Messaggi del 11/08/2012

Scrittori dimenticati:Enrico Pea

Post n°3420 pubblicato il 11 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Enrico Pea (Seravezza29 ottobre 1881 – Forte dei Marmi11 agosto 1958) è stato un poetascrittore e impresario teatrale italiano.

La produzione letteraria di Pea si può racchiudere in due periodi: il primo è quello di Moscardino (1922) e di altre opere in cui, pur nei suoi tormentireligiosi, è stato impareggiabile nel descrivere scene di vita popolaresca in una disordinata estasi di raccontare tra sospiri e grida, memorie di luttipaesani, glorie e trionfi della superstizione e del sesso, oscure vicende di chi viaggia e di chi torna.
Però nel suo rammentare c'è anche la saggezza di chi ha visto e sentito.

Il secondo periodo inizia con La Figlioccia (1931), dove la sua prosa prende un andamento diverso, più delicato e modulato; aver insistito con questa prosa pacata, tuttavia, forse è costato a Enrico Pea un oblio non si sa quanto meritato dei lettori del suo tempo.

Biografia 

Dopo un'infanzia non facile, vissuta con il nonno, persona violenta e generosa, saggia e crudele insieme, entra in un convento di frati vicino a Pisa, ma a causa di un difetto alla vista non viene ammesso; a sedici anni s’imbarca come mozzo e raggiunge l'Egitto. Nella città di Alessandria intraprende commerci vari e fonda la "Baracca rossa", trasformando la sua soffitta in un luogo in cui si ritrovava con gli amici, che in quel periodo erano Ungaretti ed i fratelli Thuile in particolar modo. Fu lì che imparò a leggere e a scrivere grazie anche al ritrovamento della Bibbia di Diodati (Bibbia protestante e non cattolica e per questo censurata).
Nella prima decade del secolo, conosce il giovane Ungaretti, suo conterraneo, e lo ospita nella sua baracca, assieme a ogni sorta di amici transfughi della vita, bulgarifrancesigreci e italiani, di tendenze socialiste e anarchiche. È grazie a Ungaretti se Pea si avvicina alla letteratura.

È proprio il poeta Ungaretti a far stampare il suo primo libro – Fole, racconti di vita marinara – a un editore italiano, e in seguito a farlo conoscere ai suoi amici della rivista La Voce. Il sodalizio con Ungaretti dura molto a lungo e lo porta a ricordarlo con l'opera Vita in Egitto del 1947, evocando gli anni vissuti nella baracca rossa. Dopo la Grande Guerra, torna in Italia e si stabilisce definitivamente a Viareggio, dove dirige per molti anni il teatro Politeama da lui stesso ideato; nella sua intensa attività d'impresario riattiva la tradizione dei Maggi toscani e allestisce un suo Giuda, che scandalizza per il contenuto blasfemo. Avvicinatosi alla fede cristiana, tenta in seguito di dar vita a un nuovo genere di dramma sacro, La passione di Cristo.

Nel 1954, con un gruppo di intellettuali, tra cui Marco Carpena e Enrico Righetti, dette vita al "Premio Lerici" per un'opera di poesia edita. Nel 1958, alla morte del fondatore, il premio venne chiamato "Premio LericiPea" e con questo nome è tuttora assegnato ogni anno nella città ligure sul mare.[1]

La vera vocazione di Pea rimane la narrativa, come dimostrano il suo primo racconto – Moscardino (1922), rievocazione dell'infanzia sullo sfondo della sua terra toscana – e la Maremmana (1938,premio Viareggio), dove emergono dei sentimenti rappresentati con una singolare forza espressiva. Nel 2008 è stata in Italia ristampata gran parte della produzione dell'Autore, dopo anni di carenza.

 
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Scrittori dimenticati:Gaetano Carlo Chelli

Post n°3419 pubblicato il 11 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Nacque a Massa il 29 ag. 1847 da Girolamo e Ruffina Bernieri. Ottenuto, nel 1878, un impiego alla Regia dei tabacchi, si trasferì a Roma, dove trascorse una vita ritirata, rifiutando impegni di collaborazione fissa con periodici che si sarebbero potuti trovare contro il governo. Dal 1883 risulta redattore della Cronaca bizantina; non resta però alcun documento comprovante familiarità o amicizia o rapporto di lavoro con letterati del tempo. Nella capitale rimase fino alla morte, avvenuta per paralisi cardiaca il 22 febbr. 1904.

