Lavorare stanca

UNA EXIT STRATEGY ANCHE PER IL MERCATO DEL LAVORO


da: la voce.itdi Francesco Daveri 04.12.2009La crisi ha prodotto pochi effetti negativi sul mercato del lavoro fino a questo momento, grazie soprattutto alla cassa integrazione. Ma con il passare del tempo emergono i costi di una strategia che difende solo i posti esistenti. E in Europa come in Italia, penalizza chi è al margine del mercato, in primo luogo i giovani. A confermarlo sono gli ultimi dati sulla disoccupazione. Anche qui ci vuole una exit strategy, non solo sul fronte dei deficit pubblici.L’Istat, eliminando finalmente un’incomprensibile anomalia, ha pubblicato (e continuerà a pubblicare in futuro) i dati relativi all’occupazione, alla disoccupazione e alla partecipazione al mercato del lavoro con frequenza mensile. Come faceva da tempo il resto dell’Europa. Prima, i dati sulla disoccupazione uscivano ogni tre mesi con un ritardo di circa due mesi e mezzo rispetto alla scadenza del trimestre. Ora invece saremo informati più puntualmente. È un’ottima notizia: d’ora in avanti sarà possibile capire con più precisione come va l’economia italiana sul fronte che più preoccupa le famiglie in questo periodo di difficoltà. CRISI E DISOCCUPAZIONE Dei vari dati pubblicati, due hanno calamitato l’attenzione più degli altri. Prima di tutto si è osservato che i disoccupati in Italia sono arrivati a due milioni, il più alto numero dal gennaio 2004 a oggi. Il governo ha però ribattuto “Siamo comunque meglio della media europea: i disoccupati in Italia sono l’8 per cento delle forze di lavoro, contro circa il 10 per cento della media euro”. Tutti e due i dati sono veri, ma non aiutano molto a rispondere alle due domande cui sarebbe opportuno dare risposte: in che misura la crisi si sia scaricata sul mercato del lavoro e, soprattutto, chi abbia pagato e stia pagando il conto.La tabella 1 fornisce gli elementi per rispondere alla prima domanda, cioè in che misura la crisi si sia scaricata sul mercato del lavoro. La riposta in breve sembra essere: “per ora poco”. Dalla tabella si vede infatti che la disoccupazione in Italia è salita di un punto percentuale (dal 7 all’8 per cento) nei dodici mesi compresi tra l’ottobre 2008 e l’ottobre 2009. Questo a fronte di una riduzione del Pil italiano tra l’inizio della crisi e il secondo trimestre 2009 del 6,5 per cento  Quello relativo all’aumento del tasso di disoccupazione è un dato migliore rispetto alla media europea: sia che la si misuri come area euro che come Unione Europea a 27, in Europa la disoccupazione è salita del doppio che in Italia, cioè di due punti percentuali, dall’8 al 10 per cento. Negli Stati Uniti è salita di 3,5 punti percentuali, dal 6,5 al 10 per cento. In poche parole, in Europa i mercati del lavoro italiano e tedesco – i paesi dove si è fatto un uso più intenso di ammortizzatori sociali che hanno di fatto legato strettamente i lavoratori al loro posto di lavoro (la Cig in Italia) - sono andati decisamente meglio degli altri nella crisi, almeno fino a questo momento. L'estremo opposto è il caso spagnolo dove la disoccupazione è salita di ben sei punti percentuali, dal 13 al 19 per cento. Con la Francia in mezzo, con un +2 del tutto uguale a quello della media europea.Malgrado l’ampio ricorso alla cassa integrazione guadagni, i dati del mercato del lavoro sono sorprendentemente positivi per chi si ricorda di come è andato il Pil italiano durante la recessione, cioè molto male. L’ultima colonna della tabella mostra infatti che l’effetto della crisi sui redditi complessivi (misurato da ciò che succede al Pil) è stato più forte in Italia (-6,5 per cento) e in Germania (-6,5 per cento) che nel resto dell’Europa, dove il Pil è sceso “solo” del 5 per cento circa (e del 3 per cento in Francia).“Di regola”, il mercato del lavoro reagisce con un ritardo di circa sei mesi e con una proporzione di circa un mezzo a ciò che succede al Pil. Nel caso dell’Italia e della Germania la correlazione non si vede grazie agli ammortizzatori sociali. Ma non si può escludere un colpo di coda della crisi, e che i lavoratori in Cig finiscano per entrare nelle liste di mobilità. Dopo tutto, anche se ora la recessione è finita, nell’aprile 2008 la produzione industriale era 109 e oggi non arriva a 90: mancano 19 punti di produzione che certamente corrispondono a un certo numero di lavoratori in eccesso. PAGANO I GIOVANI Tra i dati Eurostat però uno è più importante degli altri (vedi tabella 2).Il prezzo della crisi sul mercato del lavoro lo stanno pagando soprattutto i giovani, in modo pressoché uniforme in tutta Europa. Il tasso di disoccupazione giovanile, pari al 16 per cento nell’ottobre 2008, è arrivato quasi al 20,5 per cento nell’area euro, con una variazione di circa 4,5 punti percentuali. Se guardiamo agli stessi dati per l’Italia, vediamo numeri molto simili: la disoccupazione giovanile è aumentata proprio di 4,5 punti anche nel nostro paese. Se però incrociamo i dati della tabella 1 con quelli della tabella 2, viene fuori che mentre in aggregato il mercato del lavoro italiano fa molto meglio dell’Europa, non altrettanto riesce a fare con i giovani, dove peraltro già la situazione di partenza era sfavorevole.Crisi e disoccupazione giovanileL’analisi dei dati relativi alla disoccupazione giovanile fa emergere il punto debole della strategia di difesa dei posti di lavoro seguita fino a questo momento ed evidenzia la necessità di trovare una exit strategy, una “fase 2”. Se si difendono i posti di lavoro di quelli che il lavoro ce l’hanno già da anni, si ingessa il mercato del lavoro e a lungo andare si finisce per penalizzare le possibilità di ingresso e re-ingresso di quelli che avevano un lavoro precario prima della crisi e ora sono stati i primi a perderlo, e che proprio per questo non hanno trovato niente di meglio da fare che aprire una partita Iva. Offrire una prospettiva a queste categorie di lavoratori è il compito numero uno della politica economica per il 2010. In Europa, ma anche e soprattutto in Italia.