RACCONTI & OPINIONI

Veleni sottoterra e ai confini dell'area, ma nessuno spiega quali. Un affare nell'affare


Tossica Expo da bonificare, misteri nella Milano da ribere  I primi lavori sono ormai stati appaltati per abbattere le strutture preesistenti all'Expo. Formigoni, appena nominato commissario generale di Expo ha annunciato l'inizio della volata finale. A lui spettano i poteri di indirizzo e controllo su contenuti e temi, cosa che lo fa entrare in rotta di collisione con Boeri, assessore a Palazzo Marino con le medesime deleghe ma ancora da "rafforzare". Al sindaco di Milano Pisapia, commissario straordinario, la prerogativa di velocizzare i cantieri. Ma lì dove si va a cominciare c'era una raffineria e nessuno ha detto ancora di cosa siano impregnati quei terreni. «Quello che si sa per certo è che sia stata ammessa la presenza di sostanze contaminanti nel 60% di area dove è stato possibile effettuare i carotaggi - spiega anche Luca Trada, portavoce No Expo - vuol dire che non è mai stata fatta una vera bonifica. Da anni cerchiamo di capire cosa sia stato rilevato a partire dalla memoria di chi abita lì da anni e sa bene quali fabbriche operasssero. Ma nessuno ci dice nemmeno chi e perché non abbia acconsentito ai carotaggi nel 40% sconosciuto della futura area Expo». Una recente inchiesta del quotidiano di Padellaro ha appena svelato che ai confini dell'area dell'Expo c'è una delle quattro aziende più importanti in fatto di smaltimento di rifiuti tossici. Sulle carte, sbagliate o vecchie, pittava una zona verde ma lì, lungo il muro perimetrale, è dal 1985 che vengono trattate da 43 dipendenti sostanze pericolose, contaminanti, esplosive per un fatturato di 30 milioni l'anno di euro. Nove anni dopo i titolari di una cava hanno venduto un ettaro di terreno impregnato dagli scarti della chimica lombarda a una comunità rom che rischia lo sfratto causa Expo. Mica si può moltiplicare per dieci il valore dei fondi, 400mila metri quadri a ovest sulla direttrice Novara-Torino, passandoli da agricoli a edificabili e poi lasciarci gli zingari. E a meno di mezzo chilometro in linea d'aria sono stati scoperti certi camion interrati dalla 'ndrangheta, si presume. La parola d'ordine, dunque, sarà "bonifiche". E sarà un affare nell'affare. 14 grandi aziende del ramo hanno appena presentato un'associazione senza fini di lucro con l'obiettivo di bonificare 10 milioni di metri quadrati di terra lombarda. Un affare da 11 miliardi. Il vicepresidente di Bonifichexpo, un nome che è tutto un programma, è anche presidente della società di ingegnerizzazione che ha firmato la valutazione di impatto strategico, ossia il documento che - tra le altre cose, affibbia i costi della bonifica alla società pubblica Expo. E' Gianpiero Borghini, ex segretario Pci a Brescia, ex sindaco Psi di Milano, ex direttore generale a Palazzo Marino, ha avuto una carriera in Forza Italia e nei Cda controllati da quel blocco di potere fino a comparire nelle inchieste sulle consulenze d'oro in compagnia di Letizia Moratti. Ora sembra lui a tirare la volata ad un'idea meravigliosa, quella di far indebitare il pubblico per recuperare terreni che poi sarebbero valorizzati dall'iniziativa privata per alberghi, studentati, ospizi. Due voluminosi ordini del giorno dei comuni di Milano e Rho chiedono che le bonifiche non siano a carico dei contribuenti ma piuttosto dei proprietari delle aree. Gli attivisti No Expo, che a luglio hanno dato battaglia perché l'accordo di programma tenesse conto delle osservazioni dei cittadini, sono scettici sull'eventualità che l'odg si traduca in indirizzo politico. Pure il Ponte di Mazzo, appena inaugurato a Rho, col miraggio che venga reso ciclabile dalla Fiera, sarebbe un effetto di questa paura di sfrugugliare il sottosuolo - "risvegliando" i liquami della ex raffineria che ancora abbondano sotto l'ampia area intorno alla Fiera oggi adibita a parcheggio - i tubi giganteschi per il teleriscaldamento della Fiera che scavalcano la ferrovia. Si confermano i timori di chi si oppone da anni alla kermesse cementificatoria, perché la ritiene un «acceleratore di grandi opere inutili come la Bre-Be-Mi o le varie bretelle autostradali che sottraggono investimenti prioritari che servirebbero al trasporto pubblico», dice a Liberazione Andrea Savi, del centro sociale Sos Fornace di Rho che lavora ad una cucitura delle resistenze sociali. «Chiediamo la chiusura della Fiera più grande d'Europa nei sei mesi di Expo dove sono già previsti 100mila visitatori al giorno con un impatto devastante in termini di smog e traffico - dice ancora - il Salone del Mobile ha registrato 321mila visitatori in sei giorni, possiamo reggere il doppio dell'impatto per 30 volte in sei mesi?».Più in generale i No Expo denunciano il «concetto di città vetrina»: quartieri ridisegnati e aree dismesse valorizzate con grosse volumetrie e con relativa bolla immobiliare. Dai 200 nuovi alberghi che nessuno capisce a chi servirebbero fino al grattacielo di 34 piani (a Rho la casa più alta ora è di otto) che è stato previsto proprio nello spazio occupato e autogestito, gli esempi di incubi urbanistici si sprecano. E c'è sempre quella faccenda della bonifica mai fatta quando fu costruita a tempi record la nuova Fiera perché Formigoni potesse esibire il trofeo in campagna elettorale.  Checchino Antonini 10/08/2011www.liberazione.it