La voce di Megaride

Quisquilie


Chi di speranza vive disperato muore
Quando il governo Prodi era agli sgoccioli, gli italiani - anche non del centrodestra - presero a sperare in radicali cambiamenti di molte situazioni. A Napoli, specialmente, per i ben noti motivi. La strisciante campagna elettorale dei riciclati colossi PD e PDL, in odor di verginità, aveva preso il suo avvio  già all'attestarsi del governo Prodi: i due anni  di coatta "distrazione" per il volgo... e dal volgo subìti quale scempio...  misuravano i tempi utili  alla creatività industriale  dei monoliti della Democrazia e delle Libertà. Le piazze italiane, tra palloncini, festoni, promesse e pinzillacchere, furono poi coinvolte nei "volemose bene" di circostanza: si alternavano i simboli e le facce sui palchi ma le promesse, i baci, gli abbracci erano terribilmente uguali. Comunque, in quelle circostanze e nell'euforia generale, prendemmo tutti a sognare (poichè da LORO  MAGNIFICI sollecitati!) la detronizzazione di Bassolino e della Jervolino, lo sfascio della Corte e delle "parrocchie"... come ad un nuovo congresso di Vienna... addirittura sognavamo ad occhi aperti ceppi, ferri e Piombi di Venezia dove fargli scontare la pena per il reato di strage di un Popolo e del suo Territorio... quantomeno sognavamo che fossero chiamati a risarcire i danni di una malamministrazione e che a Bassolino e soci fossero confiscate case e ville, com'è d'uso con certi pregiudicati, da far gestire a "Libera"... Chiedevamo il pugno di ferro contro il potere criminale non contro la gente ... chiedevamo (visto che han finito col ricopiare il vecchio piano della amministrazione  regionale Rastrelli) che dessero un'occhiata alla lista 2007 dei siti per le discariche compilata dal luminare Giovanni Battista De Medici, invece eccoli a Chiaiano, nella cava di tufo; quel tufo argilloso che si succhia in un niente il percolato, miscelandolo per benino alle falde acquifere.... Di monnezza in monnezza, chiedevamo che la Legalità tornasse a declinarsi almeno al condizionale con la Giustizia... che i Robespierre "giustizialisti" fossero annientati...
Soprattutto, noi sostenitori di Bruno Contrada vagheggiavamo, stante le adesioni raccolte tra le sponde dei due leader, che si rendesse GIUSTIZIA a Contrada... Il sogno, la speranza, si sono infranti in un lampo: ieri a saltare come scimmie, gaudendo; oggi, affranti dall'evidenza che nulla cambierà. Restano a pigiarci il petto con il tacco dello stivale, a far da statisti occulti, gli "intoccabili" di sempre, ereditati insieme all'ingombrante mummia di Lenin dal millennio scorso... quelli  da "tenersi buoni", temuti da entrambe le moderne "aggregazioni" pseudo politiche cui manca la libertà di esprimersi, per tema di rompere dei granitici equilibri, ora che tra un pasticcio e una frittata, occorre darsi alla cucina internazionale da fast food.  In fondo, la monnezza e Contrada sono bazzecole, quisquilie... dinanzi alla globalizzazione dell'Economia Politica di Sion cui tutti aspirano. Si ragiona per numeri... per grandi numeri... nel PDL e nel PD: cancellati assurdamente i Partiti che erano democratica espressione della volontà e del sentimento popolare, cosa potevamo mai sperare... ora che i sacchetti della monnezza, la gente e Bruno Contrada sono solo numeri... codici a "sBARRE"? (marina salvadore)L'inaffondabile "squalo Gianni"Nonostante il G8 e i guai della Campania è rimasto in selladi FRANCESCO LA LICATA – La Stampa.itDiavolo di uno «squalo», l’immortale Gianni De Gennaro è riuscito a passare indenne anche sulle mine sparse lungo il percorso del suo presunto fine-carriera e abilmente nascoste sotto le migliaia di