La voce di Megaride

Teatro Napoli


di Marina SalvadoreNell’immaginario collettivo che collima fatamelmente con la fascia subliminale dei luoghi comuni, Milano è considerata una grande Banca, Roma è un grande
Trattoria e Napoli è un gran Teatro. Nulla da eccepire! Il problema è che Napoli, indiscusso Teatro della drammaturgia e della commedia popolare sin dal ‘500, con un Basile pre shakespeariano, eppoi  regina del Teatro dell’Opera, nel ‘700, e – a morire con  Viviani, Petito, Totò ed Eduardo – Teatro Antologico, dall’avanspettacolo alla commedia dell’arte alla drammaturgia e lirica del ricco ‘900, è scaduto, oggi, a squallido teatro politico, lesivo della dignità dei tanti validi artisti che nell’hit parade identitaria, costruita sulla cultura, le tradizioni, le arti e le affinità elettive con l’anima dell’antichissima città, cede volgarmente il passo… e il palcoscenico… a nuove soubrettes incipriate che l’Arte si vergogna persino di annoverare se non fosse per il fatto che questa nostra Repubblica ha il vizietto di tesserare in qualità di artisti di sinistra ed artisti di destra, con la prevalenza, schematica, dei primi sui secondi, giacché la satira e la cultura parrebbero essere considerate esclusive virtù dei giacobini. Quantomai vero, in una città come Napoli, patria di filosofi e d’intellettuali che schifano totalmente la rustica progenie del saggio teatro popolare fatto da scugnizzi e lazzari d’antica tradizione. Infatti, i più celebrati… o “patinati” artisti contemporanei, sfruttando voracemente la patente nobiliare della “napoletanità” sono tutti esuli felici e ingrati a Milano ed a Roma, l’elenco è lunghissimo! Costoro, poi, a suon di meningi e di falsa eccentricità, scrivono libri, scopiazzano tomi enciclopedici ed arte antica, dalla grecità alle Due Sicilie ed  organizzano ipocrite kermesse, spettacoli e tournée nei luoghi consacrati alla Cultura, sfruttando il ricco patrimonio della napoletanità e ce li ritroviamo, durante ogni stagione teatrale o in ogni evento politico-culturale e massmediatico,  a calcare le scene partenopee a non meno di 35 euro la poltrona in platea più l'acquisto dei soliti gadgets impropri ma votati al commercio globalizzato; quella platea piècora e masochista che riempie, vestita elegante per le "intellettive" occasioni, i teatri di Napoli per farsi sputare in faccia, ammonire, offendere dagli “evoluti” compatrioti transfuga! Altrove, in altre città italiane, gli artisti e gli intellettuali risiedono sul territorio e, solidali, ad ogni offesa alle tradizioni della loro cultura identitaria, insorgono con sottoscrizione d’autorevoli manifesti che sono proposti, poi, alla totalità della Nazione. Da noi, no… non è possibile. Mai! Lo stesso compagno Eduardo si spostò a Roma e ben prima del suo ingrato "FUJTEVENNE!", per non parlare dello scopiazzatore filosofo De Crescenzo, Pazzaglia, Ranieri, fino alla Laurito e al neomelodico "Giggi" D'Alessio, 
solo per fare qualche nome, a caso.. La Patria del Teatro, NAPOLI, non è degna neppure di un Teatro Stabile eppure i napoletani continuano, per tradizione e competenza ancestrale, a riempire i teatri, a declamare il successo di questo o quell’altro figlio degenere o dei “figliastri acquisiti” che annusano l’ORO presso i botteghini degli stolti napoletani acquirenti "ARTE". Qualsiasi cosa o prodotto si voglia lanciare, anche l’apocalisse, la merda secca, è quindi possibile farlo da Napoli, monnezza compresa! A proposito della monnezza – che per tanti è sinonimo di ricchezza, più del traffico di cocaina e di schiave – il "Teatro Napoli" è garantito, ora, agli artisti politucoli di regime, con eventi caciareschi e folkloristici che vanno dai saltim-Banchi del Governo agli scranni degli enti locali, agli “artisti prezzolati e tesserati” che si dicono controcorrente. In una sola giornata, OGGI, ben due eventi di colore hanno segnato Napoli: stamane, la CISL, alcune emerite associazioni e le immancabili due forze politiche dell’opposizione hanno sfilato come in un Carnevale di Rio, con vessilli, trombettelle e putipù da Santa Lucia a Largo ‘e Palazzo; analogamente – e per gli stessi motivi (vandea di chiacchiere contro le emergenze cittadine: monnezza e disoccupazione nonché “volti nuovi per un’amministrazione nuova”... Bassolino, Jervolino, De Mita docet) questa sera, in Piazza Cavour, il Monnezza-Day di Grillo e di altri associati presenteranno il loro “Carnevale”… anche se siamo in Quaresima. Tre lustri di monnezza, aspettando un comico genovese per ribellarsi e pensare addiritura ad una secessione, per fingere d'essere coerenti con le proprie antiche radici? Non c'era da nessuna parte, in questi tre lustri, un comico napoletano autoctono e residente, disponibile... papabile? Vale anche qui la solita solfa dell'individualismo e dell'invidia del meridionale presso i suoi simili, la solita esterofilia? Comunque, in entrambe le spettacolari occasioni, c’è da riconoscere che lo spettacolo è  momentaneamente gratuito, poiché i botteghini interessati al successo delle due performances sono ubicati nelle future urne elettorali; tanto per il centro-destra quanto per il centro-sinistra e loro rispettive amebe estreme, radicali o pseudo-integraliste. Che palle! La solita solfa. Inutile dire che la monnezza, soprattutto quella fatta di rifiuti tossici, è il palcoscenico ideale sul quale esibirsi come eroi romantici: i politucoli ancora in auge che meriterebbero d’essere condannati per reato di strage e la connivente, ignava opposizione. entrambi, senza macchia... senza dignità, senza spessore.  In tre lustri di emergenza, infatti, e prima di giungere all’apoteosi, al dramma senza ritorno, i nostri “artisti oratori” dell’una e dell’altra parte hanno avuto tutto il tempo per cercare di rimediare in parte all’olocausto di un popolo e di una civiltà. La corsa allo spreco si ripropone: le locandine con le auguste effigi d’ogni “compagnia teatrale”, compresa quella dei guitti, già tappezzano tutta Napoli, richiamando il pubblico pagante ai botteghini teatrali della Politica Locale e Nazionale. I primi milioni di euri se ne vanno in carta straccia, colla, trombette e cotillons. E’ il “cartellone” poco originale di un’incerta stagione teatrale ammuffita che non rende onore alle tradizioni della Patria del Teatro che richiede personaggi ed interpreti nuovi oltrechè campagne elettorali nuove, basate sul lancio e realizzazione di progetti di risanamento per Napoli e non sulle ovazioni telecomandate dai loggioni: all’eco-politica del riciclaggio bastano, si sa, le materie prime dei rifiuti ed i soldi zozzi della camorra. Giù il sipario, Napoli! Si vuotino le platee dei teatri. Si spengano i riflettori. Si confischino i botteghini. Si condannino all’esilio papponi, magliari e sfruttatori d’ogni tipo; a questa pletora immonda gridiamo anti-defilippamente "JATEVENNE!", fino a quando alla bella schiava Parthenia, la Preferita Prostituta ed ai suoi pochi figli legittimi, degni d'essere chiamati ARTISTI, non sarà restituita la corona della Libertà e dell’Onore!