori fino al seggio dell'Accademia francese. Spirito aperto e portato all'interpretazione, si puo' dire abbia dedicato tutte le sue forze a capire le ragioni dell'amore e quelle della fede cristiana. Da anni teneva un diario diventato famoso come quelli di Andre' Gide e il suo continuo scandaglio sui confini della fede era simile a quello di Frannois Mauriac. D'altra parte Green apparteneva a diverse civilta', da quelle della profonda America, a quella inglese, alla francese, ma anche alla nostra e a quella tedesca. Grazie alle pagine del diario siamo in grado di ripercorrere il suo itinerario spirituale e intellettuale e di ammirare quel suo sapiente dosaggio di storia, psicologia, teologia e arte. Si sarebbe detto che col passare degli anni la sua forza di osservazione raggiungesse spazi dell'anima fino ad allora rimasti oscuri. Grande amico dell'Italia, gli erano state offerte diverse possibilita' di venirsi a stabilire nel nostro Paese, soprattutto da parte di una citta' romagnola, Forli', dove amava soggiornare e contava molti amici, ma nonostante il disagio che spesso mostrava verso la Francia e le sue istituzioni rimase sempre nella sua bella casa parigina fra libri preziosi e opere d'arte. Pubblico' i suoi primi romanzi negli anni Venti, fra i quali spicca Adrienne Mesurat del 1927 che gli fece guadagnare consensi e partecipazione da quel gruppo di intellettuali che Maritain era riuscito a raccogliere intorno alla Chiesa cattolica. Aveva partecipato alla Prima guerra mondiale nella Croce Rossa mentre dopo il '40 preferi' fare ritorno a quella sua America sontuosa e semplice. Da questi ritorni alle origini uscirono i suoi romanzi maggiori per impegno, ricchezza di notizie e di interpretazione. Nell'ora del suo ultimo addio sono sicuro che i lettori migliori, quelli che cercano nella letteratura qualche cosa di piu' di un divertimento, abbiano rivolto un sincero ringraziamento e anche una parola di grande ammirazione per chi nella confusione della vita era riuscito a mantenere ben saldi alcuni principi. Spesso sembrava che sfiorando gli abissi e gli incanti del cuore umano, alla fine prevalessero in Julien Green le doti di un poeta che aveva saputo giovarsi delle esperienze dei maggiori studiosi dell'anima cristiana, in modo da non cadere mai nel baratro del pessimismo e del rifiuto della vita. Chi lo ha visto vivere nell'ultima parte della sua esistenza, puo' dire di aver conosciuto una sorta di monumento dell'intelligenza e della passione. Cosi' come sapeva alternare e dosare le ore di lavoro, quelle della meditazione e quelle dei viaggi. Puo' ben dire di aver avuto il privilegio di conoscere uno spirito veramente vivo e un narratore di altri mondi. In conclusione la morte di Green non e' soltanto una perdita per la letteratura francese ma nello stesso tempo un'offesa inflittaci crudelmente dalle leggi della natura. Carlo Bo ----------------------------------------------------------------- Quel pomeriggio disse: voglio il Paradiso EPARIGI ra impallidito, sembrava che stesse scivolando dalla poltrona su cui era seduto. Il grande Julien Green, il personaggio che con sdegno nel 1992 aveva voltato le spalle all'Academie de France definendo gli Immortali come uno sciame di maleducati, aveva avuto un malore pochi minuti dopo che lo avevo intervistato. Era il mese di giugno. Eric, suo figlio, s'era precipitato a chiamare un medico. Fino a poco prima, nell'appartamento della rue Vaneau, avevamo parlato della giovinezza del suo pensiero, della sua nitidezza. Da tempo il suo nome figurava nella Pleiade e proprio Eric aveva curato l'Album, una raccolta di foto. Vestito di blu, con quella sua infinita dolcezza, mi aveva ripetuto d'essere un americano che scriveva in francese. E aggiunse: "Non amo piu' la Francia come una volta". Gli avevano persino rifiutato una sepoltura in terra francese. "Pensi, io che sono un discepolo di San Francesco", aveva mormorato quel pomeriggio. Alcuni anni fa aveva scelto la chiesa di Andresy, nelle Yvelines. La chiesa dove Enrico IV fece abiura. I fedeli insorsero: "Non lo vogliamo - dissero - perche' e' uno scrittore scandaloso". E lui, quel pomeriggio, disse ancora: "C'e' gia' una tomba con il mio nome a Klagenfurt, nel Sud dell'Austria cattolica. La chiesa e' dedicata a Sant'Egidio, compagno di San Francesco". Ed e' la' che e' stato sepolto a fine settimana. Mi ricordo che Eric gli passava dolcemente la mano tra i capelli d'argento. Julien aveva parlato dell'angelo custode che gli stava sempre accanto."Sento il passato che mi guarda", disse. E ricordava la giovinezza, quando voleva essere avvolto dal benessere e, invece, guerre e conflitti incombevano sulla sua aspirazione. "Nella mia vita - commento' - c'e' stata sempre una dualita': mi sentivo felice e intorno a me gli avvenimenti erano tragici". Una volta avevamo camminato insieme per le strade di Parigi e lui rideva come un bambino davanti alle panetterie: gli ricordavano l'infanzia e la madre adorata. "Non ho perso mai la speranza - disse ancora quel giorno di giugno -, neanche durante l'orrore del nazismo. E non l'ho persa nemmeno oggi, anche se non ho visto il promesso mondo migliore". Aveva parlato di letteratura, aveva detto che con Lawrence e Kafka aveva condiviso il dramma dell'esistenza, che erano tutti e tre fratelli nell'assurdita' della condizione umana. Avevo avuto il coraggio di chiedergli prima del malore: le fa paura la morte? Aveva risposto: "No, pero', voglio il paradiso. Lo voglio subito. Ho paura di dover aspettare"

