Messaggi del 17/08/2012

Silenzio assoluto

Post n°3473 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

 

In un piccolo tempio sperduto su una montagna, quattro monaci erano in meditazione. Avevano deciso di fare una sesshin di assoluto silenzio.
La prima sera la candela si spense e la stanza piombò in una profonda oscurità.
Sussurrò un monaco: " Si è spenta la candela! ".
Il secondo rispose: " Non devi parlare, è una sesshin di silenzio totale".
Il terzo aggiunse: " Perché parlate? Dobbiamo tacere, rimanere in perfetto silenzio! ".
Il quarto, il responsabile della sesshin, concluse:" Siete tutti stolti e malvagi, solo io non ho parlato! "

 

 

Commento:

Difficile sfuggire alle trappole della parola: tutt'e quattro avevano finito per parlare... Ma non basta non parlare: bisogna anche far tacere il monologo o il dialogo interiore, che é incesssante e si frappone come un velo tra noi e le cose.
Cogliamo e dilatiamo l'attimo di silenzio fra un'ondata di pensieri e l'altra. Osserviamo come rimaniamo privi di pensieri quando veniamo colti da qualche sorpresa.

 
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La strada fangosa

Post n°3472 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Il maestro Tanzan era in viaggio con il suo allievo Ekido lungo una strada fangosa.
Ad un certo punto incontrarono una bella ragazza in kimono e sciarpa di seta, che non poteva attraversare quella melma, senza rovinare il suo bel vestito.
Senza problemi, Tanzan la prese in braccio e la trasportò sull’altro lato della strada. Ekido rimase pensieroso per tutto il giorno.
Alla sera, non resistendo più, chiese apertamente al maestro: "Noi monaci non avviciniamo le donne, è pericoloso. Perché l’hai fatto?"
Tanzan rispose: "Io quella ragazza l’ho lasciata laggiù. Tu la stai ancora portando con te".

 

 

Commento:

Non cercare di seguire le orme dei saggi. Cerca ciò che essi cercavano.

 
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Le catene

Post n°3471 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

 

Un giorno al maestro Seng-ts'an si presentò un giovane che dichiarò: "Vengo da te perché cerco la liberazione".
"Chi ti ha incatenato?" gli domandò il maestro.
"Nessuno."
"Allora, sei già libero."

 

Commento:

In realtà, ciò che incatena gli uomini è proprio la loro coscienza di non essere liberi. Una volta eliminato questo ostacolo, che cosa continuerà a condizionarci? "Se vuoi, sei libero" dice in tal senso Epitteto

 

 
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Storielle Zen:Il burrone

Post n°3470 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

 

Un monaco si lamentò con il suo maestro perché non riusciva a raggiungere il satori.
"La colpa è tua" gli rispose il maestro.
"In che cosa sbaglio? Che cosa mi manca?" domandò l'allievo.
"Vieni con me, e te lo mostrerò."
Il maestro chiamò un altro discepolo, che era cieco, e tutt'e tre si recarono sulla montagna, in un punto in cui uno stretto tronco era stato gettato su un burrone.
"Attraversa!" disse il maestro al primo monaco.
Il poveretto guardò il fondo del burrone, il debole tronco e rispose: "Non posso: ho paura".
Allora il maestro si rivolse al discepolo cieco e gli diede lo stesso ordine.
Il monaco attraversò senza esitare il burrone.
"Hai capito?" domandò il maestro al primo monaco.

 

Commento:

È sempre la paura il sentimento che si oppone al nostro risveglio: la paura di essere autonomi, la paura dell'ignoto, la paura di perdere il proprio ego, la paura della responsabilità. Eppure, per colmare il divario, per raggiungere l'altra riva, è necessario affrontare l'abisso; e questo non può essere fatto se non si eliminano i mille timori che ci accompagnano nell'attraversamento. Il coraggio è indispensabile sulla Via della liberazione, come, d'altronde, in tutte le imprese fondamentali della vita. Come recitano dei versi di Wu-men, si tratta di "Camminare sul filo d'una lama, correre sulla cresta del ghiaccio, non preoccuparsi della scala, lasciare il sostegno sul precipizio."

