di Marina Salvadore Eboli andava benone per descrivere tutto il degrado del Sud, utile alla stantia Questione Meridionale accampata furbescamente per la risoluzione politica ed economica della Questione Italiana dopo il risorgimento del nord…ma le rocciose sponde rosa della selvaggia Sardegna parrebbero, da sempre, appartenere ad una virtuale legione straniera, aliena all’Italia… eppure, il piccolo regno di Sardegna fu l’attore protagonista dell’Unità d’Italia, per via di quel suo re sabaudo che non mise mai piede ne’ suoi territori isolani, convinto che la Sardegna fosse solo ”un’aspra pietraia”…. Eppure, il Savoia fu re di
Sardegna eppoi d’Italia e l’unico mito rapportabile alla dinastia sabauda incombente sul regno di Sardegna è legato alle vessazioni del Savoja, connesse - in “spirito” fine a se stesso- al mito della celebre grappa “filu ‘e ferro”, a testimonianza di una sudditanza reazionaria e ribelle, scarsamente innamorata del suo re virtuale. Intorno al regno di Sardegna si è voluto costruire un mito identitario, con tanto di esercito e di potenza ma possono mai dirsi italiani i sardi, così diversi per lingua, tradizioni, geologia e vestigia storiche persino dai meridionali e dall’altra isola italiana ,la Sicilia? Sull’equivoco – o meglio, sull’ignoranza – si continua a costruire apologia tricolorica, forse perché nell’era moderna le mura ciclopiche rinvenute negli abissi del mare che bagna questa grande isola sono state affibbiate alla civiltà atlantidea dai soliti storici ed archeologi sovvenzionati dai programmi di ricerca; non a caso, l’altro ieri, un’altra Atlantide è stata “scoperta” nel mare del Giappone… La necessità dei post-risorgimentisti di voler magnificare l’aspra pietraia, unica corona (di spine di rovo) dell’invasore sabaudo in Italia, pretestuosamente alla ricerca araldica di progenie della stirpe dei Titani, spingendosi indietro ad Alborea, senza ritegno fino ad Adamo ed Eva, pur di avanzare nobiltà regale di mitica primogenitura…chissà?… Il 28 agosto si celebra nella prigione dorata della Costa Smeralda, in quella “Edenlandia” senza storia ch’è Porto Cervo, la festa di Maria Stella Maris dal nome di una chiesina edificata dall’Aga Khan di religione ismaelita nonché sovrano e pontefice degli ismaeliti, Karim, il fondatore negli anni ’60 del mito mondano della Costa Smeralda che ha creato una Porto Cervo laddove non c’era uno spillo… neppure una minima attività marinara degli autoctoni. I sardi, infatti, pur godendo di un mare meraviglioso e pescoso hanno sempre ignorato questi doni concessi loro dal Signore e mai uno “stimolo” li ha indotti all’evoluzione di tecniche marinare o marittime. Gli scogli delle frastagliate coste furono da sempre approdo di conquistatori stranieri, malfattori, e loro, invece di affrontare il pericolo sulle coste, si ritraevano sempre più nell’interno del vasto territorio, dedicandosi prevalentemente alla pastorizia. Certo, se avessero avuto un re Borbone, probabilmente avrebbero partecipato fastosamente alle glorie della seconda marineria europea, matrice
della Marina Militare Italiana… ma gli toccò in sorte un Savoja, poveri loro!… e… Porto Cervo e tutta la Costa Smeralda sono, oggi, solo un allestimento scenico di Cinecittà, senza storia, tradizioni, identità. Paradiso forzato dei nuovi ricchi che vengono quaggiù con barche sempre più simili a navi da crociera…che qui si fanno il villone , il campo da tennis e quello da golf col prato sintetico, in stile con una patetica Bollywood che fa girare l’economia, che da impulso al “Mercato”, quello del fatuo; un mercato che si regge sull’immagine, sull’allure, sul vuoto assoluto di un eterno spot pubblicitario dove ognuno è prodotto sponsorizzato