RACCONTI & OPINIONI

Le dinamiche del comico-politico sono inquietanti, che andiamo denunciando da anni, produce meccanismi oscuri


L’odio di Grillo Parleremo qui di un tizio sovrappeso, che parla con forte accento genovese. Il personaggio è stato creato qualche anno fa da Antonio Ricci. Faceva il comico ma ora è diventato il guru della denuncia mediatica. E’ il Gabibbo? No, si tratta di Beppe Grillo, protagonista dell’ennesimo messaggio xenofobo. Qualche anno fa se l’era presa coi rumeni. Adesso ce l’ha coi migranti che arrivano dal Mediterraneo. La cosa preoccupante è che i supporter del comico sembrano aver imparato la lezione. E sputano odio e veleno contro «extracomunitari» e «invasori». Ci è capitato, qualche giorno fa, di imbatterci in un gazebo di grillini di una città di provincia del meridione. Lì dove la Casta impera, i beni comuni vengono saccheggiati, la società civile fatica ad aggregarsi e a costruire anticorpi alla cattiva amministrazione, i seguaci del comico genovese non hanno avuto altra idea che quella di riprodurre il format [dal successo indiscusso] del loro guru. Hanno piazzato una televisione su un tavolino per comunicare coi passanti distratti. Come nelle peggiori distopie, l’opposizione a Sua Emittenza viene condotta attraverso un meccanismo uguale e contrario, tutto mediatico. Questa dinamica inquietante, che andiamo denunciando da anni, produce meccanismi oscuri. Lo schema delle denunce di Grillo è sempre lo stesso: c’è un complotto o un imbroglio in atto, io vi svelo l’arcano [quindi vi apro gli occhi, quindi sono il vostro condottiero] e vi illudo di essere parte di una minoranza illuminata che conosce la verità. In un’interessante intervista di Giulio Bosetti sull’ultimo Reset, il sociologo del web Manuel Castells analizza gli effetti della reti, dei social network e di quelle che definisce «le tecnologie orizzontali di ‘auto-comunicazione di massa’». Spiega Castells: «in tutti i casi internet sta agevolando i movimenti popolari e una più libera espressione della società, a prescindere dall’establishment politico. Il punto è che i modi in cui la libertà viene sfruttata non sono garantiti dalla libertà stessa». Significa, tanto per fare un esempio, che il web contribuisce alle rivolte mediterranee e mediorientali, ma costituisce anche l’infrastruttura dei superconservatori statunitensi del Tea-Party. La rete è un campo di battaglia e non una zona liberata e immediatamente «buona». Essere fan di un santone autonominatosi giustiziere, significa aderire a giochi gerarchici e populisti che canalizzano la rabbia di molta gente dentro un circo tutto interno alle logiche del consumo dei segni e delle parole. È una dinamica, questa, pericolosa tanto più perché si nutre delle idee e delle speranze di migliaia di persone. Quello che fa la Lega con il piccolo imprenditore del Nord fa Grillo col precariato cognitivo: con campagne ambigue, a volte condivisibili, a volte odiose ma sempre inserite dentro un frame verticistico e incapace di produrre pensiero innovativo, il comico genovese cattura il consenso delle generazioni della rete per riportarle dentro un recinto sostanzialmente individualista e, a ben vedere, aconflittuale. Perché diventare seguaci del guru non significa creare, incontrarsi, confliggere, amarsi. Al contrario. 1/04/2011www.carta.org