Esordì sulla Cronaca bizantina del 16 ott. 1882 con Questioni di danaro, la storia di una donna, diventata a fatica una "lionne" del mondo romano, che, per paura della "lercia miseria" che la travolgerebbe dopo il fallimento del marito, sacrifica gli ultimi scrupoli. Il racconto già presenta uno dei temi che più saranno cari allo scrittore. Il C. infatti, a prescindere dal Faldella dei bozzetti romani, è il primo narratore ottocentesco ad ambientare le sue storie nella capitale, cogliendone l'aspetto di città tesa ad un rapido e disordinato sviluppo; ne profitta soprattutto la borghesia, che il C. privilegia, sulle orme di Capuana (Giacinta, del 1879) e Verga (Il marito di Elena,del 1882). La Roma degli anni Settanta può offrire il successo a lavoratori infaticabili, a idealisti fortunati (Giulio Levignani di La colpa di Bianca, Roma 1884 [ma 1883], o il protagonista de La vendetta del marito, in La Domenica letteraria,28 sett. 1884), ma il più delle volte è terreno infido ove "l'intelligenza e la buona volontà non bastano ad assicurare la vittoria" (Abnegazione,ibid., 15 marzo 1885); occorrono piuttosto mancanza di scrupoli, spregiudicatezza e tempestività delle iniziative, indifferenza ai casi altrui e una fibra fisica e psichica assai robusta per resistere ai rovesci improvvisi. Su questo aspetto corrotto e corruttore della città (già presente nella letteratura francese, e scapigliata in alcuni tratti, specie nella dialettica opposizione città-campagna), il C. imposta i due romanzi, La colpa di Bianca L'eredità Ferramonti (Roma 1884 [ma 1883], editi dal Sommaruga); al primo dà il sopratitolo "I drammi della vita romana", e presenta il secondo come iniziatore di un ciclo "Vita romana", "un'opera di vasta osservazione" della "battaglia umana".

Nella Colpa di Bianca, in particolare, il C. è attento al racconto minuto delle trasformazioni che avvengono nell'animo della protagonista a contatto con la città. La giovane e povera maestra, venuta a Roma dalla provincia, vede messi in crisi tutti i suoi principî morali; si lascia attirare dall'esistenza agiata e disinvolta dei nuovi ricchi; il suo mondo morale, una volta appagato dalla serietà del lavoro e dall'onestà degli affetti domestici, si indebolisce tra ribellioni, rimpianti, autocompatimento; fragile come è diventata, Bianca cede alla colpa, ma non è sufficientemente spregiudicata per sopportarne il peso: tormentata da passione e rimorso, è colpita da una febbre cerebrale che la uccide in tre giorni. Affine, sotto il profilo della colpa e per le sue circostanze, la vicenda di Vendetta (in La Domenica letteraria, 15 febbraio 1885), ove l'esigenza di sintetizzare rende più incisiva ed efficace che non nel volume l'analisi psicologica. La "vita romana" è nel romanzo in secondo piano, come movente essenziale, ma fuori scena, del dramma; non mancano però alcune messe a fuoco caratterizzanti, come la pagina sul carnevale. Il C., anche se propende per un'interpretazione deterministica della colpa, secondo il cliché dei romanzi naturalistici, resta fedele alla tradizionale tecnica narrativa di stampo romantico, descrivendo con attenzione la psicologia inquieta di Bianca.