 
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Scrittori dimenticati:Emilio De Marchi

Post n°2020 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Emilio De Marchi (Milano, 31 luglio 1851Milano, 6 febbraio 1901) è stato uno scrittore italiano.

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Biografia [modifica]

Di famiglia di modeste condizioni e orfano di padre, riuscì a laurearsi in Lettere nel 1874 nell'allora Accademia Scientifico Letteraria di Milano, poi divenuta l'Università degli studi di Milano. Dell'accademia divenne in seguito segretario e libero docente di Stilistica. Frequentò il mondo letterario milanese dominato in quel momento dalla Scapigliatura. Ebbe un ruolo attivo anche nelle istituzioni caritative cittadine, ed un'eco di questa sua esperienza si riscontra anche nei suoi romanzi.[1] Volle tenersi lontano dalle esasperazioni naturalistiche e fedele agli insegnamenti del Manzoni, all'equilibrio ed al rigore morale del realismo a cui era spinto anche dal suo credo cristiano. Fondatore della rivista "La vita nuova" si dimette alla fusione con la rivista radicale "il preludio" poiché riteneva inconciliabili i due punti di vista.

Negli anni 1876-1877 si dedicò a scrivere romanzi, secondo l'uso del tempo pubblicati su periodici e quotidiani: Tra gli stracci, Il signor dottorino e Due anime in un corpo. La morale è quella borghese del Manzoni, dove rassegnazione e onestà pagano più di sovversione e violenza, il contrasto doloroso tra ricchi e poveri non autorizza la lotta di classe.

Con Il cappello del prete (1888) inventò il romanzo noir[2], un nuovo genere letterario almeno per l'esperienza italiana. Nel romanzo, ambientato a Napoli, è appunto un cappello a essere l'unica traccia che conduce a svelare l'uccisione di un prete affarista da parte di un nobile spiantato. Il cappellaio si accontenta di un terno come pagamento di un cappello da prete; I numeri escono, ma nel frattempo il prete è stato ucciso. Esce a puntate nel 1887 per dimostrare quanto di onesto e vitale c'è nel grande pubblico.

