Messaggi del 22/08/2012

I ciechi e l'elefante

Post n°3522 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Al di là di Ghor si estendeva una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno, un re arrivò da quelle parti, accompagnato dalla sua corte e da un intero esercito, e si accamparono nel deserto. Ora, questo monarca possedeva un possente elefante, che utilizzava sia in battaglia sia per accrescere la soggezione della gente. 
Il popolo era ansioso di sapere come fosse l'elefante, e alcuni dei membri di quella comunità di ciechi si precipitarono all'impazzata alla sua scoperta. 
Non conoscendo ne la forma ne i contorni dell'elefante, cominciarono a tastarlo alla cieca e a raccogliere informazioni toccando alcune sue parti. 
Ognuno di loro credette di sapere qualcosa dell'elefante per averne toccato una parte. 
Quando tornarono dai loro concittadini, furono presto circondati da avidi gruppi, tutti ansiosi di conoscere la verità. 
Posero domande sulla forma e l'apparenza dell'elefante, e ascoltarono tutto ciò che veniva detto loro al riguardo. Alla domanda sulla natura dell'elefante, colui che ne aveva toccato l'orecchio rispose: "Si tratta di una cosa grande, ruvida, larga e lunga, come un tappeto". 
Colui che aveva toccato la proboscide disse: "So io di che si tratta: somiglia a un tubo dritto e vuoto, orribile e distruttivo". 
Colui che ne aveva toccato una zampa disse: "È possente e stabile come un pilastro". 
Ognuno di loro aveva toccato una delle tante parti dell'elefante. Nessuno lo conosceva nella sua totalità: tutti immaginavano qualcosa, ma la conoscenza non appartiene ai ciechi.

 

 
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Il topo e la trappola

Post n°3521 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Un topo, guardando da un buco che c’era nella parete, vide un contadino e sua moglie che stavano aprendo un pacchetto. Pensò a cosa potesse contenere e restò terrorizzato quando vide che dentro il pacchetto c’era una trappola per topi.

Corse subito nel cortile della fattoria per avvisare tutti:  “C’è una trappola per topi in casa, c’è una trappola per topi in casa!”  La gallina che stava raspando in cerca di cibo, alzò la testa e disse: “Scusi, signor topo, io capisco che è un grande problema per voi topi, ma a me che sono una gallina non dovrebbe succedere niente, quindi le
chiedo di non importunarmi.”

Il topo, tutto preoccupato, andò dalla pecora e le gridò: “C’è una trappola per topi in casa, una trappola!!!”
“Scusi, signor topo, – rispose la pecora – non c’è niente che io possa fare, mi resta solamente da pregare per lei. Stia tranquillo, la ricorderò nelle mie preghiere.”

Il topo, allora, andò dalla mucca, e questa gli disse: “Per caso, sono in pericolo? Penso proprio di no!”
Allora il topo, preoccupato ed abbattuto, ritornò in casa pensando al modo di difendersi da quella trappola.

Quella notte si sentì un grande fracasso, come quello di una trappola che scatta e afferra la sua vittima.

La moglie del contadino corse per vedere cosa fosse successo, e nell’oscurità vide che la trappola aveva afferrato per la coda un grosso serpente. Il serpente velenoso, molto velocemente, morse la donna.
Subito il contadino, la trasportò all’ospedale per le prime cure: siccome la donna aveva la febbre molto alta le consigliarono una buona zuppa di brodo.

Il marito allora afferrò un coltello e andò a prendere l’ingrediente principale: la gallina.

Ma la malattia durò parecchi giorni e molti parenti andavano a far visita alla donna.

Il contadino, per dar loro da mangiare, fu costretto ad uccidere la pecora.

La donna non migliorò e rimase in ospedale più tempo del previsto, costringendo il marito a vendere la mucca al macellaio per poter far fronte a tutte le spese della malattia della moglie…

 

 
 

 

 
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Storielle Zen:La ciotola

Post n°3520 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

 

Un novizio, appena entrato nel monastero, domandò al maestro Chao-chou: "Ti prego, spiegami che cosa devo fare per raggiungere l'illuminazione".
"Hai mangiato la tua zuppa?"
"Si."
"Allora, lava la ciotola."