e comparsa al tempo stesso. Porto Cervo, alla sera, è un triste Luna-Park per narcisi clown provvisti di tutto e senza più desideri, senza allegria, che si muovono sullo sfondo tra un’attrazione e l’altra (la megabarca, la megaboiata, il megagossip, l’elicottero per spostarsi dal natante in rada al bar dell’aperitivo in piazzetta) per lo spettacolo quotidiano da offrire agli “operai” ed al personale di servizio, alle camerierine sognanti che arrivano qui, addobbate da odalische punk, dopo ore di fila in automobile, per scattarsi una posa da vip sdraiate come la Marini e la Gregoracci sul cofano di una Ferrari, di una Porche, di una Lamborghini… oppure con alle spalle un cacciatorpediniere fricchettone impupazzato di luci e di antenne radio, di radar e sonar come un monumentale giocattolo cinese di gusto kitsch. Ma è “MERCATO”! Porto Cervo è uno sportello bancario, la sagra del superfluo e dell’ostentazione. Nel centro del borgo, sulla via principale si snoda una passerella moquettata per far posto a tante piccole ed illuminate edicole votive dedicate ai santi orologi da polso all’ultima moda. Sotto i portici, a destra e sinistra, sotto e sopra, una processione di vetrine bombardate da fari da megawatts delle griffe più famose e costose che puoi trovare in qualsiasi metropoli. Qui, pare d’essere in un immenso centro commerciale; non è certo l’ideale come località turistica, perché di “turistico” c’è il niente totale se non pubblicità di gioielli e di auto. Lo stesso clima e lo stesso odore della Fiera di Milano al Milano Vende Moda. Le spiagge belle e particolari sono lontane da Porto Cervo e raggiungibili in auto o in barca e qui bivaccano calciatori e veline, “commenda” del nord e professionisti vari in cerca di migliore piazzamento sul MERCATO. Magari, c’è gente che ha il villone a Capri, a Portofino o in altri meravigliosi angoli di paradiso, eppure corrono tutti qua ad affittarsi per milioni di euro villoni alla Celvia, casone, casini e casotti a Porto Cervo, per tre mesi di fila…perché è qui che il chirurgo estetico trova importanti e numerosissime tette da rifare; è qui che la velina vende in esclusiva ad un giornale lo scoop di un amorazzo con un calciatore o un industriale, è da qui che l’abitino trandy dello stilista dell’ultim’ora riceve l’investitura ufficiale di “tendenza” e si rilancia, moltiplicandosi sulla carta patinata ed in mille altre luccicanti vetrine del mondo, il logo aziendale dell’”artista”. E’ qui, sotto gli ombrelloni della spiaggia della Celvia che per
cinque lunghi mesi l’anno macinano chilometri di sabbia ogni giorno i vucumpra’ senegalesi, con quintali di taroccature del suddetto “fashion in Porto Cervo” sulle spalle. Uno di questi è esile e magro e non si regge più sulle gambe. Alle cinque della sera è stanco e affranto. Un’anima buona che se ne accorge gli offre mezzo metro di ombra affittata a caro prezzo ed un sorso d’acqua. Ha 71 anni. Aveva sei figli. Tutti morti: uno, per un incidente stradale…un altro ammazzato durante una guerriglia…gli altri morti per malattie che qui da noi si riesce a curare con dei normalissimi farmaci… In Senegal ha, ora, solo una vecchia moglie ed una cognata ad aspettarlo…e forse non mangia a sufficienza per poter permettere loro di tirare avanti con quel poco che in cinque mesi tra i ricchi riesce a raccattare… Qui, a Porto Cervo, tra tanti Briatore, Billionaire e Bollywood, ogni tanto su di una spiaggia ritorna Gesù Cristo e vi sosta… Qui, è più triste che ad Eboli. Guarda sconsolato la linea dell’orizzonte, là dove il vasto mare di lacrime salate si unisce finalmente al Cielo, tirando per le vesti la Stella Maris perché riprenda in grembo l’umanità. O…quel che ne resta.