La voce di Megaride

Quelli che lottano per la libertà...quelli che vivono di coraggio


di Gianluca AbbateDead men Walking, mai espressione fu più appropriata per definire quelle donne e quegli uomini
che con passione, con coraggio, con tenacia e competenza lottano, combattono per la loro libertà, per la mia libertà, per la nostra libertà senza clamore sfidando il destino in ogni momento, un destino che sa e che può essere molto pericoloso. Di questi uomini e queste donne nessuno parla, il lavoro indefesso resta nell’oblio mediatico, le inchieste portate avanti senza paura, i colpi assestati con granitica determinazione alla malavita organizzata contano a poco; questi giornalisti, colpevoli forse d’amare troppo la loro professione, a quanto pare “non meritano” vetrine televisive, né ovazioni in manifestazioni roboanti e forse demagogiche, ”non meritano” bagni di folla come le rockstar. Di questi professionisti (professionisti reali che non millantano meriti) si inizia a parlare, in genere, con ipocrita e odioso rammarico, quando smettono di lavorare, non per loro volontà ma magari perché hanno rimediato una pallottola in testa. Diventando un numero, un nome che qualcuno un giorno leggerà dal palco di quei convegni retorici; magari se fortunati riusciranno ad ottenere anche un premio in loro onore e qualcuno ne tesserà le lodi, ricordandone l’eroico coraggio. Questo è il rischio e loro lo sanno bene; ciò nonostante non si arrendono, continuano a scrivere, a scoprire verità, a fare inchieste scontrandosi spesso con l’ira dei boss. Sono forse eroi? Direi di sì, eroi per caso, innamorati del proprio lavoro e che per questo non si lasciano intimorire sapendo vivere di dignità e coraggio...dignità e coraggio di cui si ha bisogno come il pane. I piccoli grandi “Saviano” che nessuno fila hanno la colpa (o forse l’irresponsabile follia) di voler cambiare la nostra terra vessata da continue angherie, terra che odora di sangue, sangue scorso a fiumi negli anni, terra di gente che ha imparato a tacere, a stare in silenzio, a girare la testa dall’altra parte dinanzi agli  abusi e alle violenze, gente che ha fatto dell’omertà un obbligato modus agendi, gente che ha imparato a sopravvivere, ma non a vivere; i piccoli grandi “Saviano” sono quelli che raccontano l’inferno stando sul posto e non certo da set cinematografici hollywoodiani né da salotti radichal chic che odorano d’ovvietà e d’ipocrisia. Gian Marco Chiocci alcuni giorni fa, giustamente, ha dato luce su “Il Giornale” a tutti gli altri “Saviano” che non vanno in TV, a  tutti questi“kamikaze anticamorra” (per dirla con le parole della nerista Tina Palomba) di cui spesso, per nostro demerito o anche per la cecità dei media, non conosciamo l’esistenza. Rosaria Capacchione è una di questi. Rosaria  Capacchione nei panni del personaggio proprio non è mai voluta entrare, sebbene con i suoi articoli veementi sul Mattino di Napoli abbia fatto la “storia” della cronaca giudiziaria napoletana e casertana, tanto da essere costretta ad una vita “blindata”, senza clamori e senza essere mitizzata da una parte o dall’altra. E che dire di Enzo Palmesano? Se una delle ultime maxi- retate contro la malavita organizzata in Campania è andata in porto, è in gran parte merito suo, come è stato riconosciuto pubblicamente dalle autorità giudiziarie. E la reazione della Camorra non si è fatta attendere contro questo “cronista” che, a differenza di atri, non ama la ribalta, ma ama il suo lavoro, e basta. E  Arnaldo Capezzuto? oggi redattore a E polis, ieri al foglio Napoli Più, che ha battuto per anni i quartieri più degradati di Napoli portando alla luce verità nascoste, contribuendo fattivamente all’arresto e alla condanna di pericolosi malavitosi, colpevoli dei reati più efferati come l’uccisione per sbaglio della piccola Annalisa Durante. “Non sono un eroe, non ho bisogno di visibilità, non cerco soldi facili. Sono un giornalista che vive e lavora in un contesto molto delicato. Ed è proprio per continuare a denunciare la camorra in questo modo che ho rinunciato alla scorta”… queste le sue parole che probabilmente non necessitano di ulteriori commenti e che sono il termometro del suo coraggio, di quel coraggio che connota il suo lavoro, al quale dovremmo essere tutti grati. Peccato che nessuno dica nulla, nessuno scriva nulla… Silenzio ancora silenzio, omertoso e spesso complice. E non si può dimenticare Carlo Pascarella di  Buongiorno Caserta, già cronista al Giornale di Napoli, considerato dai carabinieri il vero incubo mediatico della malavita organizzata in Campania; Pascarella è scortato notte e giorno, un’esistenza da incubo, la sua. Ma non ha  alcuna intenzione di abbandonare la propria terra. «Voglio che mia figlia Francesca cresca in un mondo migliore, anche per questo io e tanti colleghi, in silenzio, ogni giorno, restiamo e resistiamo in questo far west riportando ciò che più disturba i boss. Molti colpi sono stati portati ai clan, e un po’ è anche merito nostro. Non ci fanno paura, ora sono loro a temerci». Carlo Pascarella è uno di quelli che combattono in