 

 
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Scrittori dimenticati:Boris Vian

Post n°3469 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Boris Vian è nato nel 1920 e non era solo un cantante, anzi si può dire che il ruolo di cantante era abbastanza marginale nella sua vita. Appassionato fin da giovanissimo di letteratura, scrisse romanzi, poesie e canzoni. Un artista "multimediale" diremmo oggi, era laureato in ingegneria e appassionato di jazz, suonava la tromba. Amico di Duke Ellington e di Miles Davis, scriveva canzoni rivoluzionarie per la Francia di quegli anni, che furono portate poi al successo dalle grandi voci della canzone francese come Juliette Greco.
Malato di cuore fin dalla nascita, visse tutta la vita con la consapevolezza che la morte poteva arrivare da un momento all'altro, morì ad appena 39 anni.

Le déserteur è la sua canzone più famosa. Scritta durante la guerra francese in Algeria fu ovviamente censurata e gli provocò non pochi problemi. La forza delle parole ricorda Georges Brassens, ma l'arrangiamento è quello delle canzoni francesi tradizionali, mentre Brassens cantava accompagnadosi solo con la chitarra.
Quindi, se l'arrangiamento suona oggi inevitabilmente datato, il testo è quanto mai attuale. La versione di Fossati, voce e chitarra, restituisce alla canzone tutta la sua forza.

Ivano Fossati

 
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Scrittori dimenticati:Antonio Amurri

Post n°3468 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

E' difficile stabilire quale attività abbia maggiormente caratterizzato Antonio Amurri, il poliedrico personaggio nato il 28 giugno 1925 ad Ancona. Sceneggiatore, paroliere, giornalista, umorista e, forse, soprattutto scrittore, Amurri aveva innato il genio del successo. Osservatore acuto degli accadimenti quotidiani, riusciva a catturarne gli aspetti paradossali che la sua mordace creatività trasformava in siparietti esilaranti per la TV, per la radio, per il teatro, per i giornali. 

I suoi corrosivi libri sul costume e sulla famiglia divennero popolarissimi, da "Piccolissimo", "Famiglia a Carico", "Più di là che di qua", alla serie del "Discorso costruttivo sulla famiglia", composta da quattro titoli: "Come ammazzare la moglie e perché", "Come ammazzare il marito senza tanti perché", "Come ammazzare mamma e papà" e "Come ammazzare la suocera". Ma la sua produzione letteraria non si limita ai titoli appena elencati estendendosi ad una quindicina di opere. Come autore televisivo e radiofonico restano indimenticabili trasmissioni come "Gran Varietà" - creata per la radio insieme a Maurizio Jurgens - che ebbe durata decennale, o "Studio Uno" e "Doppia Coppia" per la TV. Fu molto attivo anche come giornalista satirico, ora nelle vesti di fondatore della testata "Il Miliardo", ora in quelle di redattore capo de "Il Traverso", nonché lavorando per varie altre testate. 

Anche il teatro leggero italiano, quello di "Rivista", che negli anni Cinquanta e Sessanta ebbe un successo enorme, si fregiò del suo talento: opere come "I fuoriserie" e "La minidonna" recavano la sua firma, insieme a quelle di Faele e Zapponi, la prima, e Torti e Jurghens, la seconda. 

Alla musica leggera, poi, ha regalato i testi di tantissimi brani, alcuni dei quali rimangono vere pietre miliari: sue le parole di tre grandi successi di Mina, "Sono come tu mi vuoi", del 1966, "Conversazione", del 1967 e "Vorrei che fosse amore" del 1968, ma anche dei brani "Piccolissima serenata", del 1958, cantata da Teddy Reno e da altri interpreti, "Si fa sera", del 1966 e "Chimera" del 1968, per Gianni Morandi. Ma ha scritto brani di successo per molte altre celebrità nazionali ed internazionali: Bruno Martino, Fred Bongusto, Aurelio Fierro, Renato Carosone, Domenico Modugno, Remo Germani,Rocky Roberts, Chico Buarque de Olanda, Shirley Bassey, Sylvie Vartan, Dusty Springfield, per citarne alcuni. 

Cotanta virtù non poteva non lasciare traccia nella progenie: suo figlio Franco è un regista, sua figlia Valentina è autrice televisiva, sua nipote Eva - figlia di Franco e di Susan Sarandon - è attrice, nata e residente negli USA. 

