La voce di Megaride

La solita solfa dei pennivendoli di regime


da Deborah Ripreso - CataniaSpett. redazione, allego la stesura di una lettera idealmente rivolta al prof. Villari, scritta a Repubblica dopo aver visionato il filmato sull'opera "Il Risorgimento" di prossima pubblicazione.
Egregio prof. Villari, non posso certo nascondere  il senso di nausea e malcelato disappunto che ho avvertito nel guardare l'intervista da lei concessa a Repubblica per promuovere la pubblicazione de "Il Risorgimento". Da uno storico del suo spessore noi, gente del sud, ci saremmo aspettati onestà intellettuale, rigore storico e filologico, giustizia. La sua esposizione perfettamente in linea con la retorica piemontese del sud povero, arretrato, guidato da tiranni insensibili alle istanze "liberali" e ai "gridi di dolore", ripropone l'epopea garibaldina delle camice rosse le quali, in nome della libertà e dell’autodeterminazione, pugnando eroicamente, soddisfano il "bisogno di unità della PATRIA COMUNE". Il suo astorico uniformarsi allo stereotipo risorgimentale, uccide per la seconda volta le migliaia di meridionali che offrirono la loro vita per difendere la loro terra, il loro legittimo Re e le loro tradizioni dall’invasione piemontese del 1860. Lei parla di Patria e di bisogno di unità politica. Ma, mi scusi, di quale patria? Il centro nord, con i vari regni da secoli controllati da Potenze europee non poteva certo vantare cultura, lingua, tradizioni comuni né trascorsi di unità politica e territoriale. Gli unici ad avvertire politicamente tale “bisogno” furono i Savoia per mascherare i loro progetti di conquista della penisola determinando il fallimento di tutti quei progetti moderati che miravano ad una soluzione federale, unico rimedio per una coesistenza pacifica dei popoli italiani. Dal 568, anno dell’invasione longobarda, la penisola resterà divisa in un mosaico di Stati estremamente diversi tra loro. Quali sentimenti di patria poteva vantare il nord? Quelli della battaglia di Legnano e il Barbarossa, quelli della… “Padania”? O la discendenza dall’antica Roma? O la comune lingua parlata, nel 1861 solo dal 2,5% degli italiani? L’unica vera Nazione, con una storia di diversi secoli (730 anni) era il Regno del Sud in seguito chiamato delle due Sicilie. Nato nel 1130 ad opera dei normanni, con la sua storia, la sua cultura, le tradizioni, la lingua e la moneta durò fino all’invasione di Garibaldi e delle armi sabaude.Non prova vergogna, egregio prof, nel ripetere anche lei il consunto ritornello del sud povero e arretrato? Perchè non dice ai suoi lettori che il Regno di Napoli era il più industrializzato della penisola, con quasi 5000 industrie tra cui stabilimenti metalmeccanici, siderurgici, cantieristica navale, cartiere e concerie al primo posto in Italia.   Perché non ricorda a chi lo segue da tanti anni il costo della vita e l’imposizione fiscale tra i più bassi d’Europa, la florida finanza pubblica, gli alberghi dei poveri, la vaccinazione obbligatoria, i primi provvedimenti pensionistici d’Italia e l’assenza del fenomeno migratorio. L’emigrazione verso le Americhe era sconosciuta prima dell’annessione forzata al Piemonte. Essa fu l’impietosa conseguenza del progressivo trasferimento di risorse economiche e materiali al nord, della chiusura di numerosi stabilimenti e dell’azzeramento di migliaia di ettari di colture (canna da zucchero, riso, tabacco) per favorire gli imprenditori del nord. Perché non prova a svelare l’inconfessabile mistero relativo alla destinazione dei milioni di ducati sottratti da Garibaldi e i suoi pescecani dal Banco di Sicilia (80 milioni di euro attuali) e di Napoli (1760 milioni di €) e dalle floride casse comunali? Ci spieghi, professore, il ruolo dell’Inghilterra e della massoneria nell’eroica spedizione dei mille, il tradimento di alti ufficiali e ministri Borbonici comprati dal denaro inglese e sabaudo, le truppe duosiciliane fatte arrendere senza combattere e, fra tutto, le deportazioni di decine di migliaia di soldati borbonici nei lager di Fenestrelle e San Maurizio. Nel ripetere con tono solenne la storiella risorgimentale non sente le loro grida?  Non ode le sofferenze di coloro che furono fatti morire di freddo e fame sulle Alpi perché rei di essere incondizionatamente fedeli al loro Re e alla loro Patria?  Non ode gli spari, i rastrellamenti, le cariche di cavalleria dell’esercito piemontese contro le popolazioni inermi e le città del sud che combattevano per la loro libertà, per il loro sacro diritto a NON volere un re straniero e l’unione (con plebisciti-farsa) ad altri territori della penisola e che gente come lei, per scusarsi agli occhi del mondo, chiamò sprezzatamene “briganti, cafoni, terroni”.  Napoli, che dopo Parigi e Vienna era faro di cultura nelle arti, nelle lettere, nella musica, dove si stampavano il 55% dei libri di tutta la penisola… E’ avvilente per noi che ci definiamo italiani, dopo 147 anni, chiamare con pomposa retorica STORIA, la storia di chi con la doppiezza, l’inganno, lo sprezzo del diritto internazionale vinse una guerra di conquista imponendo la propria visione di “libertà”, dimenticando i perdenti, le genti del sud cui la sorte delle armi non arrise; le genti del sud che pagarono con la vita, la povertà, l’emigrazione, la decisione di pochi, furbi e audaci rivoluzionari. Rifletta, professore… e si vergogni! – D. Ripreso - Catania, 29 marzo 2007 -