Il successivo Demetrio Pianelli (1889) torna ad una ambientazione milanese. Tale romanzo appartiene al filone del romanzo impiegatizio i cui dimessi eroi condannati ad una mediocre routine scoprono dentro di sé il bisogno di una felicità regolarmente negata. Demetrio in seguito al suicidio per debiti del fratello deve provvedere alla sua famiglia, ma si innamora della cognata e per lei (che sposerà in seconde nozze un ricco cugino) giunge ad insultare il capoufficio e viene trasferito a Grosseto.

Più che ai vinti di Verga, a differenza del quale De Marchi interviene nel racconto, il personaggio di Demetrio fa pensare ad una umanità dolente di umiliati ed offesi, bilanciato da un umorismo manzoniano.

Altri romanzi sono Arabella (1892), Redivivo (1894), Giacomo l’idealista (1897) e Col fuoco non si scherza (1900). In essi gli intrecci si complicano e si sconfina nel melodramma. Arabella continua la storia di Demetrio Pianelli, è sua nipote, anche lei destinata all'infelicità.

Nei suoi scritti politici, come Le forze conservatrici pubblicate nel 1898 si augurò la nascita di un forte partito conservatore e di un governo aristocratico, invitando le classi popolari ad accettare uno stato di subalternità.[3]

Nei libri a sfondo pedagogico, come nell'Età preziosa del 1888 esaltò i valori tradizionali religiosi e familiari.

Nei saggi di critica letteraria, quali Lettere e letterati del secolo XVIII perseguì la ricerca di un contenuto morale.

Le vicende di vita personali, come la morte di una figlia quindicenne,ne acuirono il pietismo negativo. pubblica i suoi romanzi sui quotidiani perché rifacendosi al Manzoni, dà alla letteratura una funzione educativa.

Morto a Milano il 6 novembre 1901, è sepolto presso il Cimitero di Maggianico di Lecco, nella tomba di famiglia della moglie.

 
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Scrittrici dimenticate:Rosa Rosà

Post n°2019 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Nasce a Vienna nel 1884 da una famiglia aristocratica con il nome di Edyth van Haynau. Viene educata in casa, ma riesce a frequentare, contro il parere della famiglia, la scuola d’arte a Vienna.
Nel 1907, durante una crociera a Capo Nord, conosce lo scrittore italiano Urlico Arnaldi che sposa l’anno seguente. Si trasferisce a Roma dove, tra il 1909 e il 1915, ha quattro figli.
Durante la guerra, mentre il marito è al fronte, si accosta al futurismo. Sceglie lo pseudonimo di Rosà, da una cittadina del Veneto e lo raddoppia: Rosa Rosà.
Collabora con la rivista «L’Italia futurista» (1916-1918) e si dedica alla scrittura, al disegno e alla grafica. Sulla rivista pubblica anche una serie di articoli sulla questione femminile, oltre a numerosi racconti. Come futurista pubblica due volumi: Una donna con tre anime nel 1918 e Non c’è che te! nel 1919. Illustra numerosi libri futuristi (di Corra, Carli, Ginna) e partecipa alla Grande Esposizione Nazionale Futurista (Milano-Genova-Firenze) del 1919 e a quella internazionale di Berlino nel 1922. In seguito pubblica Eterno Mediterraneo nel 1964 e Il fenomeno Bisanzio nel 1970.
Negli ultimi anni della sua vita si occupa delle manifestazioni espressive dell’uomo primitivo conducendo ricerche nei musei e sui luoghi dei ritrovamenti. Muore a Roma nel 1978.

 
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Luigi Lucheni

Post n°2018 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

uigi Lucheni o Luccheni (Parigi, 22 aprile 1873 – Ginevra, 19 ottobre 1910) è stato un anarchico italiano che il 10 settembre 1898 uccise, a Ginevra, l'imperatrice Elisabetta d'Austria.