 

 

Commento:

Il monaco credeva di dover compiere chissà quali grandi sforzi, chissà quali straordinarie imprese. E invece doveva compiere qualcosa di comunissimo... benché con piena consapevolezza.
Esercitiamoci a svolgere azioni e compiti ordinari - che di solito compiamo meccanicamente, distrattamente - concentrandoci soltanto su di essi. Se mangiamo, siamo consapevoli del mangiare; se camminiamo, siamo consapevoli dei movimenti; se parliamo, siamo consapevoli del parlare; se laviamo i piatti, siamo consapevoli di lavare i piatti, e cosi via..
L'esercizio più semplice consiste nell'essere consapevoli - per cinque minuti, dieci minuti o quanto si vuole - del respiro; è un modo per rientrare in contatto con la natura e con le sue esigenze; è un modo per diventare consapevoli di sé. come tutte le funzioni fondamentali della nostra vita, il respiro va avanti da solo, si auto-regola e non ha bisogno di un atto di volontà. Nello stesso tempo, risente dei nostri stati d'animo.
"Ciò" che respira non è né la nostra volontà né la nostra mente; è il nostro essere più profondo.

 

 
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Scrittori dimenticati:Kahlil Gibran

Post n°3519 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Gibran Khalil (Jibrān Khalīl Jibrān) nacque a Bisharri, in Libano, nel 1883 e morì a New York nel 1931. Poeta, filosofo, pittore, fu considerato nel mondo arabo il genio della sua epoca. Ma la sua fama si diffuse ben presto oltre i confini del Medio e Vicino Oriente: le sue opere furono tradotte in più di venti lingue e i suoi disegni e dipinti furono esposti nelle grandi capitali del mondo. Il Profeta, pubblicato nel 1923, è considerato un vero capolavoro. Le opere di Gibran nel catalogo Guanda: I segreti del cuore, Le ninfe della valle, II precursore e II folle, II pianto e il sorriso, Sabbia e onda, Versi spirituali.

Era un arabo che parlava in inglese, un libanese di montagna che, creandosi il suo cammino nell’esilio, trovo’ la Libertà e scopri’ una passione senza moderazione per il suo Paese. Era un lettore della Bibbia che parlava come un Soufi, un cristiano che adorava la Gloria dell’Islam, un amante di donne mature che cercava nello specchio delle sue opere la purezza della sua anima. Fu anche pittore. Khalil Gibran nacque nel 1883 e mori’ nel 1931; scopri’ dopo un viaggio a Boston la letteratura e le arti. Tra il 1902 e il 1903 affermo’ il suo talento artistico scrivendo e dipingendo. Protetto da Mary Haskell inizio’ una fitta corrispondenza con ella che si fermerà solo alla sua morte.

Nel 1905 era, a tutti gli effetti, “l’avvocato degli scrittori” che rompeva con la tradizione scritta araba. Nel 1908 pubblico’ il libro “Spiriti Ribelli” che la Chiesa maronita giudico’ eretico. Gibran decise di trasferirsi a Parigi per studiare alle Belle Arti poi nuovamente si installo’, definitivamente, a Boston, da dove inizio’ una importante corrispondenza con lo scrittore libanese May Ziyada che viveva in Egitto. Gibran fondo’ con altri scrittori arabi Il Cenacolo, destinato a soccorrere la “lingua” e tradurre tutti gli autori arabi meritevoli. Nel 1923 pubblico’ il libro che lo fece conoscere al mondo intero: “Il Profeta“. Mori’ il 10 Aprile 1931 dopo aver scritto dei poemi e delle meditazioni che ebbero in seguito un enorme risonanza in Occidente e in Oriente. Questi testi esprimono una forte spiritualità che spingono il lettore verso il suo IO profondo e inducono alla saggezza.