Con L'eredità Ferramonti aderisce invece pienamente al verismo; si ispira ad un aspetto della realtà che lo circonda: gli sforzi di bottegai, burocrati di terz'ordine e piccoli imprenditori per raggiungere la ricchezza che, sola (dal loro punto di vista), consente di mutare stato sociale e acquistare rispettabilità. L'ordine tradizionale che prevedeva un lento miglioramento da conquistarsi con operosità e fatica è sovvertito: prevalgono le speculazioni e il gioco di borsa (Mario), gli intrighi e le ipocrisie (Furlin), la mancanza di scrupoli e la volontà di sfruttare gli altri ai propri fini, plagiandoli (Irene). Gli sforzi dei giovani Ferramonti (Mario, Pippo con la moglie Irene, Teta col marito Furlin) per impadronirsi delle ricchezze accumulate con pochi scrupoli dal vecchio fornaio, non sono che un pretesto per cogliere questo aspetto inedito della vita romana. L'impianto narrativo rispetta l'esame obiettivo del reale, caro alla poetica veristica; gli interventi dello scrittore sono irrilevanti e per lo più assumono carattere sentenzioso e quindi pressoché impersonale; l'azione è come riferita da un "coro" di osservatori che vivono all'interno della vicenda, o, ancor più spesso, secondo l'ottica di uno dei protagonisti, via via privilegiato rispetto agli altri; scarseggiano quindi i passi descrittivi, mentre predominano il dialogo e il discorso indiretto libero. I caratteri vengono delineati e messi in luce nelle loro pieghe insospettabili a mano a mano che la vicenda lo consente nel suo sviluppo; su tutti predomina la figura di Irene, ottimamente delineata specie nelle manovre di seduzione del vecchio Ferramonti.

Al romanzo, che è il capolavoro del C., non arrise il successo predetto dal Lodi; la Serao lo giudicò non omogeneo, frutto della crisi e delle incertezze letterarie del tempo, tra vecchia e nuova scuola. Il C. non ripeté l'esperimento verista.

Le novelle successive si possono ben definire bizantine. Il racconto non sembra più "essersi fatto da sé"ma è offerto agli abbonati in una trama abbastanza semplice e scontata (inizio in medias res e lunghi flash-back sulle circostanze che hanno determinato l'immancabile dramma), ma con ricchezza di notazioni psicologiche e cura sofisticata (anche se non con gli eccessi dannunziani) dei particolari (un interno raffinato, un abito, un volto, un atteggiamento). Sono quasi tutte ancora di ambiente romano, ma i protagonisti sono ormai dei parvenus, non più dominati dalla sete del denaro, ma agitati da nevrosi, inquietudini, turbamenti (Nevrosi, in Cronaca bizantina, 1º dic. 1883; Fantasie di quaresima,ibid., 1º febbr. 1884; Rancori,ibid., 1º marzo 1885); sono caratteri costituzionalmente deboli, al limite del patologico, o resi tali dall'ambiente. Il C. si lascia coinvolgere: non cerca le cause dei fatti (come nel primo romanzo), né il loro imparziale rendiconto (come nel secondo); vuole soltanto raccontare, con il disimpegno del mondo letterario romano alle soglie del decadentismo, secondo una svolta del gusto cui non appare estraneo.

Nel 1885 con Amori claustrali (in Cronaca bizantina - Domenica letteraria, 13 dicembre) si interrompe la produzione del C., anche se nelle colonne de La Domenica letteraria del febbraio di quell'anno figura in preparazione un suo nuovo romanzo, I caduti; la sua attività letteraria appare così strettamente legata alle fortune del Sommaruga, che fallì appunto nel marzo di quell'anno. Le sue opere, già non molto apprezzate dai contemporanei, furono presto dimenticate. Il Croce nellaLetteratura della Nuova Italia le cita tra i romanzi-documenti della vita romana dopo il '70, accanto a quelle di altri autori, Serao, Castelli, Fortis, Bizzoni, Del Balzo, Colautti. La loro riscoperta in epoca recente si deve al Bigazzi che ha curato anche la riedizione de L'eredità Ferramonti (Torino 1972).