Un artista a tutto tondo, insomma, per il quale non serve stabilire quale sia stata l'attività maggiormente caratterizzante: Amurri è la satira, in ogni sua forma ed espressione. Una indicazione utile, però, ci viene da una sua stessa dichiarazione, rilasciata negli ultimi anni di vita: egli disse che le più belle soddisfazioni della sua carriera gli vennero dai libri perché soltanto scrivendo si era sentito veramente e profondamente libero di esprimere il suo estro. 

Suo compagno di viaggio e coautore di programmi radiotelevisivi, tra cui il citato "Gran Varietà", fu spesso Dino Verde, insieme al quale ha coniato battute rimaste celebri. Eccone una: "Per il suo carattere scontroso, Carmelo Bene è stato definito un attore che sta sulle sue. E anche sulle mie.

Antonio Amurri è deceduto a Roma il giorno 18 dicembre 1992 all'età di 67 anni.

 
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Scrittrici dimenticate:Judith Sargent Murray

Post n°3467 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Judith Sargent Murray’s literary career flourished during the 1790s, a time when America was struggling to define itself as independent—politically and aesthetically—from Great Britain. Murray was engaged in this period of change, voicing her opinions on literary nationalism, the federalist system of government, the equality of women, and religious universalism. The seeds of these interests were planted early in Murray’s life. She was born in Gloucester, Massachusetts, the eldest child of Captain Winthrop Sargent and Judith Saunders. A socially prominent family, the Sargents were distinguished by their political activity: Winthrop Sargent served in the provisional government during the Revolutionary War, and his son Winthrop was honored by Washington for his military activities. At an early age Judith Sargent exhibited so high a degree of intelligence that her parents encouraged her to study with her brother, who was preparing with a local Gloucester minister for entrance to Harvard. She thus gained an education far superior to that given most women: she studied the Latin and Greek languages and literatures and was introduced to the sciences, including mathematics and astronomy. The Sargent family became strong supporters of John Murray, who visited Gloucester in his mission to establish Universalism in America. By aligning themselves with this liberal branch of Protestantism, the Sargents elicited scorn from their religiously conservative neighbors.

At age eighteen, Judith Sargent married John Stevens, a prosperous sea captain and trader; the large Stevens house in Gloucester thereafter became a popular meeting-place in the town. Dating from this period are the author’s earliest known writings, including several poems and an important essay in which she introduces her ideas on the equality of women, “Desultory Thoughts upon the Utility of encouraging a degree of Self-Complacency, especially in Female Bosoms” (1784). She signed her early work “Constantia,” one of the many pseudonyms she would use throughout her career.

When her husband died in 1786, Stevens became a closer friend of John Murray, and they married in 1788. The couple shared both religious beliefs and intellectual interests. The Murrays’ move to Boston in 1793 widened the author’s literary involvement, and her career flourished. She wrote two plays for the newly reopened Federal Street Theatre, thereby aligning herself with such writers as Royall Tyler. With regular contributions to the Massachusetts Magazine—one of the most prestigious journals of the late eighteenth century—Murray established herself as a prominent essayist and poet. Her writings reflect the firm ideas she held on education, the equality of the sexes, literary nationalism, federalism, and Universalism. The three-volume edition of her Gleaner essays, published in 1798, attracted over 700 subscribers, among them President Adams and George Washington.

After 1800, Murray turned her attention to editing John Murray’s biography and religious writings. Following the death of her husband in 1815, Murray moved to Natchez, Mississippi, to live with her only child, Julia, who had married a wealthy planter. Murray died in 1820.

An assessment of Murray’s literary career must consider the fervor with which she addressed the most important issues of her day. The major outlets for these ideas were her two concurrent essay series—The Repository (largely religious in nature) and The Gleaner—which ran in the Massachusetts Magazine from 1792 to 1794. The imaginary author of the Gleaner essays, Mr. Vigillius, discussed such varied topics as the new Constitution, the dangers of political factionalism, and the progressive nature of history. Within The Gleaner series Murray included critical essays on drama at a time when many writers were concerned about the future of American literature. According to Murray’s federalist agenda, the new American drama should reflect the virtues of the new republic: liberty, patriotism, and equality. By focusing on American virtues and scenes—as she did in her plays, The Medium, or Virtue Triumphant and The Traveller Returned,Murray upheld that national drama would be revitalized and could break away from the British tradition.

