La voce di Megaride

La Fiera del Fariseo


di Marina SalvadoreDi ogni problematica napoletana lo Stato è solito ricondurne le
colpe, genericamente, alla Camorra; per contro, i napoletani ne adducono responsabilità, invece, allo Stato latitante. Cadono i pali della luce: lo Stato darà la colpa ai subappalti camorristi della manutenzione; i napoletani diranno “Lo Stato è assente! Se ne frega di noi”… Un 16enne viene ammazzato senza motivi da un coetaneo… lo Stato dice che la Camorra fa scuola; i napoletani dicono “dobbiamo uscire con coltelli e pistole in tasca, per difenderci, perchè qui, lo Stato è assente!”… e… così via… da qui all’eternità: un gatto che si morde la coda… il solito ritornello masticato da entrambi i  colpevoli, con pari responsabilità. Lo “Stato di pochi privilegiati”, si sa, è storicamente colpevole per aver permesso la colonizzazione e il perdurante sfruttamento del Mezzogiorno, a partire dai primi giorni dell’Unità d’Italia ed ancora non ritiene utile e coraggioso fare pubblica ammenda, per risollevare le sorti dell’orgoglio patrio. Ma ciò che lascia basiti, invece, è l’immobilismo vittimistico dei “conquistati”, incapaci d’ogni reazione rigenerativa della perduta Dignità, soprattutto personale. La solita solfa dello “Stato assente” (o meglio, presente dietro le quinte) che può giustificare politicamente ed economicamente tutta la Questione Meridionale, non può e non deve giustificare l’assenza dell’etica, dei sentimenti, dell’educazione, della moralità degli individui; poiché questi non sono valori istituzionali o servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione ma requisiti propri dell’Umanità, su qualsiasi coordinata terrestre. Sono valori che si acquisiscono prevalentemente in Famiglia, mediante l’educazione alla vita, al convivere civile, al relazionarsi con il prossimo. Diciamo, allora, ch’è responsabile perché assente la Famiglia quando un adolescente, privo di riferimenti o sull’onda di esempi poco edificanti o in totale vacatio di stimolazione di valori, manifesta l’ignoranza, l’impotenza e l’immaturità con bestialità. Non esprime altro che il vuoto, l’anaffettività, la solita cantilena di troppi genitori che dinanzi al “fatto compiuto” dal pargolo dichiarano, cadendo dalle nuvole, di sentirsi “famiglia” solo perché tra mille sacrifici hanno assicurato vitto, alloggio e qualche sfizio ai figli! Il dialogo, qualche bel ceffone tanto deprecato dai nuovi pedagoghi e strizzacervelli permissivisti, il desinare tutti insieme alla sera per scambiarsi opinioni a televisore possibilmente spento sono cose semplici e possibili che hanno aiutato la crescita e la consapevolezza di intere generazioni, soprattutto di quelle non scolarizzate e povere, educate ai valori sulla scia culturale delle tradizioni e degli usi e costumi popolari: cose rassicuranti, queste, che non siamo più in grado di rintracciare nella memoria e nei sensi ormai ottusi
e degenerati del quotidiano. Cribbio! Ma allora quante stragi avrebbero dovuto compiere le due generazioni di italiani reduci dagli orrori di due guerre mondiali? Il favorire sociologicamente, com’è d’uopo nella new age,  questo insano vittimismo, strumentalizzandolo addirittura politicamente, è reato ancora peggiore. I nuovi Farisei cattedratici imperversano da tempo in TV, a tutte le ore, con dosi purgative di melassa, pronti a giustificare ogni bestialità, ad incollare cerottini sulle feritine, a recitare il mantra, “…era un bravo ragazzo…”, a blandire, a stemperare, a ridurre con tanti accademici bla bla bla ogni orrore. E’ roba vergognosamente attuale che l’istituzione pubblica della Radiotelevisione italiana, organo di Governo di quello Stato presente solo nella Coscienza Collettiva ch’è divenuta ormai la “televisione”, con la trasmissione pomeridiana “la Vita in Diretta” del vanesio signor Cucuzza ( che, un tempo, credevamo essere un giornalista serio) quotidianamente bombarda di perverso futile le famiglie italiane, sparando colpi di insulso gossip sugli amorazzi, le corna e le tette posticce delle sgallettate “miss” di turno, per cannoneggiarci, poi, come sotto una doccia scozzese, con incredibili incursioni di varia oscenità (o-scemità, come preferite) nei meandri della psiche dei più feroci assassini del quotidiano, informandoci, per esempio, di come se la passano i coniugi Romano nel carcere di Como… lei che chiede di rendersi utile stirando, poverina.. lui che chiede disperatamente di lei… come hanno ordinatamente sistemato le ciabattine “vicine vicine” accanto alla branda… cosa hanno mangiato di particolare, ieri e oggi… della loro ossessione per quei rumorosi vicini di casa, colpevoli d’essere giovani e felici e… stranieri… l’infanzia triste della signora e le sue irrealizzabili voglie di maternità (meno male!)… l’indefesso attaccamento al lavoro di lui, un professionista della monnezza umana, diremmo senza tema di offendere i suoi colleghi!… Analogamente, ricordiamo, fummo bombardati di romanzesca melassa anche sulle abitudini e il quotidiano dietro le sbarre dell’altra celebre coppia assassina, quella di Parma… che infierì sul piccolo Tommy (nessuno si è ricordato di lui, altro ”piccolo Yussef di appena ieri”, come se appartenesse già ad un’altra epoca). Grottesca è l'immoralità ma ripugnante è l'amoralità che ricopre come uno stucco il cuore, assurto solo al ruolo di pompa meccanica. La tv-psichiatria cucuzziana pretenderebbe di giustificare e comprendere, confortata tra i morbidi air-bag siliconati di Carmen Di Pietro ed altre sculettanti, gli insondabili meandri della cattiveria umana, rifocillandosi nella ritrita tematica della FOLLIA. Non è giusto! Non è giusto, per le vittime di questa cattiveria e non è onesto nei confronti della gente comune bersagliata da messaggi subliminali che intendono deviare, smussare gli spigoli della purtroppo atroce ma autentica realtà. La cattiveria pura esiste, così come esiste la bontà; altrimenti dovrebbero essere rivendicate e riconosciute quali follie anche le opere e le azioni dei Santi e degli Eroi. Non si può, come sempre accade in questa società dissociata, giustificare la Cattiveria e deridere la Bontà. E non disquisiscano di Infelicità cosmica, gli intellettuali, adducendo che la Felicità non esiste, poiché lo stesso termine INFELICITA’ ne attesta l’esistenza; difficile, forse,  da scorgere tra le assenze di Stato e quelle della Famiglia, tra gli air-bag delle pollastrelle e le cazzate di Cucuzza, tra l’orrido e il gossip di una società ch’è responsabile, con la sua “o-scemità”, del reato di “associazione a sdilinquire”. " fatti non foste per viver come bruti... ma per seguir virtude e conoscenza"......