La voce di Megaride

14 febbraio 1861


di Pompeo De ChiaraGAETA L’ULTIMO GIORNO DELL’INDIPENDENZA DEL SUD ITALIA PRIMA DI DIVENTARE COLONIA DEL NORD
Settembre 1860: il re Francesco II di Borbone, costretto dall'incalzare degli eventi a lasciare Napoli, si ritirò a Capua stabilendo nella Piazzaforte di Gaeta la base delle operazioni militari. Perduta anche Capua, il re, la corte ed il corpo diplomatico accreditato presso il governo borbonico, si rifugiarono a Gaeta. L'esercito borbonico aveva perduto ogni efficienza bellica. Battuto più dal tradimento che dal nemico, incalzato dalle truppe piemontesi del generale Enrico Cialdini, si apprestava a difendere la fortezza più per salvare l'onore delle armi che per vincere. Le operazioni d'assedio iniziarono sul fronte di terra il 5 novembre 1860.  Il 12 novembre 1860 ci furono altri combattimenti nei pressi di Gaeta dove poi Francesco II, con gli ultimi 20mila uomini, fu stretto d’assedio dal 12 novembre 1860 al 13 febbraio 1861, per opera del generale Cialdini (per la storiografia ufficiale il quinto “Padre della Patria”, per altri un criminale di guerra) che aveva con sé circa 18 mila uomini.Il corpo d'assedio era forte di 18.000 uomini con 1.600 cavalli e 180 cannoni moderni.In media venivano sparate contro la piazzaforte 500 colpi di cannone al giorno. Il 22 gennaio 1861, i napoletani decisero di riaprire il fuoco. Alle 8 del mattino un colpo della batteria Regina dette il segnale: fu una giornata memorabile. La flotta piemontese dovette allontanarsi per i danni che i colpi della piazza le avevano inferto: oltre 10.000 colpi furono sparati dai napoletani, a dimostrazione che non si sarebbero arresi.  Il nemico ne sparò oltre 18.000, ma il morale napoletano rimase alle stelle. Ad ogni colpo echeggiava il grido VIVA IL RE, e le bande militari intonavano l’inno di Paisiello. Ormai i
piemontesi tiravano soltanto da molto lontano, e non prendevano mai l’iniziativa di assaltare la piazza: “li prenderemo per fame” scrisse Cialdini a Cavour, naturalmente in perfetto francese visto che l’italiano non era molto contemplato da questi signori. Quando iniziarono le trattative il vile assassino Cialdini non volle interrompere i bombardamenti, anzi li rinnovò con maggiore accanimento perché “sotto il tiro dei cannoni cederanno a condizioni più vantaggiose per noi”, scriveva ancora il generale a Cavour. Con l’impiego dei modernissimi cannoni rigati, l’ex avventuriero romagnolo, divenuto generale piemontese, poté dalla sua comoda poltrona sul terrazzo della modesta villa privata comprata da Ferdinando II a Mola, far bombardare senza essere colpito la piazza ed i suoi abitanti. Fu così che a capitolazione già firmata venne centrata la polveriera della batteria Transilvania, dove morì l’ultimo difensore di Gaeta. Un ragazzo di sedici anni, Carlo Giordano, fuggito dalla Nunziatella per difendere la sua Patria. Egli non ha degna sepoltura, come non la hanno i tremila altri caduti di caduti di Gaeta. Dal 12 novembre 1860 al 13 febbraio 1861 diecimila napoletani (lucani, pugliesi, calabresi, abruzzesi, siciliani, campani) decimati dalle fatiche, dai bombardamenti e dal tifo resistettero, senza mai piegarsi, ad un assedio condotto da vili quali furono gli uomini di Enrico Cialdini. Il 14 febbraio il re Francesco II di Borbone, con la regina Maria Sofia, partiva da Gaeta imbarcandosi sulla corvetta francese Mouette, fatta venire appositamente da Napoli. Il monarca, salutato con la salva reale di 21 colpi della Batteria Santa Maria e con il triplice ammainarsi della bandiera borbonica di Punta Stendardo, prendeva "la dolorosa via dell'esilio da quella terra che l'aveva visto nascere". La partenza del Re quel giorno del 14 febbraio fu la prima di una serie di milioni di partenze di meridionali alla ricerca della dignità e di un futuro non di fame nera.E’ bene non dimenticarlo.