 
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Scrittrici dimenticate:Elisa Salerno

Post n°3418 pubblicato il 11 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Mentre il Vaticano nel 1900 condannava il femminismo egualitario Elisa, sconosciuta dal mondo cattolico ufficiale, criticava la Chiesa e scriveva anche una versione femminista del catechismo

Nata troppo presto, dice un omaggio - voluto da donne d'oggi che sono suore - ad una donna cattolica nata nel 1873 e vissuta fino alla morte (1957) a Vicenza, città di quel Veneto ancor oggi tradizionalista e conservatore (ma nelle amministrative del 1920 fece vincere i socialisti), che un secolo e mezzo fa vedeva la donna condannata al "silenzio in Chiesa e all'obbedienza in casa".
Elisa Salerno, dopo aver pubblicato una specie di romanzo dal titolo fogazzariano ‘Un piccolo mondo cattolico’ con l'eloquente sottotitolo "ossia episodi e critiche pro democrazia e femminismo", fondò nel 1909 un proprio periodico ("La donna e il lavoro") e, dopo il 1918 fino al 1927 (data di soppressione della libertà di stampa: Elisa si ridusse quasi al silenzio durante il fascismo),"Problemi femminili".
Resta sconosciuta ancor oggi per le stesse donne vicentine e per il mondo cattolico ufficiale, come quasi ignote sono le posizioni femminili al sorgere dei movimenti cattolici e dell'Opera dei congressi. Chi sa che nel manifesto del Movimento cattolico femminile al Congresso di Roma del 1900 si trova scritto "niuno è escluso dal potere, niuno del pari lo sia dal dovere. Con quali limiti (la donna) fu data in aiuto e compagna (all'uomo)? Senza limiti di sorta?". Infatti il Vaticano e la conservazione borghese vincolarono la nascita dell'Unione donne di Azione cattolica con la
condanna del femminismo egualitario. Tuttavia, le donne possono venire represse, non domate: Elisa resistette per tutta la vita in un ambiente in cui gli stessi titoli dei suoi scritti dovevano apparire audaci se non eretici: "Per la riabilitazione della donna", "Risorta?"(come se la resurrezione per la Chiesa non fosse certa al femminile), "Pro muliere, programma di studio e azione", "Dottrina cristiana sulla donna sotto forma di domande e risposte"(versione femminista del catechismo cattolico), "Commenti critici alle note bibliche antifemministe", "Il neoantifemminismo", "Le tradite" (le donne sedotte con promessa di matrimonio e le prostitute).
E' una donna scomoda, come succede a quelle che non si scostano né dai principi fondamentali delle loro scelte, né dalla propria indipendenza. Le frasi estrapolate dal contesto forse non formano giudizi del tutto corretti, ma vale la pena di citarne, per imparare a conoscere una testimonianza di grande coraggio femminile. "La donna non può assolvere le alte missioni assegnatele dalla divina
Provvidenza finché è degradata e schiava. Il fondamento del femminismo cristiano è la personalità della donna, il riconoscimento sincero della sua integrità personale. Negare per la donna questo principio è lo stesso che volere il Vangelo solamente per metà". "Non si tratta d'invertire le parti, tra di loro, del marito e della moglie, ma soltanto di far sparire dalla casa il musulmanesimo". "Coloro che credono ci sia opposizione tra gli interessi pubblici e gli interessi domestici, tra i doveri di sposa e di madre, tra la virtù della modestia (che san Paolo intima anche all'uomo) e gli uffici extrafamigliari, tra la femminilità e la libertà, sono ispirati da concetti abbietti sulla donna, cui attribuiscono l'imbecillità di natura, ritenendola quindi bisognosa di guida, di limitazioni che regolino la sua operosità in maniera uniforme, livellandola, in un certo senso, ai cavalli, agli asini, ai bovi". “La Chiesa cattolica ha il mandato d'insegnare il santo Vangelo, ma d'ordinario gli uomini che reggono la Chiesa, cedendo alle passioni del maschio, non