Murray also turned her attention toward a reconsideration of fiction with her brief novel, The Story of Margaretta, included within the framework of The Gleaner. Unlike most heroines of sentimental fiction, Margaretta is able to escape the cycle of seduction and destruction because of her superior education: she proves herself to be wise and virtuous and is rewarded with a loving husband. This link between education, virtuous filial conduct, and reward is an important aspect of Murray’s philosophy. She argued that if women were given equal opportunity to develop their rational capacities, they would be able to exercise good judgment, thus escaping their supposedly female susceptibility to passion and sentimental emotionalism (both considered bad conduct). Murray predicts that advancements in education and thus in social place would allow young women to form “a new era in female history.”

“On the Equality of the Sexes” (reportedly drafted in 1779; printed in the Massachusetts Magazine in April/May 1790, and signed “Constantia”) is perhaps Murray’s most influential essay. Here she radically questioned the system that held women subservient to men. She argued that the capacities of imagination and memory are verifiably equal in men and women, and the apparent inequalities in reason and judgment arise only from a difference in education. Murray argued that housework and needlework are mindless activities, ones that deny women any exercise of their intellectual faculties. If women were given the same education as men, Murray maintained, their reason and judgment would develop equally. It is interesting to note that Murray predicated the need for women’s education not only on the equality of their rational capabilities but also on the equality of their souls. Feminist reform was linked, in Murray’s theory, to the egalitarian promise of the new republic. If America were to achieve its destined level of greatness, it would have to develop and cherish the intellect and virtue of all citizens. 

 
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Scrittrici dimenticate:Beatrix Potter

Post n°3466 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Helen Beatrix Potter (Londra28 luglio 1866 – Sawrey22 dicembre 1943) è stata una scrittrice e illustratrice inglese. Il suo personaggio più noto èLudovico coniglio (in inglese Peter Rabbit, tradotto anche come Peter coniglio).

Indice  [mostra
Biografia
Beatrix Potter da piccola

Entrambi i genitori disponevano di rendite ereditate dai loro genitori. Suo padre, Rupert Potter, in teoria era avvocato ma trascorreva gran parte del tempo in circoli esclusivi e raramente esercitava. La madre trascorreva le giornate facendo visite o ricevendone. Beatrix e il fratello furono allevati da baby sitter e governanti; quando Beatrix crebbe, i suoi genitori scoraggiarono qualunque tentativo di istruzione e lei si dovette invece occupare della gestione della casa.
Uno zio tentò di farla accedere come studente presso i Royal Botanic Gardens di Kew ma le fu negato in quanto donna.

L'ispirazione per le sue illustrazioni e per i racconti le venne dai numerosi piccoli animali che portava a casa o che osservava durante le vacanze in Scozia e nel Lake District.

Tutti la incoraggiarono a pubblicare la sua prima storia, The Tale of Peter Rabbit ma faticò a trovare un editore, la storia venne pubblicata nel 1902. Il piccolo libro e i successivi furono molto apprezzati e le permisero di diventare economicamente indipendente. Si fidanzò segretamente con l'editore Norman Warne ma i genitori ostacolarono il matrimonio in quanto disapprovavano che lei sposasse un uomo che lavorava per vivere; nonostante ciò lei decise di sposarlo ugualmente, ma pochi mesi prima del matrimonio lui morì improvvisamente per un'anemia perniciosa.

All'età di 47 anni sposò il suo avvocato, William Heelis. Dovette smettere di scrivere intorno al 1920 per problemi di vista.

In tutto scrisse 23 libri, pubblicati in piccolo formato adatto per i piccoli lettori. The tale of Peter Rabbit fu tradotto in 20 lingue e vendette oltre 80 milioni di copie.