Di se stesso amava dire: “Io sono arrivato qui per vivere nella gloria dell’Amore e nella luce della Bellezza, che sono riflessi di Dio. Su questa Terra io vivo e nessuno potrà cacciarmi dalle Sfere della Vita. Perché attraverso le mie parole cambio la vita, e continuero’ ad esistere, anche da morto“.

 
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Scrittori dimenticati:Nazim Hikmet

Post n°3518 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

nacque a Salonicco (oggi Grecia) nel 1901, città della quale il nonno paterno era stato governatore. Il padre Nazim Hikmet Bey (già console ad Amburgo) era funzionario di stato e la madre, Aisha Dshalila, pittrice. Studiò nel liceo di lingua francese di Galatasaray (Istanbul) e successivamente si iscrisse all'Accademia della Marina militare che dovette però lasciare per ragioni di salute. Fu esponente di spicco della cultura turca del '900 ed uno dei primi poeti, in quel paese, ad adottare il verso libero. Divenuto, in vita, uno dei poeti turchi più conosciuti in occidente (e per comune accordo indicato come il primo poeta turco moderno), le sue opere sono state tradotte in più di cinquanta lingue.

Durante la Guerra di Indipendenza si schierò con Kemal Atatürk (Mustafa Kemal) in Anatolia, ma rimase presto deluso dagli ideali nazionalisti e durante l'occupazione alleata della Turchia lavorò come insegnante a Bolu, nella parte orientale del paese. Nel 1922, condannato per marxismo (si iscrisse al partito comunista turco all'inizio degli anni '20) e malvisto per la pubblica denuncia dei massacri armeni del 1915-1922, dovette trasferirsi in Russia in esilio volontario; paese verso il quale lo spinse certamente anche il fascino della recente rivoluzione d'Ottobre. Qui studiò sociologia presso l'Università di Mosca dove conobbe artisti e letterati di tutta Europa (la delusione per il sostanziale fallimento dell'esperimento comunista era ancora in là da venire...). Rientrato clandestinamente in Turchia dopo la fine della Guerra di Indipendenza (1924) iniziò a collaborare con il giornale di sinistra Ankara Independence Tribunal. Condannato "in absencia" a quindici anni di lavori forzati per la sua opposizione al regime e per propaganda comunista, riuscì nuovamente a fuggire in Russia nel 1926, dove riprese a lavorare ed a pubblicare poesie ed opere teatrali (conobbe, tra gli altri, Majakowsky, la cui poesia futurista lo avrebbe lungamente influenzato). Poté tornare in Turchia soltanto nel 1928, a seguito dell'amnistia generale, ma, una volta in patria, dato che il partito comunista era stato dichiarato fuorilegge, si trovò sotto costante sorveglianza da parte della polizia e dei servizi segreti; continuamente incarcerato per una serie di reati spesso totalmente pretestuosi (una volta, ad esempio, fu arrestato per affissione illegale di manifesti politici). Nonostante trascorra, tra il 1928 ed 1936, un periodo non inferiore a cinque anni in carcere (periodo terminato con l'amnistia generale del 1933, decennale della Repubblica), riesce comunque a pubblicare nove libri: 5 raccolte e 4 poemi lunghi che rivoluzionarono lo stile della poesia turca, introducendo, oltre al verso libero, nuove tematiche e metodologie. Furono anni fecondi, durante i quali scrisse anche romanzi, testi teatrali e lavorò come giornalista e correttore di bozze, traduttore e sceneggiatore, ma anche come rilegatore, nel tentativo di mantenere la seconda moglie (il primo brevissimo matrimonio, risalente 1922, era stato annullato al tempo della prima fuga a Mosca), i due figli di lei e la madre, ora vedova. 
