RACCONTI & OPINIONI

All'Ambient festival di Brescia successo per il lungometraggio di Piercarlo Paderno


Cavie-attori per il film contro la vivisezione  Una storia per spingersi oltre il limite che separa legalità e giustizia; un sentimento di empatia per l'animale che scompagina tutte le possibili prese di posizione razionali; un nome che rappresenta l'identità di una giovane in carne ed ossa ma che allo stesso tempo porta nascosto dentro di sé la necessità e la concretezza di un risveglio. Questa può essere la traccia alla scoperta di "Aurora - Il sogno della liberazione", lungometraggio del regista bresciano Piercarlo Paderno, presentato per la prima volta a Brescia il tre aprile, nell'ambito della rassegna di cinematografia ecologista Ambient Film Festival. Un debutto in sala che ha segnato il tutto esaurito e ricevuto un imprevisto successo di pubblico che illumina, per una delle prime volte (che i tempi siano maturi?), il tema più segretamente caro a migliaia di attivisti che hanno a che fare con la presa di coscienza animalista, l'azione diretta. Il racconto è quello di una ragazza che, quasi per caso, si trova coinvolta nelle vicende di un gruppo di liberatori che, in barba a ciò che nello status quo appare giusto, perché appunto legale, offrono il proprio sacrificio, necessario, per creare una falla nel muro dell'indifferenza quotidiana. Senza alcun tornaconto personale e avendo anzi, per se stessi, ben più da perdere che da guadagnare, mettono in gioco vita e libertà per trarre in salvo quanti più animali possibile dalle gabbie della vivisezione. Il film parla di loro, di strategie, di coraggio e di paura, e poi degli animali liberati, dei primi passi all'aperto, dell'ebbrezza del gioco, della scoperta dell'amore e della vita naturale. Al sentimento puro, empatia al posto della ragione, che porta i liberatori all'azione illegale e gli animali alla loro vita vera, fa da contraltare il rigore dell'azione repressiva che è invece funzionale alla conservazione dell'ordine costituito, l'attività investigativa, le retate della polizia, il nome di reati che l'istituzione attribuisce agli atti di liberazione di esseri viventi incastrati nelle maglie del dominio umano: terrorismo, violazione di proprietà privata, danneggiamento e furto. Della società conformista il film mostra l'abitudine a prendere per buona una gerarchia folle tra gli animali umani e non umani, la prevalenza immorale del diritto alla proprietà su quello alla vita e perciò l'incapacità di comprendere gli slanci sinceri di solidarietà dei liberatori nei confronti di altri esseri viventi; slanci che, al contrario, vengono interpretati come violazioni, da reprimere, delle norme. Anche nella scelta stilistica, il regista sceglie di muoversi in direzione opposta: le immagini lasciano infatti ampio spazio all'indeterminatezza, con una vena onirica che percorre il film e tiene aperto il campo a tutte le interpretazioni possibili e, sopratutto, ai sentimenti del pubblico: «Non si tratta di un film sull'Animal Liberation Front - precisa infatti Paderno - né tantomeno si vuole rappresentarne le posizione ufficiale o il modo di agire. Quello che ho portato sulla scena non è altro che il sogno di una dimensione cui sono molto affezionato, ma senza la pretesa di documentare la realtà». Non un documentario dunque, e nemmeno una fiction di attivisti destinata solo ad altri attivisti, in una sorta di autocompiacimento: «Il nostro obiettivo - continua il regista - è invece raggiungere il grande pubblico. E' per questo che ci siamo sforzati di non usare un linguaggio militante, di concentrarci sul punto di vista della polizia e degli investigatori, sul come le azioni di liberazione animale appaiano all'esterno, e ci siamo ben guardati dall'inserire immagini cruente di sperimentazione che potessero prevalere sulla sensazione complessiva del film, dato che partiamo dal presupposto che la condizione degli animali vivisezionati e schiavizzati dall'industria farmaceutica sia conoscibile da chiunque non voglia voltare lo sguardo dall'altra parte. Il film è invece il racconto della reazione a quella violenza sulle vite innocenti, che indigna e porta a scelte estreme». Una buona dose di realismo comunque c'è, e a pensarci mette la pelle d'oca. Tutti gli "attori" animali che si vedono sulla scena, cani beagle e ratti prevalentemente, sono stati infatti in passato effettivamente reclusi nelle gabbie dei laboratori. Alle vittime della sperimentazione è dedicato il film e tutti i proventi, che saranno devoluti all'associazione Vita da cani, che ha dato vita al primo parco-canile italiano ad Arese, in provincia di Milano, dove le ex cavie (non solo cani, ma anche gatti e roditori) intraprendono un cammino di riabilitazione che è sperimentale e intensamente condiviso dagli attivisti che a loro stanno dedicando grande impegno. Lo stesso film è considerato dalla produzione un passo avanti nella campagna che sta tentando di tirar fuori dall'inferno degli stabulari più animali possibile. E se è vero, come qualcuno ha osservato, che lo sviluppo della società occidentale affonda le sue radici nell'"impensato" di uno spietato sfruttamento animale, anche un film come "Aurora", nel far rivivere negli spettatori l'immediatezza della naturale empatia tra viventi, potrebbe avere effetti oltre il prevedibile. La prossima proiezione del film sarà l'11 maggio a Grosseto, presso il cinema Stella, in via Mameli 26. Per info www.auroramovie.com Leonora Pigliucci10/04/2011www.liberazione.it