 
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Ritratti di donna:Miriam Massari

Post n°3465 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Miriam Massari, nata a Roma, compì nella capitale gli studi classici, studiò l’inglese e si specializzò in radiotecnica. Nella adolescenza fu colpita da una durissima forma di artrite reumatoide, che non riuscì a far retrocedere o bloccare; ed anzi, si esacerbò. 
Tutta la vita si batté, come una leonessa, per i diritti delle persone disabili. Il suo obiettivo conclamato è stato: «Ottenere l'indipendenza di coloro che vivono una condizione di dipendenza fisica /o psichica» perché le persone con disabilità “hanno anche diritti e abilità”.
In uno splendido (e sempre attualissimo) saggio: La trappola [1]  Miriam Massari denunciò gli aspetti negativi della pur necessaria attività di assistenza, svelando la oscura volontà di potenza che c’è nella cura e protezione delle persone disabili, anche da parte delle stesse famiglie. «Proteggere» - scrisse - «può significare bloccare, imprigionare, soffocare». Aveva riflettuto molto sullo stesso argomento: «I familiari si sentono più a proprio agio in un mondo a parte, senza confronti temuti»[2]
«Non abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti ad uscire da un pozzo, chiediamo che non lo si chiuda ermeticamente, che si lasci circolare l’aria. Se poi qualcuno vorrà affacciarsi e allungare una mano, sarà affar suo»[3]
Innumerevoli i suoi interventi sui giornali, sulle radio, e, quando le è stato possibile, nelle aule universitarie e nelle assemblee politiche. Non esiste forse quotidiano o periodico che non abbia ospitato, almeno una volta, una sua lettera, una sua intervista, un suo grido: da Radio spazio aperto, alla Seconda e Terza rete radiofonica e televisiva; dai quotidiani e periodici nazionali e locali («;Messaggero», «Repubblica», «Manifesto», «Avvenimenti», e altri), a quasi tutte le riviste femminili autogestite («Sofia», «Il Paese delle donne», «Mezzocielo», «Il diritto delle Donne»). Ovunque Miriam Massari ha fatto sentire la sua voce. Si è rivolta e ha scritto a ministre e ministri della Sanità e delle Pari Opportunità di tutti i governi succedutisi nel tempo. 
Un episodio eclatante (non improvvisato, ma intelligentemente costruito) la fece conoscere in tutta Italia. Nell’autunno del 1989, recatasi alla stazione ferroviaria di Roma su una sedia ortopedica, pretese di salire nei normali scompartimenti come gli altri passeggeri; ma non potendo la carrozzella superare i gradini del vagone, le fu proposto di essere deposta dentro il carro merci! Dove effettivamente si fece collocare e viaggiò. Di qui lo scandalo, e la mobilitazione nazionale per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Si denunciò l’inciviltà del fatto; ne parlarono quasi tutti i mezzi d’informazione. «Si fece molto clamore»- commentò poi Miriam - «ma si presero pochissimi provvedimenti». 
Da allora Miriam volle proclamarsi “prigioniera politica per disabilità”, e così continuò a firmarsi. Criticò ed anche irrise movimenti e associazioni per i diritti civili, che però «ignorano i diritti inviolabili delle donne, uomini, bambini disabili». Scrisse anche (rivista «Sofia», 1997): «Chi si batte per le libertà inviolabili e non vi include coloro che nulla possono fare da sé, non può produrre cambiamenti buoni per tutte/i». Particolarmente incisiva la sua critica nei confronti delle associazioni e riviste femminili, che riteneva insufficientemente coinvolte nella problematica della disabilità. Ripeteva che si doveva tenere sempre presente, quale che fosse l’argomento trattato, che ci sono donne, uomini, bambini disabili che fanno anch’essi parte dell’argomento affrontato. 
Incitava le donne impegnate nel giornalismo, nella politica e nelle attività sociali, ad utilizzare la “inquadratura ad includere”. Si serviva del linguaggio cinematografico per chiarire il suo pensiero: bisognava allargare l’obiettivo della macchina da presa, per farvi entrare altri personaggi. «Se nel copione i personaggi sono previsti, bene; altrimenti si deve riscrivere il copione…… Ascoltando o leggendo non sono mai sicura che nella testa delle donne vi sia anche l’altra donna, quella con un evidente corpo e/o mente in disordine. Anzi, sono sicura di no» (rivista «Sofia», 1997). Riteneva fondamentale la precisione del linguaggio. «Cosa chiedo ai mezzi di informazione?» – scriveva in una lettera a Mezzocielo nel gennaio 2011 – «Che informino, che adottino un linguaggio che nomini e non sottintenda». 