L'infanzia

La madre, Luigia Lacchini (o Lucchini), era una bracciante alle dipendenze di un'agiata famiglia parmense, presso l'odierna Albareto; rimasta incinta dopo una relazione con il figlio di un grosso proprietario del luogo, andò a nascondere il parto a Parigi, dove nacque Luigi, che abbandonò all'Hospice des enfants assistés. Per un errore di trascrizione all'anagrafe il cognome fu francesizzato in Lucchéni. Luigia Lucchini emigrò in America e non rivide mai più né ebbe più nessun contatto con suo figlio.

Lucheni passò la sua infanzia prima all'orfanotrofio Enfants Trouvés di Parigi, in seguito in Italia crebbe tra un altro orfanotrofio e famiglie povere della zona, che sfruttavano la sua attitudine al lavoro, lo nutrivano male e lo maltrattavano, obbligandolo persino ad assecondare un mendicante. Per sfuggire alla sua amara sorte, a quattordici anni fuggì da Albareto e iniziò a vagare per l'Europa.
La formazione

Fece il servizio militare nel reggimento di cavalleria Monferrato, a Napoli. Partecipò in qualità di soldato a cavallo alla guerra in Africa orientale dove prestò servizio agli ordini del principe Raniero de Vera d'Aragona con cui rimase a lavorare finita la guerra come attendente per un periodo di tempo, frequentando indirettamente i cerchi dell'alta società borbonica. Fu insignito della Medaglia a ricordo delle Campagne d'Africa con la fascetta Campagna 1895-96. Ambiva il posto di direttore di carcere, che non gli fu concesso, per cui amareggiato lasciò Napoli riprendendo la sua erranza in cerca di lavoretti per sopravvivere.

Dopo aver errato per tutta l'Europa e aver pensato di emigrare in America, si trasferì a Losanna quale manovale nella costruzione della Posta nuova dove si avvicinò ad alcuni gruppi di anarchici, allora impegnati nel dibattito sull'opportunità del regicidio. In tale ambito Luccheni maturò il vago progetto di rendere imperituro il suo nome compiendo un atto irreparabile.
Il regicidio

Il 10 settembre 1898 si decise a mettere in atto i suoi propositi di regicida. Non avendo abbastanza soldi per comperare un'arma da fuoco o un semplice pugnale, acquistò una lima triangolare che fece affilare da un arrotino di Losanna. Si recò in battello a Evian dove soggiornava l'alta aristocrazia europea e comperò un catalogo degli ospiti illustri (l'Evian Programme, ritrovato nelle sue tasche al momento dell'arresto e conservato agli archivi di Stato di Ginevra). Non trovando nessuno da poter assassinare, decise di approfittare del passaggio a Ginevra del pretendente al trono di Francia principe d'Orléans, ma questi era già ripartito per Parigi.
Abis della Clara e l'idea del regicidio

Errò così per le strade di Ginevra, fin quando non si imbatté in un commilitone che aveva svolto con lui il servizio militare nella cavalleria a Napoli, il chiavennasco Giuseppe Abis della Clara (1869-1956) il quale curava i cavalli di un'impresa di trasporti e conosceva molti cocchieri. Fu Giuseppe Abis della Clara (di una famiglia che aveva servito fedelmente l'Impero Austro-Ungarico da generazioni) a rivelare a Luccheni l'arrivo a Ginevra, quel pomeriggio stesso, dell'Imperatrice Elisabetta d'Austria - probabilmente riconosciuta da un cocchiere nei pressi dell'Hôtel Beau Rivage dove era scesa con un'unica accompagnatrice, la contessa Irma Sztáray, e a suggerirgli "ecco chi puoi assassinare!" .