corrispondono a tale mandato". "L'antifemminismo non è la Chiesa, ma un male che è nella Chiesa; quindi, ho il dovere, davanti a Dio, di obbedire alla Chiesa e non all'antifemminismo che è nella Chiesa". "La Chiesa riunisce le donne in associazioni per scopi antifemministi". "Un abisso incolmabile è scavato tra il prete e la donna". In tempi di condanna al modernismo e di vescovi ligi a Pio X, il giornale di Elisa ‘La donna e il lavoro’ e i suoi scritti vennero censurati e definiti "non appartenenti alla stampa cattolica". Forse - mi viene da pensare riflettendo un secolo dopo - anche la senatrice Binetti la riterrebbe un'eretica dal cui insegnamento astenersi. Senza preoccuparsi delle censure, Elisa pare prendere maggior audacia e, convinta dell'infedeltà della Chiesa all'uguaglianza dei figli di Dio nel 1917 invia al Sommo Pontefice Benedetto XV il suo appello "Per la riabilitazione della donna", un libello in tre parti - Accuse ed errori, Origine e conseguenze, Le difese - di grande determinazione: anche suor Michela che lo commenta nell'edizione - a cura del centro "Presenza Donna"- del 2006 non osa
ripetere le espressioni forti dell'autrice, a cui si suppone non sia mai pervenuta una risposta dall'augusto interlocutore.
Infatti Elisa non risparmia niente ad una Chiesa che cammina sugli "errori" di san Tommaso: l'imposizione dell'uomo "caput mulieris" ha "decapitato" le donne, "costrette ad ingoiare i peggiori affronti, soggiogate dalle leggi ingiuste, dai pregiudizi, dal diritto della forza e, soprattutto, legate,
vinte dall'amore verso i loro figli", cosicché "gli ospedali e i manicomi accolgono gran numero di donne vittime di maltrattamenti e tradimenti". Anche l'esclusione dal sacerdozio "ha servito all'apoteosi dell'uomo", così come irragionevole e indecoroso appare che "la Madre di Dio non abbia avuto una sapienza da magistero perché ciò disdiceva il sesso femminile". Infatti, il modello di assoluta perfezione rappresentato dalla Madonna è dovuto alla sua sapienza anche nell'accogliere con il "fiat" la maternità divina: "libera di disporre di se medesima, atta, ella sola, a decidere la
cosa più importante che mai abbia occupato la mente umana". La critica non si limita alla scolastica: ce n'è anche per sant'Agostino, che scrisse "due cose hai fatto, o Signore, una quasi Te, cioè l'uomo, l'altra quasi niente, cioè la donna"; per le definizioni teologiche derivate dalle antiche
credenze che il seme femminile fosse sterile, ormai smentite dalla scienza, che "i capelli che sono per la donna, secondo gli Scolastici, un segno della sua soggezione, per l'uomo sono simbolo di sapienza", che il tabù dello spargimento del seme maschile sia dovuto alla similitudine del divino
("quod semen est verbum Dei"), mentre la donna mestruata è "figura dell'immondezza della mente"(gli specchi nuovi e puri contraggono impurità dall'aspetto di una donna menstruata"), che la verginità rende "la Madre di Dio da meno delle altre donne madri". Sull'obbligo di rapporti sessuali, come diciamo oggi, "aperti alla vita", constata che "si ha riguardo solo al seme dell'uomo, come se la donna non fosse neanche una persona", che "dei figli illegittimi si dice soltanto peccatum patris, negando alla donna qualunque importanza nella discendenza della prole" e resta convinta che da tali principi derivano il disordine del comportamento maschile, le violenze, la prostituzione ("il turpe mercato di carne umana"), la stampa pornografica, la pubblicità ("siamo disonorate sulle scene, sui cinematografi, nelle canzoni"). Riassumendo: "la Chiesa vuole la salute
dell'uomo uccidendo, in certo senso, la donna". Chi in Vaticano lesse questo libello certo rimase terrorizzato: come sempre, si sarà tranquillizzato con la ben nota accusa di pazzia che spetta
alle donne scomode. Varrebbe la pena di rispedirlo a Benedetto XVI. 

