La voce di Megaride

ve la do io la " 'nzegna " !


di Mimmo Di Renzo
Sono nato "luciano", ci ho vissuto per trentuno anni a Santa Lucia… che a malincuore ho dovuto lasciare… Il  mio quartiere, la mia dimensione felice o, come mi sfottono i miei figli, il mio “paese” . Ho vissuto quegli anni, gli ultimi che hanno visto ancora ardere l'anima dei
fieri luciani d’o rre a Via Solitaria, alle spalle di piazza Plebiscito ed a pochi metri dall'imbocco del Pallonetto di Santa Lucia… Gli ultimi anni… quelli che ancora   distinguevano il luciano vero da quello d’importazione, malsopportato: l'invasore odiato, detto il “Buarese”, abitante del quartiere porto del Borgo Loreto, che si era impadronito dei bassi, le fonnachère, i depositi dell'immondizia, in tempo di guerra. Vedete, i luciani hanno una fierezza di casta perché sono figli del mare, come Partenope…  hanno  il mare dentro… e molti di loro, detti “’e Scereppa”, anche se caratterizzati dall’intenso colorito bruno dei luciani, avevano gli occhi azzurri... il mare nello sguardo. Commerciavano il loro pescato o l'acqua ferrata che scaturiva dalle fontane al Chiatamone. I buaresi, piccoli, scuri anche loro, con animo levantino ed avvezzi a vivere alla giornata, portarono a S. Lucia fame, miseria ed i pidocchi. Tanti pidocchi, persino il tifo petecchiale.. Ancora nel 1960 si poteva assistere a zuffe
terribili, dove il luciano difendeva la sua integrità, la sua vita, il suo esistere. La sua dignità di schiatta! Poi, gli incroci dell’avvenuta globalizzazione cittadina… poi, l'oblio di tradizioni e cultura, di riti e di miti. Sono un luciano, anche se a metà. Ho il sangue caldo, l'onestà, i principi, la storia dei luciani… O' Rre!…. Per noi il re è solo il Borbone;  l'altro, è venuto dopo e solo il battage del ventennio, la poca occasione di avere ancora un ruolo nella storia è ervita a far accettare al popolino le vicende di Umberto di Savoia, alto, bello, eppoi inquilino  di Palazzo Reale (per noi, “mmiezo palazz”). Anche il fascismo dovette fare i conti con i Luciani, che appoggiarono in massa il movimento di Aurelio Padovani, fino a quel pomeriggio del 16 giugno del
1926, in via Generale Orsini, quando “crollò” la balaustra del balcone… incidente mai periziato. Nel Luciano era viva la rude onestà e da sempre e in ogni tempo ha contrastato i camorristi, anche in pieno periodo del contrabbando. Torniamo alla festa della ‘Nzegna, che ora un regista alternativo ed un po’ confuso sta per ricacciare tra i grandi eventi municipali… Era la festa del mare. Dopo i festeggiamenti del corteo e dell’omaggio alla madonna, tutto il popolo che vi prendeva parte e con esso persino le controfigure in costume d’epoca dei regnanti Ferdinando e Carolina, si tuffava -  o era letteralmente - buttato a mare. Tutti: grandi e piccoli, uomini e donne, luciani e forestieri, in un solo unico abbraccio con il mare. Chi non sapeva nuotare, imparava in quell’occasione; da quì il  “così ti ‘nzegna”, spirito della festa, teso a rievocare l’antica discendenza e la rinnovata complicità con il Mare, con Parthenia. In onore della Madonna Catena, vergine madre come la sirena, ci si lanciava in  una danza con i bastoni
(che avevano sostituito i coltelli) e che evocava le danze più antiche e guerriere dei paesi che si affacciano sul nostro mare. Eh!...già, ora la ‘Nzegna risorge ma senza un pezzo di anima, svaporata, irrintracciabile, ormai. Dopo la Piedigrotta profanata, involgarita, è ora la volta della obliata ‘Nzegna!. Tutto in un solo calderone, per tutti i gusti e tendenze: luciani, buaresi, scereppa, repubblica partenopea e risorgimento, Borbone, bersaglieri e sabaudi, saraceni e americani, e le performances di artisti dell’intellighentia giacobina che sanno poco o niente di Napoli. Meglio celebrare nei ricordi la ‘Nzegna, con un bicchiere di asprigno ed un vecchio canto di Ferdinando Russo, autentico bardo dei Luciani. Santa Lucia luntano ‘a te, quanta malinconia!