Nel 1938 fu nuovamente arrestato, per attività anti-naziste e anti-franchiste e con l'accusa di aver tentato di incitare, con le sue opere, la marina turca alla rivolta. Questa volta la condanna fu molto dura: 28 anni di carcere (a dimostrare che, a torto o a ragione, il potere teme più la penna che la spada...). In prigione, dove sarebbe rimasto per quattordici anni, scrisse le sue opere più belle, tra cui il capolavoro assoluto "Paesaggi Umani" (1941-1945). In questi anni il tono della sua poesia si fa più diretto e serio, il verso si affina e si fa essenziale. Non avrebbe però mai più visto un suo libro pubblicato sul suolo turco e quel che poté circolare, stampato all'estero, lo fece sempre clandestinamente. Ancora in carcere, divorziò dalla seconda moglie per sposare la traduttrice Münevver Andaç. Rimesso in libertà nel 1949 per intercessione di una commissione internazionale che comprendeva, tra gli altri, Jean-Paul Sartre e Pablo Ricasso e dopo uno sciopero della fame di diciotto giorni reso ancora più drammatico dal recente attacco cardiaco, Hikmet ricevette nel 1950 il premio Nobel per la Pace; ma già l'anno successivo fu costretto a fuggire a Mosca. Drammatica decisione presa, come ebbe a scrivere all'amica Simone De Beauvoir, dopo il fallimento di due tentativi governativi di assassinarlo investendolo in automobile e dopo aver appreso la notizia di essere stato forzatamente arruolato nell'esercito e destinato al fronte con la Russia. Racconta Hikmet che il medico militare incaricato di visitarlo gli disse: "Lei non è in condizione di sopravvivere più di un'ora sotto il sole del deserto, eppure io ho pronto per lei un certificato di buona salute". Il poeta aveva ormai cinquant'anni e soffriva le pesanti conseguenze dell'attacco cardiaco subito in carcere e che lo avrebbe portato alla morte nell'arco di un decennio. Anche la fuga da Istanbul fu decisamente avventurosa: Hikmet tentò di attraversare il Bosforo su una piccola barca a motore in una notte di tormenta (come ebbe a dichiarare in seguito, nelle notti serene c'erano troppe guardie per passare inosservati), il piano originale prevedeva lo sbarco in Bulgaria, cosa però che si dimostrò impossibile date le condizioni del mare. Fortunatamente, dopo alcune ore di navigazione, incrociò una nave rumena. Iniziò a seguirla urlando il suo nome ed i marinai lo riconobbero e risposero al saluto, ma senza prenderlo a bordo. Soltanto quando il motore smise di funzionare e, nel mezzo della tempesta, Hikmet iniziò a disperare per la propria vita, finalmente il cargo si fermò e lo accolse a bordo: gli ufficiali della nave avevano trascorso quelle ore in contatto radio con Bucarest in attesa di istruzioni. Ironia della sorte, quando il poeta fu, finalmente, nella cabina del capitano trovò un proprio ritratto fotografico, su cui campeggiava la scritta "Salvate Nazim Hikmet": era uno dei manifesti fatti stampare due anni prima dal comitato internazionale, e mai auspicio si concretizzò in modo tanto letterale! 
A Mosca gli fu assegnato un alloggio nella colonia di scrittori di Peredelkino, ma il governo turco rifiutò sempre di concedere alla moglie ed al figlio il permesso di raggiungerlo. Nonostante un secondo attacco cardiaco, nel 1952, Hikmet viaggiò molto in quegli anni; attraverso l'Europa, il Sud America e l'Africa. Solo gli Stati Uniti gli rifiutarono, sempre, il visto. Ma era l'epoca della Guerra Fredda... 
Dopo che gli fu tolta la cittadinanza Turca (1959), accettò l'offerta di un passaporto da parte del governo Polacco, dichiarando di aver ereditato i capelli rossi e gli occhi chiari da un progenitore (un rivoluzionario del XVII secolo) che veniva, appunto, da quel paese. Nel 1960, di nuovo a Mosca, si sposò - per la quarta volta - con la giovane Vera Tuljakova. Sempre a Mosca sarebbe morto, per una nuova crisi cardiaca, nel 1963, a 62 anni d'età.