La notizia della presenza dell'Imperatrice a Ginevra fu pubblicata dalla Tribune de Genève solo il giorno successivo, poiché quella viaggiava in incognito e aveva rifiutato la protezione della polizia ginevrina. Sbarcata dal battello alle 13 del 9 settembre 1898 si recò in carozza privata direttamente al castello di Pregny dove l'attendeva una sua amica, la baronessa Rothschild, e tornò all'albergo Beau Rivage solo alle 18 di sera. Dopo cena fece una passeggiata a piedi per le vie della città accompagnata dalla sola contessa Stárai, sino alla pasticceria Désarnod, sita vicino al Grand Théâtre. L'indomani mattina andò di nuovo in città a fare delle compere
L'omicidio

Per nascondere l'inesorabile declino della sua bellezza, l'Imperatrice, sempre vestita di nero dopo il suicidio del figlio Rodolfo, celava il viso dietro una veletta - o un ombrellino - ed era difficile da riconoscere. Doveva imbarcarsi per Territet alle ore 13 di quel giorno 10 settembre quando Luigi Lucheni, informato sull'indirizzo dell'Imperatrice e sulle sue sembianze da Giuseppe della Clara, si appostò sul quai du Mont-Blanc, dietro un ippocastano, armato della sua lima nascosta in un mazzo di fiori; al passaggio dell'imperatrice la pugnalò al petto, con un unico colpo preciso, tentando poi di fuggire. Fu arrestato da quattro passanti, non lontano dal luogo dell'attentato. Al commissario che lo interrogava chiedendogli il motivo del suo gesto, pare abbia risposto: «Perché sono anarchico. Perché sono povero. Perché amo gli operai e voglio la morte dei ricchi».

L'imperatrice che correva verso il battello (la sirena della partenza aveva già suonato) si accasciò per effetto dell'urto, ma si rialzò e riprese la corsa, non sentendo apparentemente nessun dolore. Fu solo arrivata sul battello che impallidì e svenne nella braccia della contessa Stáray. Il battello fece retromarcia e l'Imperatrice fu riportata nella sua camera d'albergo; spirò un'ora dopo, senza aver ripreso conoscenza. L'autopsia effettuata dal dottor Mégevand, mostrò che la lima aveva trafitto il ventricolo sinistro, e che Elisabetta era morta d'emorragia interna .
La carcerazione e la morte
L'arresto di Lucheni

Dopo l'arresto, Luccheni venne condannato all'ergastolo. In cella imparò il francese al punto da scrivere in quella lingua le sue memorie intitolate "Histoire d'un enfant abandonné, à la fin di XIXe siècle, racontée par lui-même". Morì in galera nel 1910, molto probabilmente suicida, anche se vi è il sospetto che possa essere stato strangolato con la cintura alla quale fu trovato appeso nella sua cella (le prime cose che vengono tolte ad un prigioniero sono la cintura dei pantaloni e le stringhe delle scarpe).

La sua testa recisa fu conservata in un boccale di formalina, e mostrata agli ospiti illustri dell'Hôtel Métropole (Molotov,Lenin, Malienkov, Briegniev). Fu regalata, nel 1998, nel centenario dell'assassinio, dal Governo svizzero all'Istituto di patologia di Vienna.
Le possibili ragioni del regicidio

Le memorie di Lucheni, che si interrompono proprio quando sta per lasciare per sempre Albareto, furono ritrovate nel 1938 e pubblicate da Santo Cappon . Racconta quanto ha sofferto dell'abbandono da parte della madre per la quale nutriva amore e odio, e quanto lo facevano soffrire le ingiustizie di una società che non rispettava i diritti di ogni bambino ad avere almeno un po' di amore e di felicità . Dalle sue memorie e dai dati del suo processo risulta che non era anarchico, ma che col suo gesto voleva al contempo dare lustro al suo nome e vendicare le ingiustizie subite. Santo Cappon, nella sua biografia di Lucheni, sostiene che forando il cuore di Elisabetta, Lucheni abbia punito la madre che lo aveva abbandonato.

