La voce di Megaride

ricordiamolo riascoltiamolo


tratto da www.vatican.va
"... Ma torniamo al 1° settembre 1939. Lo scoppio della guerra cambiò in modo piuttosto radicale l'andamento della mia vita. In verità i professori dell'Università Jaghellonica tentarono di avviare ugualmente il nuovo anno accademico, ma le lezioni durarono soltanto fino al 6 novembre 1939. In quel giorno le autorità tedesche convocarono tutti i professori in un'assemblea che si concluse con la deportazione di quei rispettabili uomini di scienza nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Finiva così nella mia vita il periodo degli studi di Filologia polacca e cominciava la fase dell'occupazione tedesca, durante la quale inizialmente tentai di leggere e di scrivere molto. Proprio a quell'epoca risalgono i miei primi lavori letterari.Per evitare la deportazione ai lavori forzati in Germania, nell'autunno del 1940 cominciai a lavorare come operaio in una cava di pietra collegata con la fabbrica chimica Solvay. Si trovava a Zakrzówek, a circa mezz'ora dalla mia casa di Debniki, ed ogni giorno vi andavo a piedi. Su quella cava scrissi poi una poesia. Rileggendola dopo tanti anni, la trovo ancora particolarmente espressiva di quella singolare esperienza:«Ascolta, il ritmo uguale dei martelli, così noto,io lo proietto negli uomini, per saggiare la forza d'ogni colpo.Ascolta, una scarica elettrica taglia il fiume di pietra,e in me cresce un pensiero, di giorno in giorno:tutta la grandezza del lavoro è dentro l'uomo...».(La cava di pietra: I, Materia, 1)Ero presente quando, durante lo scoppio d'una carica di dinamite, le pietre colpirono un operaio e lo uccisero. Ne rimasi profondamente sconvolto:«Sollevarono il corpo. Sfilarono in silenzio.Da lui ancora emanava fatica ed un senso d'ingiustizia»...( La cava di pietra: IV, In memoria di un compagno di lavoro, 2-3)I responsabili della cava, che erano polacchi, cercavano di risparmiare a noi studenti i lavori più pesanti. A me, per esempio, assegnarono il compito di aiutante del cosiddetto brillatore: si chiamava Franciszek Labus. Lo ricordo perché, qualche volta, si rivolgeva a me con parole di questo genere: «Karol, tu dovresti fare il prete. Canterai bene, perché hai una bella voce e starai bene...». Lo diceva con tutta semplicità, esprimendo così una convinzione abbastanza diffusa nella società circa la condizione del sacerdote. Le parole del vecchio operaio mi si sono impresse nella memoria."