La voce di Megaride

Mi chiamo Roberto ma di cognome non faccio Saviano


L'imprenditore schiacciato da strozzini e tribunaledi Antonio Corbo - RepubblicaNeanche quarant'anni, da nove Roberto Battaglia resiste a usurai, esattori del racket, banche ma anche giudici inflessibili, come quelli del tribunale civile di Santa Maria Capua Vetere. "Mi è stata negata la sospensiva di trecento giorni sollecitata dal prefetto e prevista dalla legge per chi denuncia usura e racket. Mi trovo schiacciato
tra due forze dello Stato: magistratura penale e carabinieri mi hanno salvato dalla malavita ed io ho fatto arrestare chi mi ricattava. Ma se il tribunale civile manda all’a sta i miei beni, per soddisfare le banche mi condanna alla fame". Si è scoperto che una delle banche creditrici ha presentato una difejussione con firma falsa, e le copie originali di quel fascicolo non si trovano più. Un fascicolo sparito nel tribunale civile di Santa Maria Capua Vetere. Possibile? "Possibile, anche se la coincidenza è sospetta", sospira uno dei legali di Roberto Battaglia in una mansarda adibita ad aula di udienze, ultimo piano di un edificio convertito con buona fantasia in un irriconoscibile tribunale, dove si registra un giallo dopo l’altro. Battaglia racconta il suo in un lungo incontro nella fattoria di Caiazzo, tra bufale, tori, mucche, cavalli e un incubo. Quelle porte chiuse. "Rischio la vita, dopo aver fatto arrestare chi mi ricattava. Ed ora un giudice civile può distruggermi negandomi una sospensiva prevista dalla legge, non posso crederci". Il giudice è di Santa Maria Capua Vetere. Battaglia ha pensato più volte di ricusarlo. Gli avvocati lo frenano. Il primo soccorso è di Confindustria, che ha chiesto l’intervento di Roberto Maroni. Si comincia dall' Agenzia Battaglia. "L'Alitalia, fine anni Novanta con la deregulation, revoca le 28 agenzie generali in Italia. Una era di mio padre. Biglietti aerei per tutta la provincia. Il fatturato crolla. Le banche ci mettono in sofferenza. Un avvocato consiglia di vendere l' immobile dell' agenzia e ci presenta tre signori. Vogliono investire, dice lui. Ci danno un acconto di cento milioni. Ma le banche impediscono la vendita, hanno una ipoteca. I tre pretendono quindi il fitto di un locale che non possono più comprare e la restituzione dei cento milioni. Ne incassano in poco tempo 300". Non finisce qui, perché Battaglia non si libererà più di loro, né di altri usurai che prestavano i soldi da versare ai primi tre. "Solite minacce, interessi del 10 per cento mensile, in un anno è il 120. Prendevo i soldi dall'allevamento, avevo allora 300 mucche". I nuovi usurai sono ancora più infidi. "Mio padre muore il 19 gennaio 2000, io provo a dire basta. Macché. Gli usurai impongono la cessione delle nostre auto del noleggio a metà prezzo. Uno era un commerciante di auto. Firmavo un assegno da 10 milioni di lire, me ne davano 8. Portavo gli assegni dei caseifici che pagano il mio latte a 60 giorni, e loro trattenevano il 10 per cento. Esempio: su 10 milioni, per due mesi di attesa, perdevo due milioni. L'azienda produceva bene, lavoravo tanto, ma mi ritrovai con un'esposizione di 250 milioni. Come un naufrago che nuota controcorrente. I debiti si gonfiavano giorno per giorno. Mi fermo a 250 e chiedo una dilazione. L' ultima. Riesco ancora a pagare". Perché sempre nella morsa degli usurai? "Perché le banche non mi aprivano le porte. Avevano ormai aggredito il mio patrimonio, valeva 4 milioni. Non c' era interesse a riaprirle". Ma neanche gli strozzini, recuperati i soldi, lo mollavano. Dall' usura al racket. Roberto Battaglia tra 2003 e 2006 rende più moderna l' azienda: inserisce 500 bufale in un ciclo meccanizzato, perfetti i controlli sanitari e la sala mungitura. Un gioiello. Ma l'azienda attrae. Anche la zona. I casalesi vogliono espandersi verso campi di quieta bellezza, da Caiazzo a Squille a