Le opere di N.H. riapparirono brevemente in Turchia soltanto nel periodo 1965-1966 per poi scomparire nuovamente e per sempre dai cataloghi degli editori (salvo edizioni minori o in piccola tiratura). Questo, nonostante nel resto del mondo esse siano state ristampate e tradotte innumerevoli volte.
Per Nazim Hikmet la poesia d'amore non è mai soltanto poesia d'amore, egli riassume nella parola "amore" l'esistenza, la politica (intesa come necessaria interazione sociale con il resto del mondo), la vita stessa. Riesce a parlare, ad un tempo, di sé stesso, del suo paese e del mondo in un singolo verso, con una semplicità (apparente) ed una capacità di sintesi che lo collocano, di diritto, tra i grandi poeti del secolo XX. Così come l'uso lirico e musicale della lingua riscatta al livello di poesia anche il verso che, nelle mani di un artefice meno abile, si trasformerebbe tristemente in propaganda. 
Mai introspettivo, sempre concreto, positivo, spesso capace di abbandonarsi alle piccole gioie della vita con lo spirito di un bambino, senza però perdere la consapevolezza dell'adulto; mantiene, nella produzione artistica come nella vita, una coerenza unica. Coerenza che, forse, spaventò i suoi persecutori assai più di quel che effettivamente avrebbe potuto la sua poesia. Se essi, comunque, videro davvero nella sua opera un possibile incitamento alla rivolta dei militari, la causa deve essere cercata più nell'esempio morale dato dall'uomo che nella perfezione (pure presente) del verso. 
Con gli anni la poesia si fa più coesa, compatta, quasi sincopata. La punteggiatura scompare totalmente, come se fosse un freno, un impiccio del quale il poeta vuole liberarsi per adattare il verso alla necessità di fare, vedere, viaggiare, vivere sempre più rapidamente gli ultimi istanti di una vita che volge, rapidamente, al termine. Bruciata da uno spirito più forte del corpo che lo ospita, sprecata nel tentativo impossibile di recuperare i lunghi anni di carcere. 
In lui si concretizza la concezione dell'artista che non può vivere una vita disgiunta (o dissonante) rispetto a quelle che sono le sue convinzioni etiche e politiche (condivisibili o meno). Questa concezione della poesia come guida della vita, essenza che permea ogni decisione ed ogni gesto (ma sempre concreta e semplice, mai artificiosa) lega l'arte alla realtà e la salva, impedendole di finire relegata in un angolo marginale della modernità, etichettata come frivola ed inutile. Un concetto che, pur partendo dalle medesime basi (o quasi) arriva ad una risposta diametralmente opposta a quella data dal decadentismo di D'Annunzio e della generazione che chiamiamo dannunziana, dove pure l'arte permea la vita, ma trasformandosi in posa, ricercatezza astratta, effimera. Ci sono punti di contatto con l'asciutta, virile disperazione di un Ungaretti, ma c'è anche un anelito all'azione, uno spirito positivo (nonostante tutto e contro tutto), un coerente rifiuto della resa che rende unica l'opera e la vita di Hikmet. Se poi Hikmet sia stato un uomo virtuoso, occasionalmente artista, oppure vero artista, e perciò virtuoso, è cosa che ciascuno dovrà giudicare da sé. 

 
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Alla vita (Hikmet)

Post n°3517 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla dal di fuori o nell'al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.

La vita non è uno scherzo. 
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto 
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio 
col camice bianco e grandi occhiali, 
tu muoia affinché vivano gli uomini 
gli uomini di cui non conoscerai la faccia, 
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.

Prendila sul serio 
ma sul serio a tal punto 
che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi 
non perché restino ai tuoi figli 
ma perché non crederai alla morte 
pur temendola, 
e la vita peserà di più sulla bilancia.

