RACCONTI & OPINIONI

Io sono Li Una perla il primo lungometraggio di finzione di Andrea Segre


L'amore (dis)integrato ai tempi della globalizzazione  Ti bastano dieci minuti per capire il valore di Io sono Li. E lo si è intuito quando in Sala Darsena, all'ultimo Festival di Venezia, il pubblico delle Giornate degli Autori ha cominciato a partecipare quasi fisicamente al film. Un piccolo miracolo come nelle sale se ne vedono pochissimi, unito a quell'applauso lungo e vibrante alla fine. Dieci minuti, un quarto d'ora, difficile quantificare, ma di sicuro era meritatissimo. Perché Segre porta il suo talento di documentarista - forse il migliore in Italia, attualmente: ricordiamo il meraviglioso Come un uomo sulla terra, Magari le cose cambiano e Il sangue verde - e lo destruttura, ricomponendo l'immagine come già gli era capitato in alcuni scorci dei suoi precedenti lavori. Come direbbe Stanis, della serie tv Boris, «Segre non sembra italiano». Sarà per la fotografia di Luca Bigazzi - diciamocelo, Mourinho senza Eto'o il triplete non lo faceva, Segre e Bigazzi da soli una perla così, forse, non la tiravano fuori -; sarà perché da subito si capisce che il regista, anche se esordiente, farà tutte le scelte necessarie, anche se difficili. Non rinuncia neanche per un minuto al suo sguardo originale e profondo sul mondo, impone un ritmo diverso alla narrazione e ai personaggi, regala scorci che non ci aspettiamo. E, non contento, tira giù una storia, quella del pescatore di Chioggia Rade Serbedzjia e dell'immigrata cinese Zhao Tao (la Shun Li del titolo), che è la traccia sentimentale e allo stesso tempo profondamente politica del film. Come nei suoi documentari, Segre si affida alla parola: non a baci, a facili scorciatoie, a frasi fatte, ma a un incontro di culture ed esperienze, di ricordi e condivisioni. Una storia d'amore ai tempi della (dis)integrazione, all'interno di una comunità normalissima, soprattutto nei suoi pregiudizi. Se il personaggio di Giuseppe Battiston, qui inusualmente cattivo, risponde al rassicurante stereotipo della mela marcia, non vale altrettanto per Marco Paolini - ottimo, dopo il talento unico per il teatro civile scopriamo che si trova molto a suo agio di fronte alla macchina da presa - e il resto della comitiva. Persino il "buono" Roberto Citran - un altro che vediamo e apprezziamo spesso e dovrebbe avere molto piú spazio - ci dice molto sui mali della nostra societá. E' una storia lieve e allo stesso tempo rappresenta un macigno, ti fa sorridere e intimorire e incazzare e commuovere.Non si dovrebbe dire che è un capolavoro, in fondo siamo "solo" all'esordio di un giovane autore che vuole dire la sua sul cinema e sul mondo con umiltà e senza paura. Ma rischia proprio di esserlo; di sicuro è stato uno dei film piú belli dell'ultima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Trenta copie sono poche per dettar legge al botteghino, ma abbastanza per creare un caso, per dimostrare ai "cinematografari" che il pubblico è più intelligente di produttori, distributori ed esercenti. Vale la pena andarselo a cercare Io sono Li, per vedere un cinema diverso e possibile, per godere di una splendida storia e di riflessioni emotive e sociali che sono necessarie qui ed ora. Ecco, proprio questo, forse, è il grande segreto di Segre: agire sul presente senza rinunciare a fare grande cinema. Boris Sollazzo 25/09/2011www.liberazione.it