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I governi respingono la proposta del Parlamento europeo sul congedo maternità di 20 settimane al 100% della paga

Post n°4099 pubblicato il 08 Dicembre 2010 da cile54
Foto di cile54

La maternità non è una malattia. Parliamone

 

Avere un figlio, nelle conversazioni quotidiane, è sempre meno un evento naturale quanto invece, spesso, la risultante di riflessioni e programmazioni di non poco conto. La collocazione del neonato subito dopo la disponibilità di tempo concessa per legge ai genitori, all'asilo nido o dai nonni o dalle baby sitter è fonte di preoccupazione e riflessione. 

 

Per adesso, tuttavia, partiamo dal momento del rientro al lavoro della neo-mamma. Non è infrequente, specie nei primi giorni di lavoro, il rinnovarsi di una vaga depressione, di un senso di "fuori posto", di un combattimento interiore tra il sollievo di essere rientrate nella produttività e l'ansia per il benessere del bambino (bambina) lasciati (alle nonne, al nido, a qualcuno che comunque abbiamo scelto).

La rete di donne che ci circonda è qualche volta consapevole del momento difficile, ma non sempre c'è il tempo per verbalizzare. Ecco, questo potrebbe essere il tempo.

 

A chi scrive pare di ravvisare in giro una doppia cultura: - Una sociale, esplicita, dichiarata, che ci dice che va tutto bene, che lavorare è necessario, che il nido è un buon posto, che il tempo per i figli è questione di qualità e non di quantità.. ed un'altra, una cultura sotterranea, poco verbalizzata, quasi " pettegola " che invece ci richiama al DOVERE di essere sempre col bambino, che ci fa sentire in colpa quando, magari con gioia, ci riprendiamo il nostro lavoro, che ci ricorda che siamo fatte per essere madri. (solo ?). Ciascuna di noi, poi, propende per carattere, cultura e tradizione per uno dei due punti di vista. Eppure conciliare e mediare queste due culture è probabilmente una via per la serenità. 

 

Avere avuto un bambino non è una colpa. Essere mamme non fa di noi delle lavoratrici meno efficienti. Avere nostalgia del pupo e telefonare a casa qualche volta di più può essere un buon mezzo per tranquillizzarci. Poter contare su un papà presente e partecipe è una risorsa in più (non per tutte..) Tornare a casa di corsa per riabbracciare nostro figlio /a è normale, è bello, è non fa di noi delle persone deboli.

Abbiamo scelto di (o dovuto) tornare al lavoro ed allora tanto vale farlo con la consapevolezza del nostro valore, della nostra utilità e del fatto che proprio mentre stiamo lavorando stiamo anche amando i nostri figli, garantendo loro non solo la sopravvivenza, ma anche un ambiente che ci vede partecipi, in quanto cittadine, lavoratrici, donne e mamme.  

 

Come in molte altre situazioni il confronto con le altre donne può essere di grande utilità, perché porgendo orecchio alla cultura a noi più lontana possiamo integrare il nostro pensiero e arricchire i nostri sentimenti, per il lavoro o per il figlio.

Certamente molte difficoltà possono nascere dall'ambiente di lavoro, che può essere più o meno consapevole della maternità come risorsa sociale.

Se l'ambiente di lavoro è consapevole e sereno, potremmo anche ipotizzare che proprio in questa fase di dubbio sulla nostra realizzazione ed utilità professionale sarebbe opportuno darci qualche responsabilità e non trattarci come lavoratrici parzialmente invalide.. Se l'ambiente di lavoro invece è ostile.. ragazze, resistiamo. Prima o poi qualche altra "risorsa umana" , magari tra quelle meno consapevoli oggi, sceglierà la "riproduzione" e toccherà con mano la stupidità personale che ha riservato a noi.

 

Resistiamo, e guardiamoci intorno. Non siamo sole. Abbiamo dei diritti, fin dove possibile facciamoli valere, ed intanto siamo fiere di noi, perché se c'è un futuro è perché ci sono dei bambini.. e facciamo presente, quando possibile, che i bambini che nascono in Italia sono sempre tropo pochi. E che ci aspetteremmo un premio, visto che la pensione di chi adesso ci è ostile, sarà pagata anche dai nostri figli.  La maternità è una delle tante fasi della vita. L'impegno di avere (nel cuore e a casa) un figlio resta, ma col tempo tutto rientra nei ranghi della normalità.

Certo che se ci fosse una ripartizione delle assenze dal lavoro (magari imposta per legge come In Norvegia) tra uomini e donne il peso delle genitorialità sarebbe inesistente.. ma qui si chiacchiera del più e del meno, per le favole… si aspetta l'ora della nanna.

 

Rosanna Bassani

su "Lavoro e Salute" di dicembre

 
 
 
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Roma, 12 maggio 1977

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