’Devote’ e ‘protestanti’
Le donne credenti sono sempre apparse unite nello standard delle "devote", quando non delle bigotte o delle pinzocchere. Invece anche le beguine avevano inventato il béguinage per vivere in comunità femminili senza necessariamente sposarsi o farsi monache. Si è donne con le reticenze, le
timidezze, le difficoltà del "genere" in tutte le epoche e in tutte le condizioni. Per molte la fede ha confermato il ruolo domestico, ma molte sono state "protestanti". Ancor oggi lo sono e si fanno laiche a fianco di tutte, almeno da quando l'aborto le ha indotte a prendere posizione su una "colpa" che investe anche loro, forse perfino con maggior costo psicologico. Tuttavia, anche in questo settore restano poche - paradossalmente meno che un secolo fa - quelle che intervengono a viso

 
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Scrittrici dimenticate:Astrid Lindgren

Post n°3417 pubblicato il 11 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Astrid Anna Emilia Ericsson in Lindgren (Vimmerby14 novembre 1907 – Stoccolma28 gennaio 2002) è stata una scrittrice svedese, autrice di libri per bambini. Molte delle sue opere sono state pubblicate in più di cento Paesi. È l'autrice delle avventure di Pippi Calzelunghe.


Biografia
 
Astrid Lindgren raffigurata all'interno di Villa Villacolle nel parco divertimenti di Kneippbyn aVisby

Astrid Anna Emilia Ericsson nacque, seconda di quattro figli, nella regione dello Småland (Svezia meridionale) dove trascorse la sua infanzia nella fattoria di famiglia.

Il clima familiare, che spesso l'autrice ha descritto, fu molto sereno. La sua infanzia felice e spensierata fu anche la principale fonte di ispirazione per i suoi libri.

Fin da piccola amò la lettura. Dal 1924 al 1926 lavorò, prima, come correttrice di bozze e, poi, scrivendo piccoli contributi in un giornale locale (Vimmerby Tidning).

All'età di diciotto anni, a causa di una sua gravidanza fuori dal matrimonio, fu costretta a trasferirsi a Stoccolma per sfuggire al clima di moralismo e disapprovazione. Andò a Copenaghen per la nascita del primo figlio, Lars, e le difficoltà economiche la costrinsero a darlo in affidamento ad una famiglia della capitale danese.

Nel 1928 trovò un impiego in un ufficio dell'Automobile Club del Regno (Kungliga Automobil Klubben). Nel 1930 la madre affidataria di Lars si ammalò e Astrid portò il figlio per un anno nella casa dei genitori. Il figlio tornò poi da lei a seguito del matrimonio di Astrid con il suo capo ufficio Sture Lindgren nel 1931. Nel 1934 nacque la figlia Karin.

Nel 1941 Karin ebbe una polmonite e ogni sera la madre si sedeva vicino al suo letto e le raccontava delle storie e fiabe. Accadde che una sera Karin le chiese la storia di Pippi Calzelunghe, un nome che si era inventata al momento: vista la stranezza del nome, la Lindgren decise che anche la storia della bambina dovesse essere oltremodo fuori dal comune. A Karin piacque così tanto la prima storia di Pippi che ne chiese sempre altre e negli anni seguenti Pippi divenne il principale personaggio dei racconti di casa Lindgren. Nel 1944, a causa di una caduta sul ghiaccio, la Lindgren si slogò una caviglia e fu costretta a letto; in quei giorni stenografò le storie di Pippi e scoprì che scrivere era divertente quanto leggere. Successivamente trascrisse Pippi in un manoscritto, da lei anche illustrato, che donò alla figlia per il suo decimo compleanno.

Pippi Calzelunghe fu poi pubblicato nel 1945 (Pippi Långstrump edizione Rabén & Sjögren). Tra il 1946 e il 1970 lavorò come editor di una collana per l'infanzia della editrice Rabén & Sjögren.

Suo marito Sture morì nel 1952.

I suoi libri sono stati tradotti in più di 70 lingue, dall'arabo allo zuluPippi Calzelunghe ed Emil sono i suoi libri più noti ma Astrid Lindgren scrisse più di 115 altri racconti, inclusi gialli, racconti di avventura, fantasy e lavori per la televisione svedese e il cinema.

Fu molto impegnata nella difesa dei diritti dei bambini e degli animali.

Astrid Lindgren, nel 1994, ha ricevuto il Premio Nobel Alternativo. Nel tavolo il premio e un programma del musical "Ronja, la figlia di un ladro", che era scritto del compositore Axel Bergstedt nello stesso anno.