Monteverna. Che Battaglia abbia superato la crisi, sembra certo. Lo scoprono i tre, che avevano tentato di acquistare l' agenzia. "Me li ritrovo in azienda, ogni tre-quattro mesi, dicevano che il conto era aperto, e conoscevano loro la strada giusta per farmi pagare.Capisco qual era la strada ad aprile 2008, e corro in Procura. Viene un certo Giuseppe D'Anna, a nome di Luigi Schiavone, cugino di secondo grado di Sandokan. Sono costretto a incontrarlo a Caserta Nord il primo luglio, ma il procuratore Luigi Gay mi aveva subito affidato al colonnello Burgio. A Caserta Nord c'è con me un carabiniere in borghese. Luigi Schiavone mi parla chiaro: sono di Casale, mi dice, e ho in mano i titoli che devi onorare, da questo momento te la vedi solo con me. Insisto: non devo più niente a nessuno, poi prendo tempo, 15 giorni". Attenti al 17 luglio, è la data da ricordare. La mattina un giudice civile dà esecuzione alla vendita dei beni all'asta per soddisfare le banche. La sera alle 17.30 sono arrestati Luigi Schiavone e Giuseppe D'Anna, di professione mago. I carabinieri li fermano all'uscita dell' azienda con 140 mila euro in assegni e tremila in contanti, la somma pattuita dopo quasi un'ora di discussione, tutta registrata. Luigi Schiavone ha nelle tasche anche altri assegni, che forse porteranno ad altre vittime. Gente che ancora tace. "Devo tutto al colonnello Carmelo Burgo, ai carabinieri di Caserta, fantastici, al maresciallo Francesco Corrado e la sua squadra. Magari mi fossi rivolto prima". Ma le banche hanno memoria lunga. Sono andate avanti. C' è una fideiussione contestata. "Ha una firma falsa", denuncia Battaglia nell’intervista apparsa su "Repubblica" a fine settembre. Non sfugge al nuovo procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Corrado Lembo. Un magistrato che arriva dalla Superprocura antimafia. Silenzioso, deciso, concreto: ha restituito efficienza e serenità ad un ufficio molto concitato. Lembo invita Battaglia in Procura, scopre che era stata già presentata una denuncia per quella firma falsa, associa i fascicoli. E l’inchiesta prende slancio. Il procuratore aggiunto Palo Albano e il pm Antonio Ricci ottengono la prima conferma da una perizia lampo: la firma non è di Battaglia. Scoprono che il direttore dell’agenzia, anni fa, aveva fatto cambiare anche titoli attraverso l’imprenditore Cipriano Chianese, insospettabile all’epoca, ma finito in cronaca nera, coinvolto nel traffico di rifiuti tossici sotterrati nei campi di Giugliano. "Il giudice dice che non sono stato corretto, che non è arrivata in tempo la notizia degli arresti, e che va all' asta tutto quello che ho. Azienda, casa, tutto", protesta Battaglia. I carabinieri intanto vanno a cercare il fascicolo della fidejussione da 450 milioni di lire, diventato 400mila euro in pochi anni, ma non trovano le copie originali. Il giudice aveva fissato per il 16 ottobre l’esecuzione, "basandosi su una perizia fatta attraverso Google che non tiene conto di tutti i modernissimi e costosi apparecchi della mia azienda, ovviamente sottovalutata", precisa l’imprenditore che torna il 14 ottobre con una istanza. Ma il giudice Felice Pizzi non c’è, è malato. Sembra la fine. Battaglia sbianca. Il suo avvocato insiste con una istanza urgente che finisce sul tavolo di un altro giudice. Giuliano Tartaglione. Al termine delle sue udienze, concede una pausa. Fissa una udienza per il 20 novembre. Battaglia si commuove, trema, rivede la sua agenzia e la sua azienda, può ancora salvarle. La Procura intanto indaga. "Nel fascicolo ci sono solo fotocopie. Una montagna di carte, carte molto dubbie, poteva strapparmi quello che la mia famiglia in un secolo ha realizzato". Non è finita, Confindustria con Cristiana Coppola ha promesso che gli sarà accanto. Ha scritto a Maroni. Un deputato, Domenico Zinzi, ha inviato una interrogazione perlamentare ai ministri dell’Interno e della Giustizia, notizia che ha subito diffuso l’ipotesi di una ispezione nel tribunale dal tetto obliquo, dove le aule sono ricavate nelle mansarde e vi passano ogni giorno i drammi dei disperati di Caserta.