RACCONTI & OPINIONI

A rischio le strutture di eccellenza come quella di via Mascherona a Genova. Mentre aumentano le denunce


Centri antiviolenza, si chiude«Signora, è importante che conservi il referto del pronto soccorso. Se vuole può sporgere denuncia, la accompagno io in commissariato». «Pronto, si calmi: sono presenti anche i bambini? Sono al sicuro?». Questi sono solo alcuni esempi delle frasi pronunciate ogni giorno dalle operatrici del centro antiviolenza di Via Mascherona, a Genova, a cui, tra gennaio 2009 e agosto 2011, si sono rivolte 679 donne. La cifra sale a 900 se si aggiungono i dati degli altri sei centri collegati, sparsi nel genovese. Due su tre sono italiane. «Circa il 60% di loro, dopo un primo contatto, è stato preso in carico dal centro», spiega Rita Falaschi, responsabile dell’ufficio Pari opportunità della Provincia di Genova. Donne vittime di violenze non solo fisiche, ma anche psicologiche, sessuali, stalking e violenze di tipo economico, che ad un certo punto hanno detto basta e hanno scelto di chiamare il 1522, il servizio nazionale collegato a 28 Ambiti Territoriali di Rete. Il centro d’eccellenza, inaugurato a fine 2008 è, ad oggi, uno dei pochi in Italia totalmente pubblico. Oggi rischia di chiudere. «Siamo con l’acqua alla gola», riprende Falaschi. «Nel 2008 il finanziamento della Regione era di 80mila euro l’anno, per il 2012 si parla di 10mila euro, ma la struttura ne costa 150mila. La Provincia ha sopperito alle carenze regionali, ma coi recenti tagli continuare è impossibile». Quello che rischia di scomparire è un punto di riferimento in una regione, la Liguria, che detiene il triste primato di territorio con il rischio più alto di “femminicidi”, con un indice di 1,3 omicidi ogni 100mila donne (la media nazionale è di 0,5, Eures-Ansa). In Italia i numeri fanno paura: 650 le donne uccise tra il 2005 e il 2010 e il fenomeno è in aumento: oggi quasi un omicidio su quattro in Italia è contro una donna, e tre volte su quattro si uccide in famiglia. Interpretare tali dati non è facile: «Crisi della maschilità e perdita di potere da parte del maschio all’interno della famiglia sono due elementi attraverso i quali, sempre più frequentemente, si tende a leggere - e talvolta giustificare - la violenza contro le donne e il femminicidio», spiega Emanuela Bonini, del laboratorio di studi di genere dell’Università di Genova. «Sul piano sociale, e talvolta giudiziale, non vi è una condanna sostanziale ed inequivocabile contro la violenza sulle donne, lo stupro o il femminicidio - letto come delitto passionale. E ciò sminuisce ed alleggerisce la gravità dell’atto». Lo sguardo è rivolto a Roma. «Stiamo aspettando che esca un bando del Ministero dedicato ai centri antiviolenza», dice Marina Dondero, vicepresidente della Provincia di Genova, «ma il finanziamento deve essere messo a sistema». Nel frattempo la Rete provinciale antiviolenza (promossa da 50 soggetti tra enti vari e associazioni) ha annunciato ieri una sua raccolta fondi pubblica (info: reteantiviolenzage@libero.it).   Federica Seneghini (Terra Liguria) 30/09/2011www.terranews.it