In riferimento all'imperatrice Elisabetta che - come sappiamo dal suo diario poetico pubblicato solo nel 1998 - si era augurata di morire "improvvisamente, rapidamente e se possibile all'estero" ha visto questo suo desiderio esaudito proprio da uno di quei fanciulli infelici "oppressi dall'Ordine stabilito" ai quali dedicava le sue lacrime, a difetto dei suoi diamanti o del suo tempo che occupava a girovagare per tutta Europa e a maledire, nelle sue poesie, la dinastia asburgica La biografia di B. Hamann ha rivelato che Elisabetta era una libertaria, anti-clericale, pre-comunista, - ed era ben più a sinistra di Lucheni - e che il suo sogno era di indurre Francesco Giuseppe all'abdicazione e a andare a vivere con lei sulle rive del Lemano. Emma Goldman, che pure aveva apprezzato le azioni di Sante Caserio e Gaetano Bresci, condannò il gesto di Lucheni perché la vittima era una donna.

Al giudice, il quale gli rinfacciava di avere ucciso una donna sola e disperata, Lucheni rispose di non averlo saputo, di avere invece creduto che Elisabetta fosse una donna realizzata e felice.

 
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Sante Caserio

Post n°2017 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

ante Geronimo Caserio (Motta Visconti, 8 settembre 1873 - Lione, 16 agosto 1894) è stato un anarchico italiano che, nel 1894, pugnalò a morte il presidente della repubblica francese Marie-François Sadi Carnot.

Biografia


Sante Geronimo Caserio nacque da una famiglia contadina l'8 settembre 1873. Ebbe numerosi fratelli e il padre morì in un manicomio. Non volendo pesare sulla madre, a cui era molto affezionato, all'età di dieci anni scappò di casa per trasferirsi a Milano. Qui trovò lavoro come garzone di un fornaio. Venne in contatto con gli ambienti anarchici della fine del XIX secolo, fondò anche un piccolo circolo anarchico denominato "A Pè" ("A Piedi"), nel senso di senza soldi). Pietro Gori lo ricordava come un compagno molto generoso; raccontava di averlo visto, davanti alla Camera del Lavoro, dispensare ai disoccupati pane e opuscoli anarchici stampati con il suo misero stipendio. Venne identificato e schedato durante una manifestazione di piazza, e fu costretto a fuggire prima in Svizzera e poi in Francia.

Il 24 giugno uccise il presidente Carnot durante un'apparizione pubblica a Lione colpendolo al cuore con un coltello dal manico rosso e nero (i colori che simboleggiano l'anarchismo). Dopo l'atto non tentò la fuga, ma corse attorno alla carrozza del moribondo gridando «Viva l'anarchia». Fu processato il 2 e 3 agosto e fu giustiziato il 16 dello stesso mese tramite ghigliottina.

Di fronte al tribunale che lo condannò alla ghigliottina tra le altre cose disse:

«Dunque, se i governi impiegano contro di noi i fucili, le catene, le prigioni, dobbiamo noi anarchici, che difendiamo la nostra vita, restare rinchiusi in casa nostra? No. Al contrario noi rispondiamo ai governi con la dinamite, la bomba, lo stile, il pugnale. In una parola, dobbiamo fare il nostro possibile per distruggere la borghesia e i governi. Voi che siete i rappresentanti della società borghese, se volete la mia testa, prendetela».

Al processo, infatti, non tentò mai di negare il proprio gesto, nè di chiedere la pietà del giudice. Gli fu offerta la possibilità di ottenere l'infermità mentale e in cambio avrebbe dovuto fare i nomi di alcuni compagni, ma Caserio rifiutò sprezzatamente: «Caserio fa il fornaio, non la spia». In cella, mentre attendeva la condanna a morte, gli fu anche mandato il parroco di Motta Visconti per l'estrema unzione, ma egli rifiutò di confessarsi e cacciò il prete. Sul patibolo, infine, un attimo prima di morire gridò rivolto alla folla: «Forza, compagni! Viva l'anarchia!».

