RACCONTI & OPINIONI

Salute mentale: un recente studio ha analizzato le risposte dei pazienti credenti. Ha rilevanza scientifica?


Credi in un Dio buono o cattivo? Ecco come cambia la reazione alle cure I ricercatori della Harvard Medical School, affiliata al McLean Hospital, hanno rilevato che coloro che credono in un Dio benevolo tendono a preoccuparsi meno e a essere maggiormente tolleranti verso le incertezze della vita, piuttosto di coloro che credono in un Dio indifferente o punitore. Il documento dal titolo “Incorporating spiritual beliefs into a cognitive model of worry”, pubblicato sul Journal of Clinical Psychology di luglio 2011, è stato presentato da David H. Rosmarin, PhD, principale autore dello studio, al meeting annuale dell’American Psychological Association, il 5 agosto 2011 a Washington, D.C. L’osservazione vuole invitare i professionisti della salute mentale ad integrare le credenze spirituali dei propri pazienti nei loro regimi di trattamento clinico, soprattutto quando l’interazione terapeutica coinvolge persone religiose. Il prof. Rosmarin insiste circa la necessità, da parte degli psicoterapeuti, di non sottostimare la spiritualità dei pazienti, o, peggio ancora, snobbarla in nome di un approccio scientifico che, in virtù della scienza, non dovrebbe, invece, escludere nulla; secondo Rosmarin in realtà: “la maggior parte dei medici è impreparata a concettualizzare come e quanto le credenze spirituali possano contribuire al sostentamento dell’assetto affettivo, al suo riequilibrio”. Nel maggio 2010 sul Journal of Anxiety Disorders veniva pubblicato un lavoro che portava sempre la firma di Rosmarin e che testimoniava un primo tentativo di studio sulla possibilità clinica di tenere in considerazione anche l’aspetto spirituale del paziente affetto da sindrome da ansia malgestita, attraverso quello che veniva chiamato “spiritually integrated treatment” (SIT), messo a confronto con il trattamento indicato come “progressive muscle relaxation” (PMR). Lo studio dal titolo esplicativo: “Un controllo randomizzato dell’integrazione della spiritualità nell’ambito del trattamento della sindrome d’ansia malgestita subclinica in una comunità ebraica attraverso internet” poteva essere criticato, in quanto eseguito all’interno di una Comunità, come quella ebraica, ove l’osservanza religiosa, l’importanza del culto si poteva tranquillamente considerare parte integrante del tessuto comunitario, quindi relativo. Si è poi visto quanto siano rilevanti, al fine di aprire un buon canale di comunicazione che possa permettere il riequilibrio psicofisico, le convinzioni di base della persona circa se stessa, il suo mondo, la sua idea di futuro e le sue emozioni, al di là dell’appartenenza. Per alcune persone l’idea del mondo nasce e si sviluppa intorno a temi spirituali, non è quindi pensabile entrare in contatto senza almeno provare ad interagire col fulcro centrale. Questo secondo studio di Rosmarin propone un modello cognitivo riferito alle modalità esplicitate in caso di disagio, ponendole in relazione, sia a livello di causa che di effetto, con il Divino vissuto in termini positivistici o, al contrario, negativi (un Dio buono verso un Dio punitore). Nel caso di credenze divine tese alla castrazione, alla punizione, i sintomi passano attraverso il meccanismo dell’intolleranza e dell’incertezza alimentandosi della convinzione stessa, oltre che del vissuto autoperpetuato di sofferenza e sacrificio secondario al senso di colpa. É evidente ed importantissimo per il terapeuta partire dal paziente per ritornare al paziente cercando di passare “attraverso il suo mondo”. La presentazione proposta a Washington, D.C. da Rosmarin fa riferimento ai dati forniti da due studi distinti che all’elaborazione dei dati hanno permesso l’avanzamento di un’ipotesi terapeutica: •valutazione tramite questionario di 332 soggetti sollecitati da siti web religiosi o che fanno capo ad organizzazioni religiose. Questo studio suggerisce che coloro che nutrono fiducia in Dio sono pervasi da minori livelli di preoccupazione e nutrono meno intolleranza nei confronti delle inevitabili incertezze che offre la vita, rispetto a coloro che invece sono sfiduciati nei confronti della loro divinità •il secondo studio ha valutato 125 soggetti allontanati dalle organizzazioni ebraiche, questi individui sono stati sottoposti ad un programma attraverso l’uso di mezzi audio-visivi orientato ad aumentare la fiducia in Dio, riducendo l’atteggiamento sfiduciato e coartante. Dopo due settimane di trattamento i partecipanti hanno mostrato un netto aumento del pensiero fiducioso esprimendo significativamente minore intolleranza nei confronti delle incertezze, delle preoccupazioni e dello stress Lo studio ha cercato di comprendere meglio almeno alcune delle motivazioni che possono provocare disagio a volte ingestibile e debordante in malessere, in quanto, come dice Rosmarin: Avevamo evidenziato il legame tra credenze in Dio, sia positive che negative, e le risposte psichiche all’ambiente, in particolare rispetto alla tolleranza verso le incertezze e al livello, oltre che alla tipologia, di preoccupazione, ora con questa osservazione possiamo dare corpo al nostro modello terapeutico avendone trovato fondamenta. Attualmente si osserva di rado che il terapeuta si informi, anche solo in sede anamnestica, e tenga in considerazione le credenze spirituali che animano la persona della quale si prende cura, invece, come suggerisce Rosmarin: “La questione è un problema di assistenza sanitaria, non una questione religiosa”. Se il terapeuta conosce al meglio chi ha dinanzi, se cerca di condividere e comprendere il suo mondo, non può che favorire un miglior percorso terapeutico. Luisa Barbieri11-08-2011 http://domani.arcoiris.tv