RACCONTI & OPINIONI

Oltre 5 milioni, in gran parte in regola con i documenti, capaci di mantenere in attivo i bilanci degli enti previdenziali


C’è un altro paese  Un paese nascosto, volti di uomini e donne che dall’Italia hanno preso l’accento, i modi di fare, il duro mestiere di convivere spesso con persone la cui capacità di accoglienza si ferma davanti alla porta di casa. C’è chi è arrivato 30 anni fa e chi ancora si deve asciugare i vestiti da un viaggio a rischio mortale, chi in questo crocevia d’Europa c’è nato e cresciuto e a 18 anni scopre di dover chiedere la cittadinanza, di non poter fare sport agonistici, di non aver diritto al voto, a viaggiare liberamente. Chi si è spaccato il culo in una fabbrica o in un cantiere, chi ha assistito anziani che ormai neanche li conta più, chi si è aperto prima un chiosco poi un negozio, chi si è scoperto una vocazione da scrittore o scrittrice, artista, stilista, artigiano e chi ancora arranca a tirar su 25 euro al giorno con la schiena sotto il sole a raccogliere verdura. Quanti? Oltre 5 milioni, più di una macro regione, in gran parte diligentemente in regola con i documenti, capaci di mantenere in attivo i bilanci degli enti previdenziali senza poi poterne usufruire, con un reddito generalmente inferiore del 25% rispetto ad autoctoni adibiti alle stesse mansioni. Ma quelli sono i visibili, tanti altri sono stati scacciati dal ciclo produttivo e messi ai margini, divenuti irregolari, clandestini per forza da leggi che li rendono merce, loro sono ancora un gradino più in basso. E poi ci sono le donne e gli uomini che ormai hanno fatto il callo al razzismo subdolo, fatto di aggressività e di carità pelosa, di miserabilismo e di incapacità a comprendere l’esistenza stessa di altre identità, coloro che percepiscono a pelle indifferenza e fastidio, quelle e quelli che in una graduatoria per l’assegnazione di un posto all’asilo nido per i figli, piuttosto che in una casa popolare, sanno che l’ottenimento di un risultato si tramuta in rancore fra ultimi e penultimi. La paura nei confronti dello straniero comincia a non essere più il collante ideologico che distorce i conflitti, la crisi la si paga in prima persona e manca quasi il tempo di prendersela con il solito capro espiatorio. Chi impiantava campagne elettorali per mantenere consenso su questo terrore diffuso è rimasto scottato, non impressionano più neanche gli scenari tanto catastrofici quanto falsi, delle invasioni che arrivano dal sud, la paura non paga più, lo hanno capito, e questa è una notizia, anche nel Pd. E forse giunge quasi provvidenziale una campagna presentata oggi, da un arco di forze estremamente ampio e in passato responsabile di eccessiva prudenza nel trattare certi temi facendone terreno di confronto. Si chiama “L’Italia sono anch’io” e al di là dell’inevitabile per certi versi eccessiva attenzione al tricolore, si propone di innestare una battaglia per altri beni comuni negati: la cittadinanza e il diritto di voto. Non sarà un referendum, non c’è nulla da abrogare, ma due vere e proprie proposte di legge di iniziativa popolare. La prima intende far divenire la cittadinanza un “diritto soggettivo” e non più una concessione. Oggi occorre per gli adulti una presenza continuativa e regolare di almeno 10 anni per poter avviare le pratiche della richiesta, in media ne passano altri 4 prima di una risposta che spesso è negativa grazie al potere discrezionale delle questure. Con la proposta di riforma ci si adegua alle condizioni europee, 5 anni di presenza e la richiesta può essere effettuata autonomamente o anche tramite il Sindaco. Per i minori si propone di conferirla direttamente ai bambini nati in Italia di cui almeno un genitore sia regolarmente residente da 1 anno, ai minori non nativi che vanno a scuola. La proposta per il diritto di voto alle amministrative permette l’esigibilità di tale diritto in Comuni, Province e Regioni a coloro che sono in possesso del titolo di soggiorno da almeno 5 anni. Si tratta di un piccolo e ancora non sufficiente segnale, molto valore avrà la campagna di raccolta firme per poter parlare con le persone e rompere un senso comune di estraneità e diffidenza che è invece duro a morire. Ma era un segnale necessario, c’è da sperare che le forze politiche presenti in parlamento lo raccolgano non all’ultimo momento, come è stato fatto per i referendum, ma se ne facciano interpreti e portavoce. In fondo anche l’essersi schierati a favore di questa proposta o essere rimasti in disparte è un segnale da interpretare. Un arco vasto di associazionismo laico e religioso è nel comitato promotore insieme alla Cgil, Cisl e Uil hanno preferito restarne fuori, non creare nuove frizioni con l’esecutivo aspettando il tempo giusto. Le forze politiche della sinistra e del centro sinistra sembrano rispondere positivamente, lo si vedrà. Di firme ne occorrono solo 50 mila ma sarebbe significativo se se ne consegnassero quante quelle che occorrono per far passare un referendum. Si può fare, anche se si tratta di una battaglia di civiltà che stupisce trovare così in ritardo. Per saperne di più  Stefano Galieni 22-06-2011