 

 
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Scrittrici dimenticate:Contessa di Sègur

Post n°3516 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Scrittrice francese (Pietroburgo1799 - Parigi 1874); figlia del generale russo F. V. Rostopčin, sposò il conte Eugène de S.; compose con molto garbo libri per l'infanzia e l'adolescenza: Mémoires d'un âne (1860); Pauvre Blaise (1862); Jean qui grogne et Jean qui rit (1866); ecc.

 
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Scrittrici dimenticate:Margherita Ianelli

Post n°3515 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Nata nel 1927 e morta nel 1994, ha pubblicato un solo libro autobiografico,"Gli zappaterra!,che ha vinto il premio S.Stefano per la diaristica

 
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Ritratti di donna:Germaine Lecocq

Post n°3514 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

L'amore che non lascia scampo, che impedisce di sopravvivere all'oggetto amato non è prerogativa delle Giuliette adolescenti. Così morì disperata Germaine Lecocq, una signora di settant'anni, poche ore dopo aver perso l'uomo della sua vita: Giorgio Amendola ( 1980).
Era stata intensa fin da principio la storia d'amore fra il ventitreenne funzionario comunista in esilio in Francia e la ragazza ventenne, orfana di un minatore. Cominciò la sera del 14 luglio 1931, a Parigi: era festa nazionale, si ballava per strada. In place Beaugrenelle Giorgio scorse quella ragazzina che,accompagnata dalla madre, usciva da un cinema: d'impulso la invitò a ballare e non si lasciarono più.
Non mancarono, tuttavia, periodi di separazione e giorni duri, durissimi. Giorgio , tornato in Italia, era stato incarcerato e poi mandato al confino a Ponza: decise, nonostante tutto, di sposare Germaine che acconsentì . Quando " la parigina" arrivò nell'isola c'era una folla incuriosita che l' aspettava allo sbarco ma, fra la generale delusione, dal traghetto non scese l'immaginata maliarda ma una ragazzina fragile, pallida, smarrita. Pochi giorni dopo, il 10 luglio 1934,Giorgio e Germaine si sposarono in municipio.
Luna di miele al confino ovvero assoluta mancanza di intimità. Avevano assegnato agli Amendola una casa di due stanze infilate una dentro l'altra: alla porta d'ingresso era applicato un grande spioncino. Così la ronda che passava giorno e notte aveva sott'occhio tutto l'interno ed anche le effusioni dei due giovani coniugi . Ma ci si abitua a tutto: dapprima inibiti da questa invasione della privacy, Giorgio e Germaine impararono poi a non curarsene.
Dopo un altro passaggio per il carcere, Giorgio potè lasciare il confino e tornare a Roma come "ammonito"(1937) accanto a Germaine e ad Ada, la bambina nel frattempo nata . Ma la situazione di Amendola si faceva sempre più pericolosa: bisognava espatriare. Si decise che Germaine l'avrebbe fatto legalmente. Funzionò, anche perché quello era stato un periodo burrascoso per i due giovani coniugi, caratterizzato da liti clamorose cosicchè la polizia , convinta che il matrimonio del "comunista" fosse andato a rotoli, autorizzò rapidamente Germaine a tornarsene in Francia con Ada. Qualche tempo dopo Giorgio riuscì ad espatriare clandestinamente e a riunirsi alla sua famigliola. Dopo gli anni terribili della guerra, cominciò infine la vita tranquilla della coppia, interrotta solo dal grande dolore della perdita prematura di Ada. Ma venne il momento di quel distacco che nessuno può evitare: Giorgio morì ed il cuore di Germaine si spezzò.

 
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Libri dimenticati:Solo fra ragazze (Lama)

Post n°3513 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Cinque donne,ex compagne di scuola.Una di loro decide di fare una rimpatriata nel posto dove andarono l'anno della maturità e convoca le altre.Sarà l'inizio di un weekend di omicidi e tensione,con vecchi rancori mai sopiti che tornano e continui colpi di scena.
Da leggere

 
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Frase delgiorno

Post n°3512 pubblicato il 22 Agosto 2012 da odette.teresa1958

Colui che non ha mai perso la testa non aveva una testa da perdere (Achard)

 
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