Sconvolta da un documentario sulle donne dell’Afghanistan imprigionate nel burka, nella cui costrizione in qualche modo si identificava, fece notare che tra loro dovevano esserci anche donne malate e disabili. «Si pensa a quel di più d’ingiustizia, di massacro, di apartheid che subiscono?» – si domandava. 
Era venuta a conoscenza della nascita di un movimento di studenti disabili nella università di Berkeley (California), che avevano respinto l’assistenza organizzata ed erano andati ad abitare in gruppo, da soli, gestendo in proprio i fondi destinati alla loro cura. Miriam fece tesoro di questa esperienza, prese informazioni su piccole esperienze simili verificatesi anche in alcuni comuni italiani, e iniziò una campagna per rivendicare «la gestione diretta del denaro destinato all’assistenza delle persone che nulla possono fare da sé». 
Creò un vero e proprio movimento di opinione, e si rivolse pubblicamente al Comune di Roma, perché fossero cambiate radicalmente le modalità di sostegno alle persone disabili. 
L’assistenza domiciliare generica, approssimativa, impersonale e con frequenti avvicendamenti, spesso è opprimente, perché meccanica, non rispettosa della dignità del corpo e della sensibilità della persona disabile. Questa deve avere il diritto, se vuole, di gestire in proprio i fondi pubblici destinati alla sua assistenza, e scegliere “chi metterà le mani sul suo corpo”. Miriam delineò la struttura di uno specifico Servizio di Assistenza per la Vita Indipendente (SAVI). Con il sostegno di un’opinione pubblica che seppe informare e mobilitare, ottenne che la Giunta comunale di Roma approvasse, nel 1996, la delibera 1027, che stabilisce appunto la possibilità per le persone disabili di gestire direttamente il denaro pubblico destinato alla loro assistenza. 
Ispirata alla esperienza di Berkeley, si era intanto costituita in Europa l’ENIL (European Network on Indipendent Living, Rete Europea per una Vita Indipendente), e poi l’ENIL-Italia, della cui Segreteria Operativa Nazionale Miriam Massari fu chiamata a far parte. 
Ella si era anche coraggiosamente impegnata in politica. Era entrata (1992) nel movimento per la democrazia “La rete”; aveva partecipato alle campagne elettorali comunali a Roma; era intervenuta ad innumerevoli dibattiti, incontri e gruppi di studio di diversi partiti (di sinistra e verdi). Poi, con una buona dose di delusione («sono lenta a capire gli animali politici»), se ne allontanò. 
È stata soggettista cinematografica, scrittrice di racconti, e soprattutto poeta di grande sensibilità ed efficacia. Nell’ultima parte della sua vita iniziò a dipingere. 
Il suo compagno e marito, Piero Pannaccio (si conobbero nel 1981, si sposarono nel 1984) dice di lei: «Miriam era un vulcano, riempiva la casa e me, di vita… ‘Non riesco a stare senza fare qualcosa’ mi diceva ‘dammi un blocco e la matita, voglio disegnare’. ….Quando la mattina apriva la finestra e la luce ritornava, era solita dire: ‘Buon giorno, giorno. Noi siamo qui’». 
Il 25 dicembre 2011 mi scrisse: 
«Ogni “brandello di bilancio esistenziale” entra di prepotenza in uno spazio tondo della mia anima, sempre aperta alla vita degli altri, sempre assetata d'altra esperienza…. Alcuni dei miei mali cambiano e non posso dire di star meglio. È entrato l'ossigeno nella nostra casa, nella nostra vita e nel mio naso. Occorre una quantità di pazienza incredibile». 
Quindici giorni dopo moriva. 

 
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La metamorfosi di Narciso (Barbaro)

Post n°3464 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Pietra il mio cuore
che si nutrì di sé stesso
e m’impedì d’amare;
ma ora vivo e sospiro
per le carezze del vento,
i baci umidi della pioggia
e il caldo abbraccio del sole.

 

 
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Libri dimenticati:Teresa Raquin

Post n°3463 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

E' capolavoro di Emile Zola,che conduce per mano il lettore nella storia della passione divorante di due amanti che conduce all'uccisione del marito di lei ,finchè il rimorso li consuma.Magistrale!
Da questo libro è stato tratto l'omonimo film con Simone Signoret

 
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Frase delgiorno

Post n°3462 pubblicato il 17 Agosto 2012 da odette.teresa1958

L'uomo è un condannato a morte che ignora la data della propria esecuzione (Gervaso)

 
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