RACCONTI & OPINIONI

l'inutile vendetta per l'11 settembre tenta di seppellire per sempre i crimini degli USa nell'inventata guerra all'Irak


Era già spacciato dopo le rivoluzioni arabe  «Arrivederci Osama», col punto esclamativo, è la frase che rimbalza in queste ore fra i tanti giovani arabi anglofoni che, diffusa la notizia della morte dello sceicco, sperano adesso di vedersi affrancare dopo un decennio di ostracismo. Una frase seguita da un’altra, ugualmente significativa: «Vuol dire che adesso ci lasceranno in pace, a noi arabi?». Può darsi che con la morte di Bin Laden e la dichiarata fine di Al Qaeda si chiuda anche l’epoca della caccia alle streghe per gli arabi occidentalizzati. Se così fosse, la morte dell’ormai vecchio leone sarà servita a qualcosa. Perchè, per il resto, per quanto riguarda quella jihad globale di cui volle farsi profeta, Bin Laden era già stato seppellito da tempo. Col milionario saudita cominciò un malinteso durato dieci anni. Quando si cominciò a parlare di guerra santa contro tutto e tutti, Osama e gli altri ci sembravano emergere dalle caverne di un mondo islamico etichettato come medioevale. Non capivamo che le montagne centro-asiatiche nelle quali andavano a imparare il corano e la guerriglia non erano che la fuga da quell’occidente di cui erano il prodotto, e nel quale si sentivano a disagio. Erano gli anni in cui una elite giovane e arrabbiata, respinta dall’occidente ma delusa da un Islam moderato che non proponeva una vera soluzione politica, si ritrovava a Peshawar. L’intera avventura jihadista rimase sostanzialmente questo, una galassia di rabbia, disagio, e fanatismo fai-da-te. Quanto a Osama, finanziava. Ma per l’Occidente al Qaeda – termine che Osama utilizzò soltanto dopo la Cia – è rimasta negli anni come un’organizzazione, una mafia, una cupola da distruggere. Certamente, di distrutto c’è il finanziamento, evaporato con Bin Laden. Ma non è l’unico scacco alla generazione di Peshawar. Lo stesso Atta che le ricostruzioni ufficiali vogliono in contatto con Bin Laden prima dell’11 settembre, si avvicinò al jihadismo una volta trasferitosi in Germania. Ad animarlo era l’orrore per le persecuzioni del regime di Mubarak contro gli islamisti moderati. Quanto avvenuto negli ultimi mesi in Egitto ha dimostrato che c’è una via politica verso la libertà, e che uniti si può rispondere alle armi di un regime con la non violenza. Le rivolte innescate dalla Tunisia hanno assestato un colpo al nichilismo di Bin Laden, e alla generazione di Peshawar sembra succedere adesso la generazione di Tahrir, quella che cerca la dignità del volersi cittadini, invece che dover scegliere fra il fare i sudditi o i guerriglieri. Quel disagio che animava i ragazzi a inseguire il sogno di bin Laden e che spingeva i giovani palestinesi di Gaza a rivoltarsi contro Hamas sembra passato. L’idea frammentaria e confusa in cui Bin Laden ha investito tutti i suoi milioni, in fondo, non va più di moda. Il vecchio leone è finito esattamente dove aveva cominciato, più di venti anni fa: in Pakistan. In fondo, neanche troppa strada.