prima linea, per lui…per noi…in silenzio, senza clamori, né privilegi e prebende varie, senza essere acclamato, senza essere etichettato come “eroe”, pur essendolo nei fatti. Eroi inconsapevoli o forse sarebbe giusto dire “eroi umili” sono anche Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola che guidano insieme La Voce delle voci, il mensile d’inchiesta con il più elevato numero di intimidazioni. Scrivono senza timori…e senza sterili clamori. E ancora Gigi Di Fiore, inviato del Mattino, padre di grandi inchieste, inchieste reali e non da sala cinematografica o Roberto Paolo del Roma che ha rischiato di essere gambizzato direttamente in redazione per le verità scoperte, scottanti ma tristemente vere. Questi sono alcuni…alcuni di  quei pochi che vivono di legalità e di battaglie strenue e coraggiose alla malavita organizzata, battaglie combattute in solitudine senza il sostegno dei media, della politica, dell’intellighenzia dei salotti culturalmente impegnati. Mi chiedo e molti con me si chiedono se queste donne e questi uomini meritino le invettive che dal salotto di Fazio, Roberto Saviano ha, inspiegabilmente, lanciato verso i giornali e i giornalisti locali. La risposta amara non può essere che No. Non voglio entrare nel partito dei “pro” o “contro” Saviano…non mi va affatto…ma non trovo sia corretto né demonizzare la figura del giovane scrittore né soprattutto impelagarsi in questa tendenza così di moda, a mio avviso inopportuna, di mitizzare, di divinizzare l’autore di Gomorra. In tal modo non si rende onore al lavoro di molti altri, a quel lavoro che non può essere passato sotto silenzio con l’intento, non sempre in buona fede, di  sminuire le inchieste coraggiose, pagate con il sangue di tanti uomini e donne che, obiettivamente, hanno fatto quanto Saviano se non di più e che non meritano l’'irriconoscenza del nuovo “professionista antimafia", né soprattutto  l'irriconoscenza nostra, di noi gente comune che ha tratto solo benefici dalle battaglie portate avanti silenziosamente da questi cronisti, cronisti in cerca di libertà e di giustizia, pronti a difendere con la propria vita quei valori fin troppo strumentalizzati e mortificati. Sarebbe giusto veicolare, specialmente tra i giovani, il messaggio secondo cui l’omertà e l’indifferenza sono di molti ma, fortunatamente, non di tutti; sarebbe doveroso ricordare che gli uomini e le donne che lottano per le proprie idee, siano idee condivisibili o meno, non sono così pochi e ogni giorno combattono delle battaglie, le loro battaglie, le nostre battaglie, battaglie in nome dei più deboli, di quelli che non hanno voce, che non hanno potere; tutto ciò contribuisce, tassello dopo tassello, a ricostruire quel grande mosaico che è la libertà che in tanti vilmente hanno cercato di distruggere. Potremmo citarne tanti, alcuni non più presenti, altri invece che continuano nel loro percorso senza alcuna esposizione mediatica, senza sponsor né potenti sostenitori. Penso a Marina Salvadore, che ho avuto l’onore di conoscere; Marina Salvadore con grinta e determinazione, finendo più volte per essere pregiudicata, ha fatto del coraggio una ragion di vita, portando avanti battaglie in cui credeva e crede fortemente senza paura, senza abbassare la testa dinanzi ai soprusi e soprattutto senza quella smania che invece caratterizza molti di saltare sul carro del vincitore. Senza alcun timore nello sposare le cause degli ultimi, avendo un solo fine “la giustizia giusta”. E poi penso anche a Sandra Amurri: le sue inchieste, le sue interviste esclusive tra cui a Yasser Arafat, Madre Teresa di Calcutta, Suor Nirmala, a Giuseppe Dossetti sono l’emblema del suo lavoro e del suo coraggio…di quel lavoro portato avanti senza condizionamenti di sorta e spesso contro corrente, portato avanti con quell’indipendenza propria di chi è senza padroni e che risponde solo alle proprie idee. In un paese civile, a tutto tondo, queste voci, per quanto tra loro contrastanti, dovrebbero trovare spazio perché solo così si può innestare nei giovani il seme della libertà ed annullare quella strisciante rassegnazione che è il cancro della nostra società. Ieri dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno il maestro Claudio Abbado ha dichiarato di aver dedicato il suo concerto al teatro San Carlo di Napoli a Roberto Saviano perché…”da vero eroe, con le pagine del suo Gomorra, finalmente per primo, ha dimostrato il coraggio della verità”. In tutta onestà, credo che il grande maestro avrebbe fatto bene a documentarsi meglio e a dedicare il suo concerto ai caduti nella battaglia contro le ingiustizie e non solo a Saviano, ma anche a tutti quei giornalisti… (alcuni da me menzionati) che hanno meriti pari a quelli di Saviano, ma di cui nessuno parla, che nessuno ha riempito di fama e denaro. C’è, ad oggi, chi avverte il rischio di un’espansione ipertrofica dell’icona Saviano a discapito della verità: non so se sia così, non ho gli strumenti né la presunzione per affermare apoditticamente un tale concetto.So però che la vera dote degli eroi è l’umiltà e il coraggio. E poco altro.