La voce di Megaride

Ordinaria follia a Napoli


di Armando De Rosa
Il lavoro che svolgo mi porta a girare molto in centro, spesso sono in coda a qualche sportello, ufficio comunale, sezione amministrativa in attesa del mio turno. L’altro giorno ero per una pratica all’INPS di Via Galileo Ferraris a Napoli - zona stazione - il meglio in fatto di inefficienza della pubblica amministrazione. A quarant’anni, dopo più di venti passati tra gli uffici pubblici, non hai più voglia di litigare con nessuno. Sai che hai perso l’intera mattinata, che contribuirai positivamente alla flessione del PIL nazionale, ma qualsiasi tua rimostranza mossa all’impiegato sull’inefficienza e l’inettidudine di molti suoi colleghi finisce contro il muro di gomma che protegge da sempre la pubblica amministrazione.  Anche quella mattina prendo il numeretto e aspetto indolente, l’arrivo del mio turno. Prima di me c’erano soltanto 47 persone. Con una media di 10 minuti a testa e due sportelli funzionanti (contro i sette disponibili) per fine mattinata ce l’avrei fatta. Ma, come al solito, qualsiasi previsione è sbagliata quando ti accingi ad un ufficio pubblico.
Uno dei due impiegati, infatti, si alza e senza motivo lascia il posto di lavoro. Il suo collega, intuendo forse che il compagno sarebbe mancato per le prossime due ore dallo sportello, guarda con faccia assonnata la platea di imbecilli in attesa e depresso abbassa gli occhi sulla pratica che stava sbrigando sapendo che di li a poco dovrà litigare con l’intera utenza che chiederà a gran voce dell’assenza prolungata del suo collega. Non avevo voglia di leggere il “giornalino della metro”, anche “il mondo nuovo” di Huxley comprato la sera prima, stentava a partire. Optai quindi per il solito giochino che mi rilassa e che mi piace fare quando c’è da aspettare molto tempo nelle code. Mi avvicino con passo felpato alla calca di gente in attesa, in cerca di qualche buon soggetto da analizzare. E’ quel gruppo di persone che si schiaccia contro i vetri dell’ingresso con il numero 96 tra le mani ed il display che proietta fiocamente il 12 che mi da le maggiori soddisfazioni. C’è tra loro talmente di quel materiale umano da assicurare tranquillamente ore ed ore del mio gioco preferito. Mi incanta osservare le persone molto da vicino, attentamente, cercando di notare i particolari del corpo che a prima vista sfuggono all’occhio distratto. Mi piace soffermarmi come un microscopio sulle parti scoperte del corpo e notare, che so, dei peli che spuntano come piante di gerani dalle orecchie; Scoprire magari che si lava le orecchie, diciamo, di tanto in tanto. Questa cosa ovviamente mi costringe ad avvicinarmi inverosimilmente alla preda. Causa la miopia senile galoppante devo stare molto attento a non essere frainteso e scambiato per un psicopatico, omosessuale o pedofilo a seconda che la preda sia rispettivamente una racchia psicopatica, un signore del gentil sesso ovvero un dodicenne rompicoglioni. Lo stato di usura dei calzini è quello che la preda maschio mostra più facilmente. Colore, buchi e smagliature della calza sono obiettivi raggiungibili per chiunque. Più difficile è capire se il calzino è pulito oppure è stato riutilizzato più volte prima di vedere qualche goccia d’acqua. L’estate assicura a questi fantastici signori veri girocollo “sudore e polvere”. Le donne “cha cha cha” sono quelle che mi piacciono da morire. L’orecchino bijoux simil oro, stinto in prossimità dell’aggancio all’orecchio, con cerchi talmente grandi da ospitare comodamente un pappagallo brasiliano. Il gancetto ruotato nel verso opposto - senza che la spagnola se ne rendesse conto - rendeva il lobo paurosamente cianotico. La ricrescita alla radice dei capelli biondo platino tradisce il sottostante brizzolato della ultratrentenne ed il pelozzo - con perifrasi “superfluo” - fa capolino superbamente dalla calza da 30 den. Credetemi capisco le donne che - a differenza di noi uomini - dedicano ore ed ore al restauro e concordo con loro che simili circostanze possono minare alla base qualsiasi libidine del maschio. Il giochino però finisce quasi sempre male. A furia di frugare nella personalità del pensionato di turno rimango perplesso. Mi viene da pensare al suo quotidiano, a quella mattina che inforcando distrattamente quel calzino bucato l’anziano signore si riprometteva di vincere finalmente contro l’INPS e di ottenere l’agognato aumento ingiustamente negato. Ma in quale momento della sua vita sto guardando? E come posso ironizzare sui 30 euro di aumento indispensabili a tanta povertà. Un momento prima lo biasimavo quando lo sentivo affannarsi davanti al vetro di protezione, inveendo contro l’impiegato per un certificato sbagliato. Ma adesso capisco la verità mi è tutto più chiero ed improvvisamente quell’omino mi torna simpatico. Mi fa addirittura tenerezza, vorrei difenderlo. Noto anche che somiglia un po’ a mio nonno. Ricordo bene. Anche lui ha sofferto ed è morto di pensione sociale. Probabilmente una mattina di non tanto tempo fa anche lui ha protestato con altrettanta rabbia per le medesime ragioni. Con un po’ di amarezza arriva il mio turno all’ufficio pensioni. L’impiegato allo sportello è una donna sui cinquanta, proiettata ai cento chilogrammi. Davanti al computer una confezione di medicinale per le cardiopatie e il flacone per le pillole “zantax” per l’ulcera allo stomaco. E’ veramente inutile arrabbiarsi per così poco di fronte alle disgrazie della gente. Finisco col ringraziare l’impiegata per aver respinto la mia pratica per una fotocopia mancante negli allegati. Ma va bene così, tornerò un altro giorno. Esco fuori dall'ufficio. Come sempre a Napoli la giornata è splendida e decido di rimandare un appuntamento per fare due passi. Perché, come si dice, la vita è una sola e deve essere vissuta il più possibile. Fuori dal cancello dell’Inps ritrovo l’omino di prima, fermo alla fermata dell’autobus. Mi avvicino per offrire un passaggio. “Vi ringrazio dotto”, mi dice con la stessa voce che ancora mi commuoveva, “ma sta arrivando mio figlio col Mercedes”. “Sapite a macchina è a mia, ma me scoccia e guidà”. “Bona jurnata”