La voce di Megaride

Lettera aperta a Belzebù o come cappero si chiama


di Marina Salvadore  
Ti scrivo per dirti che non ti sopporto più. Sei noioso, ripetitivo, monocorde. Non hai più guizzi di originalità…. È inutile che ora ti dia da fare con nuovi giochi di illusionismo - dopo aver inventato mamme che uccidono i figli e figli che uccidono mamme - magari, domani ti produrrai in altri effetti speciali, facendo strisciare gli uccelli e volare i serpenti: dejà vu al cinema e su internet! Siamo diventati maghi dell’horror migliori di te quindi non lambiccarti il cervello. Hai capito o no che l’unica trasgressione possibile, oggi, risiede nella cruda normalità umana? Ti sei reso conto che non ci stupisci più, che abbiamo fatto il callo alle tue volgarità, ai tuoi frullati di morti e sangue, alla tua bruttezza che non ci spaventa più come quel buio della notte, dopo aver ascoltato racconti di streghe e fantasmi, quando eravamo piccini e dormivamo con una lampada accesa ed un carillon? Sai perché? Perché è la bellezza che ci libera di te. E’ il canto del silenzio che amiamo ascoltare, quando spegniamo la tua radio gracchiante. Nel silenzio si ascolta una musica divina, l’armonia delle sfere ch’è fatta della voce del mare in lontananza e lo sciabordìo delle onde sui fianchi materni delle barche, la musica del pulsare delle stelle, lo spampanarsi di una rosa ed il leggero fruscio del petalo che scivolando a zig zag nell’aria tocca terra, il brusìo del vento che spazza via le muffe vetuste e le ceneri dai sepolcri imbiancati delle nostre antiche sudditanze alla materia. In molti, tra noi, hanno scelto il deserto. Tienti pure i tuoi scorpioni e serpenti a sonagli, usali per giocare con Harry Potter sul computer; ora, calziamo robusti stivali e, visto dal deserto, il cielo è un magnifico tappeto di stelle che ci attrae a se’, strappandoci ai tuoi artigli. E’ tutto scritto. Sei alla fine dei tuoi giorni. Trascorrerò tranquilla questa vacanza nel deserto, sarò “contadino” nel deserto concimando oasi di silenzio e di bellezza, per poi far ritorno alla mia vita mediocre quando avrai smontato la tenda dal giardino del mondo. Davvero, non ti sopporto più! Lagnoso e brontolone, cafone e prevedibile. Mi è bastato osservare un vecchio“ suocero” qualsiasi, un vicino di casa, un uomo piccolissimo e scialbo (persino troppo facile da indurre in tentazione) per capire quanto e come sei invecchiato male anche tu che lo spingevi e gli favorivi “agiatezza”; un vecchio acciaccato e spaventato dalla mancanza di futuro rifugiatosi tra quelle pietre di tufo della sua cadente magione; pietre di benessere e denaro che non potrà portare con se’ e che le turbo-ramazze attaccate come protesi alle mani dei suoi esclusivi eredi spazzeranno, disperdendole in fretta, come un tappeto di foglie d’autunno dopo una tromba d’aria… e, dopo tutto questo terrore, questo vivere in volontaria privazione di un amico, di un amore, senza la meraviglia di un’alba e di un tramonto, senza lo scodinzolìo festoso di un cagnolino, dovrà pure pagarti la gabella. Assurdo! Sei invecchiato, Belzebù, ed anche la tua vista s’è annebbiata: prendi dal mucchio dei panni sporchi sempre gli stessi stracci umani, ormai sbrindellati e privi di fascino: politici, capi di Stato, banchieri, amministratori delegati, spacciatori, pedofili, scafisti e puttane! Sei soporifero e hai l’alito pesante… chi vuoi che resti ammaliato dal tuo “fascino” se non qualche intellettuale di regime, vuoto dentro, e qualche residuato bellico di follìa che ancora gioca a Risiko e non riesce a chiudere una sola partita, aprendone cento altre, senza accumulare punteggio, come quelli cui non riesce mai un solitario e trascorrono le stagioni della vita a tavolino, a girare picche, cuori, fiori, quadri… senza mai guardare fuori della finestra a vedere se piove o c’è il sole… C’è una qualità umana, di inviolabile origine sacra, che non potrai mai possedere, “povero diavolo”, ed è la FANTASIA; quella che ha il cuore alato e che dalle origini del mondo muove l’uomo figlio di Dio verso l’alto. Quella fantasia che ha permesso all’umanità, su concessione divina, di creare macchine per volare, case per navigare gli oceani, ceste per sbarcare sulla Luna, medicina e chirurgia per salvare vite umane, strumenti musicali per comunicare direttamente con gli angeli. Da bambina mi portavano, spesso, a Capodichino perché mi piaceva più delle giostre dell’Edenlandia… Restavo stupita nel veder decollare ed atterrare gli aeroplani, ascoltare quel rombo di tuono che mi sembrava una formula magica tuonata direttamente dal Cielo. Così immaginavo che fosse la voce del vento nei più alti cieli infiniti. La voce di Dio! Ancora oggi, adulta, provo la stessa malìa; oggi che viaggio costantemente in aereo, come se prendessi la corriera! Ed ancora mi stupisco e sono convinta di assistere ad un prodigio, quando, a ripetizione, il rombo tuonante mi piove in testa dal Cielo. Così come amo guardare le navi lentamente accarezzare l’orizzonte e svanire come code di capodogli verso mari lontani che mi delizio immaginare con isole e scogli, popoli costieri e creature marine di ogni specie… L’altra notte mi hai fatto un altro dispetto: mi hai tolto Turchino, il pappagallino turchese che aveva scelto di trovare riparo in questa casa, tempo fa, riempiendola di colore, allegria e bellezza. L’ho tenuto tra le mani, al caldo sul mio petto, per quasi tutta la notte. Respirava sempre più lentamente ma ogni tanto con l’ala mi accarezzava il palmo della mano. Ebbene, voglio che tu lo sappia!.. Non ti è servito il giochetto, non mi hai prostrata ne’ resa infelice come desideravi. Sarà assurdo ma ci sono momenti di incredibile gioia e pace irrefrenabili che non si credono possibili e che squarciano il dolore dei momenti più tristi della vita… Turchino mi ha stretto  un dito nella zampina, una stretta di mano, prima di volare più in alto del solito; la conferma che avremmo potuto volare insieme, un giorno, con le sole sue piccole ali screziate di paradiso, senza dover salire su di un aeroplano, per potermi infine ubriacare di tutta la bellezza del Cielo. Nonostante le rogne quotidiane che l’uomo è avvezzo a fabbricare all’infinito da quando della vita ne ha fatto una gabbia, nonostante i debiti, il mutuo, le bollette da pagare, le tasse e sovrattasse con le more e…le fragole rosse di un rosso bancario, nonostante le frequenti rinunce… voglio solo dirti che è inutile che tu venga suadente a promettermi ricchezza. Sappi che la mia casa è nelle braccia delle creature che amo e la mia ricchezza è negli occhi belli del mio cane!