tonnellate di monnezza napoletana. «Non sarà il Negroponte dell’intelligence italiana», avevano predetto i sapientoni che più d’una volta lo hanno dato per spacciato, specialmente dopo la «disgrazia» cadutagli addosso col disastroso G8 di Genova del luglio 2001. E invece ai servizi di sicurezza è stato chiamato, l’ex «sbirro» che nel nostro paese si è inventato la lotta alla mafia, quando la credibilità delle istituzioni era sotto lo zero proprio nel confronto con l’antistato chiamato Cosa nostra. Affondano le radici in un tempo lontano le cento vite del poliziotto più temuto, più rispettato e più invidiato: un mito per i propri uomini, oggetto di ironie al vetriolo per i numerosi colleghi che negli
anni si sono visti sorpassare da un treno in corsa. E allora ai più non rimaneva che confidare in qualche incidente di percorso che «sicuramente» avrebbe azzoppato lo «squalo», mettendolo fuori gioco. Per questo ad ogni cambio di governo si scatenava il gioco crudele del «che fine fa De Gennaro?». Ma i governi sono cambiati diverse volte e lui resiste: nominato da sinistra e confermato da destra, poi rinominato da destra e riconfermato da sinistra.  E dire che di «problemi» ne ha incontrati, lo «sbirro calabrese», per dirla con quanti ne ricordano l’origine quasi a voler sottolineare un punto di ambiguità. Indicato, mai esplicitamente, come cinico carrierista e ispiratore di presunte congiure giudiziarie, le più famose i processi a Contrada ed Andreotti. I supporter di Bruno Contrada hanno provato a consegnare De Gennaro all’opinione pubblica come l’ingegnere della trama che avrebbe portato l’ex funzionario del Sisde in un carcere militare. Anche Giulio Andreotti - trascinato in tribunale dalle indagini della Dia, allora governata dallo «squalo» - ha puntato il dito contro lo «sbirro», senza mai chiamarlo per nome e ricorrendo alla metafora del «questore infedele». Ma neppure la dignitosa ostilità di un uomo potente come il «divo Giulio», neppure la bizzosa avversione di un Cossiga altalenante nei giudizi, ha avuto la meglio sulla inossidabile capacità di resistenza dello «squalo». Nato sulla strada, come poliziotto da strada, De Gennaro ha governato la nascita della polizia investigativa, allontanandola dall’aura scelbiana della Celere “cane da guardia” del potere, riuscendo a veicolare una nuova immagine di “sicurezza democratica” distante dalla ricerca esclusiva del “presidio della piazza”. Così, per esempio, si espressero i commentatori che lo difesero durante la disastrosa gestione dell’ordine pubblico a Genova. Giudizi neppure acuiti dall’avviso di garanzia successivo, giunto sull’onda delle accuse di aver cercato di truccare le carte coi magistrati di Genova.  Si potrà dire che De Gennaro, divenuto col tempo uomo di potere, abbia trovato facile terreno di coltura in un ambiente tradizionalmente incline agli aggiustamenti della prima repubblica. Ma non è completamente vero, visto che un uomo come il ministro Maroni - intervenendo ieri sera a Matrix - ha detto secco che «De Gennaro è l’uomo giusto al posto giusto», tradendo così una buona parte di paternità di quest’ultima nomina. Già, Maroni. Non è nuovo, questo feeeling. Risale al 1994, primo governo Berlusconi, quando il centrodestra (quello finito nelle inchieste dello «squalo») voleva spedire lo «sbirro» alla prefettura di Palermo. Un’improvvisata riunione notturna alla Trattoria dell’Orso (allora quartier generale della Lega) fece intendere a Maroni che De Gennaro a Palermo, dopo Falcone e Borsellino, averebbe potuto fare la stessa fine di Dalla Chiesa, prefetto senza poteri. Lo «sbirro» divenne vicecapo della Polizia e conquistò per sempre Maroni.