di Marina SalvadoreOgni tanto, sul sentiero del quotidiano, incontro Cassandra ed ho la sana abitudine di ascoltarla,
senza scappar via come farebbe qualsiasi napoletano superstizioso. L’altro giorno, attraverso un’agenzia, venivo a sapere che Bruno Contrada, il 29 ottobre, accompagnato come un cittadino qualsiasi dai suoi avvocati, usciva per la prima volta senza scorta dalla sua casa di Palermo per andare a colloquio con il giudice di sorveglianza Nicola Mazzamuto che l’aveva convocato. C’era la bella Cassandra con me ed abbiamo commentato insieme l’insolita notizia. Veramente, in segno di rispetto, ho lasciato a lei l’onere delle considerazioni che, puntuali e sintetiche, sono state da lei elaborate e sfornate. Mi diverto in compagnia di Cassandra, non lo nego: è capace di irrorare di fosforo la mia rinsecchita materia cerebrale e rimette in moto, d’incanto la mia pigra ghiandola pineale, pur se con enorme sofferenza per la vorace tiroide che vorrebbe avere la meglio sugli ormoni, sparando sui neuroni, per ridurmi una bestiolina da pollaio… Cassandra mi faceva notare un’esagerazione incomprensibile, una vera esplosione di bontà e compassione delle “autorità” preposte, tutt’assieme, in capo al vecchio leone Bruno Contrada, fino all’altr’ieri stipato nel Gulag della Giustizia, incatenato al ceppo, imbavagliato e stordito da continue vessazioni. Conoscendo il soggetto, è anche impensabile sostenere che solo dopo 16 anni abbia finalmente deciso di parlare, di vuotare il sacco, di difendersi… ed ancor più si fa strada – in ottima malafede – il truce quesito: perché ORA tutti sembrano ben disposti ad ascoltarlo, a liberarlo dai lacciuoli, quando le cose che oggi sembrano dichiarazioni spontanee, riempiono da 16 anni faldoni, appelli, difese, istanze e denunce – quintali di carte scritte a mano o con l’ausilio della Olivetti – religiosamente prodotte e maniacalmente archiviate dal nostro “abate Faria”, in questi lunghi anni? Cassandra, una sua precisa idea ce l’aveva, a riguardo: nessuno riesce ad infessirla, a prendersene gioco, poco avvezza com’è alla celia e avendo avuto vita dura e solitaria, provata dagli inganni dell’uomo. Ella mi ricordava, durante l’avvincente discussione, il pugno di ferro - una vera e propria odissea - della togata Daniela Della Pietra, che si commuoveva solo per la debilitazione dei giovani carcerati camorristi di S.Maria Capua Vetere, rispedendoli cristianamente a rigenerarsi ai confortevoli “domiciliari” mentre quel povero vecchio acciaccato e consunto non era in grado di suscitarle un battito di ciglia, una minzione di lacrima di coccodrillo. Niente! Una statua di marmo. A quel punto ricordavo alla mia interlocutrice d’aver già “cassandramente” eccepito che il trasferimento-lampo dagli pseudodomiciliari al Varcaturo ai domiciliari palermitani, erano probabilmente serviti a non infierire troppo sulla magistrata “di pietra” ora ch’era nei guai per l’eccessiva clemenza malamente indirizzata e punita con un trasferimento d’ufficio chissà dove… E’ stato a quel punto
che qualcosa si è smosso. Il temutissimo prefetto, considerato ancora socialmente pericoloso dal tribunale di sorveglianza di Napoli, a due giorni dall’intervento chirurgico di polipectomia al colon, era inspiegabilmente sollevato dal letto di convalescenza e reintegrato nell’urbanità palermitana, nonostante la pericolosità in vigore, mai cassata dalle tante disposizioni post-udienza della sorveglianza partenopea. Come un pacco postale, l’abate Faria, era rispedito al mittente, presso la velenosa procura di Palermo, ora tutto un brodo di giuggiole! Cassandra, senza parole, con i suoi occhi scuri e profondi, ardenti di tizzoni di brace, mi invitava alle più logiche conclusioni, a profetare… ed io – non so se per suggestione o per spirito di emulazione – sentivo brividi di freddo al solo formulare con il fiato sulle labbra quelle strane, terribili congetture che il libero pensiero e l’animo incorrotto mi avevano sollecitato, come conclusione amara di un romanzo di fantapolitica. A pensar male ci si azzecca sempre, nella maggioranza dei casi. Ebbene, anche la povera Cassandra aveva provato il medesimo brivido di paura, di dispiacere, di dolore per quell’eroe incompreso, oltraggiato, lasciato ora a pascolare, libero come un falco dalle ali spezzate, come un bersaglio mobile in una landa deserta e sconfinata, senza manette, senza catene, senza bavaglio… ma senza neppure un cespuglio dove mimetizzarsi… almeno fino all’imminente decisione per il probabile differimento della pena che – stante le incredibili beneficenze dell’ultim’ora palermitana – vedrebbe la logica consecutio nella revisione del processo; quella ultima e legittima tappa… l’ultima pagina dell’odissea di Ulisse-Contrada… che autorevoli ed occulti burattinai non consentiranno MAI! Cassandra o portasfighe per chi non le da credito, eppure cantata da Licofrone - il medesimo che cantò le sirene Partenope, Leucosia e Ligeia – colui che amava le donne, ne subiva l’incantato fascino, specialmente se donne d’intelletto superiore a quello dei soliti eroi guerrieri e rapaci, preferiti dal misogino Omero. Cassandra senza palla di cristallo, desiderata da Apollo ed al dio negatasi, continua a profetare dall’Ade e più spesso di quanto si creda il suo spirito aleggia intorno alle donne di buona volontà, discendenti dall’antica dea Atena, regina dell’intelligenza e del buonsenso. Cassandra quindi ancora si esprime e mette in guardia da pericoli, pur se per l’eternità, chiunque scettico la incontri sul suo cammino… si “gratterà” gli zebedei! Come si dice? Uomo avvisato mezzo salvato!Umanamente ed umilmente confidando che Cassandra abbia dato fondo ai suoi poteri, un saluto ruspante agli ascari, ai delatori ed ai burattinai, con il motto della casa: "Cà nisciuno è fesso!". immagine:"Ajax and Cassandra" by Solomon Joseph Solomon, 1886