Dopo la condanna di Sante Caserio vi furono diversi atti di violenza e intolleranza da parte dei francesi contro i lavoratori italiani, compatrioti dell'assassino del loro presidente. Un anarchico fu arrestato per aver gridato la propria simpatia verso Caserio in un locale pubblico e un carcerato venne percosso violentemente per lo stesso motivo. Il gesto dell'anarchico italiano aveva risvegliato qualcosa nel cuore dei ribelli oppressi di Francia.

Sulla figura di Caserio si è in seguito sviluppata una tradizione popolare di canti e di memoria collettiva che dura ai giorni nostri. Numerose sono le canzoni a lui dedicate, in parte tramandate oralmente. Esempi sono Le ultime ore e la decapitazione di Caserio di Pietro Cini (nota anche come Aria di Caserio), Partito da Milano senza un soldo di autore anonimo, La ballata di Sante Caserio di Pietro Gori e Il processo di Sante Caserio.
L'interrogatorio

Brani estratti dal testo Per quel sogno di un mondo nuovo di Rino Gualtieri .

Sante scrolla le spalle.
«Vostro padre fu malato?».
«No signore.».
«Voi appartenete ad un'onesta famiglia. Vostra madre, giudicando dalle sue lettere, è una donna di sentimenti elevati. Frequentavate la scuola, ma spesso mancavate.».
Sante sorride: «Se avessi avuto maggiore istruzione sarebbe stato meglio.».
«A dieci anni eravate garzone di calzolaio, facevate da angelo nelle processioni.».
«I ragazzi non sanno quello che fanno.».
«Voi avete atteso il Presidente per assassinarlo?».
«Sissignore.».
«Vediamo come siete arrivato a questo punto. Fu dopo il processo agli anarchici a Roma nel 1891 che siete diventato anarchico?»”.
«No.».
Pugnale utilizzato da Caserio per compiere la sua azione.
Foglio volante di un cantastorie che narra la storia di Sante Caserio (fine Ottocento).

«Avete frequentato le conferenze dell'avvocato Gori?».
«Quando Gori venne a Milano io ero già anarchico.».
«Ma le seguiste, le conferenze?».
«Ci andavano tutti ed andai anch'io.».
«La vostra famiglia fece il possibile per togliervi dall'anarchia?».
«Voglio bene alla mia famiglia ma non può sottomettermi al suo volere. La mia famiglia è l'umanità.».
«A Milano facevate parte del gruppo cui apparteneva Ambrogio Mammoli?».
«Anche se lo conoscessi non lo direi, non sono un agente di polizia.».
«Nel 1892 foste arrestato mentre facevate propaganda anarchica fra i soldati in un quartiere detto di Porta Vittoria?».
«Sissignore.».
«Nel 1893 foste disertore?».
«La mia patria è il mondo intero.».
«Voi sapevate che il giorno in cui avete ucciso il Presidente era l'anniversario della battaglia di Solferino, nella quale i francesi sparsero il loro sangue in aiuto degli italiani?».
«Il 24 giugno so che è la festa di S. Giovanni, patrono del mio paese. E poi tutte le guerre sono guerre civili.».
«L'accusa sostiene che voi abbiate compiuto il delitto premeditatamente.».
«È vero.».
«Voi avete ucciso il Presidente perché siete anarchico?».
«Sì.».
«E come tale odiate tutti i capi di Stato?».
«Sì.».
«Una volta diceste pure che sareste andato in Italia ad uccidere il Re e il Papa.».

