di Marina Salvadore“Napoli è ‘a città cchiù bella d’’o munno!” mi dice, seduti qui a conversare davanti ad una margherita verace e fumante che anche a Napoli si riesce a gustare ormai solo in rarissimi locali; siamo qui, in quello che per il gotha internazionale è, invece, il posto più esclusivo al mondo, la Costa Smeralda! Eppure Napoli non è stata sempre una mamma per lui; spesso, matrigna. Antonio De Vito, che ama presentarsi come “Antonio la Trippa”, a causa della sua incredibile somiglianza con Totò, è il personaggio napoletano per antonomasia che meglio riassume il carattere, la forza, la filosofia, il senso della giustizia giusta, del dovere: qualità che distinguono nel mondo il napoletano vero. Il napoletano che – purtroppo – è sempre più raro; quello che dovrebbe essere protetto come appartenente ad una specie in via d’estinzione persino dal WWF. Se a Napoli, come avviene a Milano con l’assegnazione dell’Ambrogino d’oro, esistesse un premio per il Napoletano verace, un Gennarino d'oro, in molti – tra gli amici e gli avventori internazionali del suo locale – concorderebbero per assegnare a lui il massimo riconoscimento, nonostante la maledizione atavica del "nemo Propheta in Patria". Eppoi, Antonio, è una memoria storica di Napoli ed è stato protagonista, sin da quando aveva undici anni ed incontrava, quasi ad esserne la mascotte, Mussolini che si recava spesso a Napoli in visita al convitto in Piazza Nazionale. Dice di aver anche sparato, una volta, per prova, con lo schioppo del Duce e di Mussolini dice solo che era un gran giornalista e letterato, un uomo gioviale e rassicurante, così come ama ricordarlo..."a parte quella gran cavolata di mettersi con Hitler!". Era ancora un bambino quando nell’immediato dopoguerra, per necessità della famiglia, morto il papà, si conquistò la simpatia degli americani che lo presero a servizio alla mensa ufficiali per dargli la possibilità di guadagnare qualche soldo ma soprattutto l’ambitissima tessera dei “militari” per il razionamento di vettovaglie così importanti per superare i momenti tristi della fame più nera che come un’epidemia incombeva, in quegli anni, su tutta Napoli. Vivace intelligenza, ottimismo spinto all’estremo anche davanti alla più cruda realtà della città “cchiù bella d’’o munno” ma anche la più bistrattata, disonorata, sfigata città d’Italia, Antonio De Vito cresceva guardando avanti e mai voltandosi indietro. Proveniva da un’antica generazione di ristoratori: friggitori e pizzaioli dei tempi della democratica pizza “oggi a otto” (mangio oggi, domani… e dopo… e ti saldo quando prendo ‘a “semmàna”) e del “caffè pagato” ovvero la tazzulella lasciata a disposizione dei più poveri dagli avventori poco più fortunati. La “pizza oggi a otto” e il “caffè pagato” sono i capisaldo della CIVILTA’ partenopea, un fenomeno di democrazia che non si è mai verificato in alcuna parte del mondo e che conferma, meglio di un libro di storia, usi e costumi di un Popolo CIVILE, nonostante le menzogne post-risorgimentiste ed altri ammennicoli sgradevoli di una Questione Meridionale studiata a
Antonio De Vitoda Dante a Totò
di Marina Salvadore“Napoli è ‘a città cchiù bella d’’o munno!” mi dice, seduti qui a conversare davanti ad una margherita verace e fumante che anche a Napoli si riesce a gustare ormai solo in rarissimi locali; siamo qui, in quello che per il gotha internazionale è, invece, il posto più esclusivo al mondo, la Costa Smeralda! Eppure Napoli non è stata sempre una mamma per lui; spesso, matrigna. Antonio De Vito, che ama presentarsi come “Antonio la Trippa”, a causa della sua incredibile somiglianza con Totò, è il personaggio napoletano per antonomasia che meglio riassume il carattere, la forza, la filosofia, il senso della giustizia giusta, del dovere: qualità che distinguono nel mondo il napoletano vero. Il napoletano che – purtroppo – è sempre più raro; quello che dovrebbe essere protetto come appartenente ad una specie in via d’estinzione persino dal WWF. Se a Napoli, come avviene a Milano con l’assegnazione dell’Ambrogino d’oro, esistesse un premio per il Napoletano verace, un Gennarino d'oro, in molti – tra gli amici e gli avventori internazionali del suo locale – concorderebbero per assegnare a lui il massimo riconoscimento, nonostante la maledizione atavica del "nemo Propheta in Patria". Eppoi, Antonio, è una memoria storica di Napoli ed è stato protagonista, sin da quando aveva undici anni ed incontrava, quasi ad esserne la mascotte, Mussolini che si recava spesso a Napoli in visita al convitto in Piazza Nazionale. Dice di aver anche sparato, una volta, per prova, con lo schioppo del Duce e di Mussolini dice solo che era un gran giornalista e letterato, un uomo gioviale e rassicurante, così come ama ricordarlo..."a parte quella gran cavolata di mettersi con Hitler!". Era ancora un bambino quando nell’immediato dopoguerra, per necessità della famiglia, morto il papà, si conquistò la simpatia degli americani che lo presero a servizio alla mensa ufficiali per dargli la possibilità di guadagnare qualche soldo ma soprattutto l’ambitissima tessera dei “militari” per il razionamento di vettovaglie così importanti per superare i momenti tristi della fame più nera che come un’epidemia incombeva, in quegli anni, su tutta Napoli. Vivace intelligenza, ottimismo spinto all’estremo anche davanti alla più cruda realtà della città “cchiù bella d’’o munno” ma anche la più bistrattata, disonorata, sfigata città d’Italia, Antonio De Vito cresceva guardando avanti e mai voltandosi indietro. Proveniva da un’antica generazione di ristoratori: friggitori e pizzaioli dei tempi della democratica pizza “oggi a otto” (mangio oggi, domani… e dopo… e ti saldo quando prendo ‘a “semmàna”) e del “caffè pagato” ovvero la tazzulella lasciata a disposizione dei più poveri dagli avventori poco più fortunati. La “pizza oggi a otto” e il “caffè pagato” sono i capisaldo della CIVILTA’ partenopea, un fenomeno di democrazia che non si è mai verificato in alcuna parte del mondo e che conferma, meglio di un libro di storia, usi e costumi di un Popolo CIVILE, nonostante le menzogne post-risorgimentiste ed altri ammennicoli sgradevoli di una Questione Meridionale studiata a