Alla Lindgren sono stati assegnati numerosi premi per il suo lavoro tra i quali il Premio Hans Christian Andersen nel 1958, il Lewis Carroll Shelf Award nel 1973 per Pippi Calzelunghe, il International Book Award dell'UNESCO, nel 1993 e il Right Livelihood Award (conosciuto anche come "Premio Nobel Alternativo"), nel 1994, ed numerose altre onorificenze e lauree honoris causa di numerose università.

Nel 1997 fu nominata personaggio svedese dell'anno ed in risposta a quest'ultima onorificenza disse:

 « Non capisco come possiate nominarmi personaggio dell'anno, io che sono ciecasorda e mezza pazza. Faremo meglio a non dirlo troppo in giro, se no penseranno che tutti in Svezia siano come me. »

Nel novembre 2001, quando le fu chiesto cosa desiderasse per il suo 94º compleanno, disse:

 « Pace nel mondo e vestiti carini. »

Morì il 28 gennaio 2002 all'età di 94 anni a Stoccolma.

 
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Ritratti di donna:Tina Lorenzoni

Post n°3416 pubblicato il 11 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Nata a Macerata nel 1918, uccisa a Firenze il 21 agosto 1944, crocerossina, Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.

Figlia del professor Giovanni Lorenzoni, docente a Firenze e segretario generale dell'Istituto internazionale d'agricoltura, Maria Assunta, durante la seconda guerra mondiale, aveva prestato servizio come crocerossina. All'armistizio, la ragazza prese subito contatti con gli antifascisti fiorentini. Entrata a far parte di un gruppo che si era fuso con la V Brigata "Giustizia e Libertà", a Tina - questo il nome con il quale era conosciuta - fu affidato l'incarico dei collegamenti con il comando della Divisione "GL". Per mesi svolse pericolose missioni, portandosi a più riprese a Milano e in altre località del Nord, organizzando l'espatrio di cittadini d'origine ebraica e di perseguitati politici. Durante la battaglia per la liberazione di Firenze, la Lorenzoni per ben tre volte riuscì ad attraversare le linee di combattimento per portare ordini al Comando d'Oltrarno. Finita nelle mani di una pattuglia tedesca, Tina fu portata a villa Cisterna e rinchiusa in una stanzetta per esservi interrogata. Rimasta sola la ragazza tentò la fuga, ma mentre stava scavalcando il reticolato che recingeva la costruzione fu abbattuta da una raffica di mitra. Nella stessa mattinata suo padre, che saputo della cattura di Tina aveva raggiunto un avamposto degli Alleati per organizzarvi uno scambio di prigionieri, cadde colpito da una granata tedesca.

 
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Istanti (Anonimo)

Post n°3415 pubblicato il 11 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Se potessi vivere nuovamente la mia vita
nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non cercherei di essere tanto perfetto, 
mi rilasserei di più.
Sarei più sciocco di quanto lo sono stato,
di fatto prenderei ben poche cose sul serio.
Sarei meno igienico.

Correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei in più fiumi.

Andrei in più posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.

Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente 
e proficuamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia.

Ma se potessi tornare indietro cercherei
di avere soltanto buoni momenti.
Che se non lo sapete, di quello è fatta la vita,
solo di momenti; non ti perdere l'oggi.

Io ero uno di quelli che non
andava mai da nessuna parte senza un termometro,
una borsa d'acqua calda,
un ombrello e un paracadute;
se potessi tornare a vivere, vivrei più leggero.

Se potessi tornare a vivere
comincerei ad andare scalzo all'inizio
della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.

Farei più giri in calesse,
contemplerei più albe
e giocherei con più bambini,
se mi trovassi di nuovo la vita davanti.

Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo.

 

 
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Libri dimenticati:Tai Pan (Clavell)

Post n°3414 pubblicato il 11 Agosto 2012 da odette.teresa1958

La storia di un avventuriero inglese in Cina che dal nulla fonda un impero

 
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Frase delgiorno

Post n°3413 pubblicato il 11 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Se è vero che le sofferenze rendono migliori,l'umanità avrebbe raggiunto la perfezione (Morandotti)

 
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