Sante sorride: «Il Re e il Papa non si possono ammazzare insieme, perché non sono mai insieme.».
«Un soldato vi intese dire in febbraio che sareste andato a Lione ad uccidere Carnot».
«Faccio rilevare che nel mese di febbraio non potevo dire che sarei andato a Lione per suicidare (testuale) Carnot, perché allora non si poteva sapere che il Presidente vi sarebbe andato.».
«Se la verità intera non si può sapere è pero certo che dopo il rifiuto della grazia a Vaillant, Carnot ricevette lettere di minaccia dagli anarchici; che ne dite? Voi dovete avere dei capi.».
«Nessuno mi comandò, eseguii tutto da me solo.».
«Con quale diritto avete ucciso il Presidente, il diritto naturale lo proibisce, questo lo sapete?».
«Ho ucciso quell'uomo perché era un simbolo, il responsabile di quanto era accaduto giusto l'anno prima, il 24 giugno 1893 ad Aigues Mortes alle saline vicino a Nimes.».
«E l'ha ritenuto responsabile anche di non aver concesso la grazia a Vaillant»?.
«Assolvere tutti senza nemmeno una condanna è stata un'infamia, è come se i miei connazionali fossero stati uccisi una seconda volta. Vaillant è un'altra questione.».
«Quando i capi di uno Stato condannano non è per capriccio ma vi fu prima un giudizio, voi invece vi siete fatto accusatore, giudice e carnefice nello stesso tempo.».
A questo punto Caserio stenta a capire e l'interprete gli fa capire ancora meno. Fra il pubblico si sente qualche moto d'ilarità.
Quando alla fine comprende: «Ora stiamo parlando del fatto e non voglio dire perché mi sono vendicato. E i governi che fanno uccidere milioni di individui?».
«Avete vent'anni, siete ben giovane per giudicare la società.».
«Se sono giovane per giudicare la società, lo sono anche i militari che vanno a farsi ammazzare. Sono dunque degli imbecilli?».
«Ma i militari difendono la loro patria.».
«Difendono invece gli interessi degli industriali e dei banchieri, quindi sono degli imbecilli.».
Lettera alla madre

«Cara madre, vi scrivo queste poche righe per farvi sapere che la mia condanna è la pena di morte. Non pensate o mia cara madre di me? Ma pensate che se io commessi questo fatto non è che sono divenuto e pure molto vi dirano che sono un assassino un malfattore. No, perché voi conosciete il mio buon cuore, la mia dolcezza, che avevo quando mi trovavo presso di voi? Ebbene anche oggi è il medesimo cuore: se ho commesso questo mio fatto è precisamente perché ero stanco di vedere un mondo così infame.

Ringrazio il signor Alessandro che è venuto a trovarmi ma io non voglio confessarmi. Addio cara mamma e abbiate un buon ricordo del vostro Sante che vi ha sempre amato.» (Lione, 3 agosto 1894)

 
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Io desidero te,soltanto te (Tagore)

Post n°2016 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Io desidero te, soltanto te
il mio cuore lo ripeta senza fine.
Sono falsi e vuoti i desideri
che continuamente mi distolgono da te.
Come la notte nell'oscurità
cela il desiderio della luce,
così nella profondità
dalla mia inconscienza risuona questo grido:
''io desidero te, soltanto te''.
Come la tempesta cerca fine
nella pace, anche se lotta
contro la pace con tutta la sua furia,
così la mia ribellione
lotta contro il tuo amore eppura grida:''io desidero te, soltanto te''.

 
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Libri dimenticati:La Forestiera

Post n°2015 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Bel romanzo di Henry Denker

 
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Frase del giorno

Post n°2014 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Riconosci nell'animale un soggetto e non un oggetto?Allora sii coerente,non domandare COSA mangiamo ma CHI (Probst)

 
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Ciao, serena serata
Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
 
Ciao per passare le tue vacanze vi consigliamo Lampedusa...
Inviato da: Dolce.pa44
il 26/07/2014 alle 18:22
 
Buon pomeriggio.Tiziana
Inviato da: do_re_mi0
il 23/04/2014 alle 18:01
 
i gatti sono proprio così.:)
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
 
questi versi sono tanto struggenti quanto veritieri. Ciao e...
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38
 
 

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