RACCONTI & OPINIONI

Fa festa anche chi ha inseguito Berlusconi sul suo terreno populista e liberista, demagogico e patriarcale, razzista e volgare


Quanto è lontana piazza Tahrir? Nella notte del tramonto, forse definitivo di Berlusconi ma non del berlusconismo, ci si ritrova in una piazza cattiva, volgare, felice, gioiosa, abitata da persone normali, di tutte le generazioni. Una piazza crudele, capace di festeggiare la caduta del monarca senza aver fatto nulla per detronizzarlo, una piazza in cui si aggiravano insieme i tanti volti visti in mille manifestazioni con le facce anonime e quotidiane poco insidiate e insozzate dalle telecamere. Poco medianiche perché animate da un linguaggio sconosciuto, lontano, di quelli che forse, a sinistra, non siamo più abituati a comprendere e / o a parlare. Un linguaggio che semplifica e taglia con l’accetta, parlato da persone che hanno bisogno di volti rassicuranti, di messaggi consolatori, di sogni poco duri da sognare, alla portata di tutti, privo di analisi e di problematicità, in cui non possono essere suscitate contraddizioni, chi è buono è buono e chi è perverso è perverso. Era difficile stasera stare sereni in quella piazza, provocare dubbi, non solo sull’operato di Napolitano o sul messaggio di “democrazia e di libertà” che ci giunge dalla Bce, eravamo inadatti e minoritari nell’animo, incapaci di essere felici della caduta del tiranno, perché consapevoli che il suo successore ha obbiettivi ancora più pericolosi per la vita delle persone. Era difficile accettare lo sventolare del tricolore, la paccottiglia patriottica e il tifo da stadio, le monetine e il brindare selvaggio, i coriandoli e i vaffanculo oggi facili da urlare, si provava fastidio e imbarazzo. È stato difficile sentir parlare di galera e di manette per chi considera la privazione della libertà personale un estrema ratio, era difficile non rifuggire dal vomito di un disprezzo sguaiato e incontenibile verso la stessa persona di cui si è celebrato per 17 anni da incubo, la cultura e il personalismo che propagava. Lo si è copiato in maniera maldestra, lo si è inseguito sul suo stesso terreno populista e liberista, demagogico e patriarcale, razzista e volgare. Lo si è inseguito senza mai raggiungerlo. Ma era difficile non lasciarsi contagiare da quella gioia, dagli sguardi umidi di ragazzi e ragazze nati e cresciuti con l’immanente presenza di Mediaste nella propria coscienza, dagli anziani che candidamente si stanno affidando al nuovo “Uomo della provvidenza” onesto e coscienzioso, competente e stimato all’estero (ovvero dalle agenzie di rating e da padroni), da chi portava i propri figli ad un evento percepito come storico, come la fine di un regime. E ci si trova in una situazione difficile. Nessuna pietà ovviamente per il peggior governo prodotto dalla borghesia eversiva dell’Italia repubblicana, e nessun adeguamento alle pulsioni giustizialiste e semplificative di chi cerca solo e soltanto un totem da abbattere. Ma non si può anche restare nella sterile attesa che i diktat europei e del Fmi si trasformino in colpi di mannaia sulle vite dei ceti più deboli, non possiamo restare lungo il fiume aspettando che le contraddizioni di classe esplodano per potere dire “noi lo avevamo detto”. C’è già una destra cattiva e ancor più populista pronta a giocarsi il secondo tempo di una partita che non considera finita, c’è già un minaccioso sentimento nazionalista, corroborato dalla vecchia logica di “legge e ordine” che richiama ai cupi scenari del Ventennio, che potrebbe colpire frantumando una destra men che social democratica incapace, inetta e frammentata. Una destra che ha messaggi e parole più facili, nemici facilmente individuabili e valori sempre in auge in assenza di coscienza di classe. E allora c’è una domanda da rivolgere a chi ci legge e su cui aprire una discussione seria. Come ridiventare sinistra di popolo e di massa imparando a parlare con piazze genuine come quella di ieri, non imprigionabile in facili segmenti di appartenenza sociale, politica o di censo? Quali parole usare e quali contenuti veicolare per ridivenire interlocutore credibili? Parlando con queste persone, anche in un momento di estrema eccitazione emotiva, si scopre sensibilità diffusa, anzi maggioritaria, verso la necessità di una tassa patrimoniale, verso un taglio delle spese militari e dei privilegi della casta, pronta a muoversi per una indefinita nuova legge elettorale e pronta a muoversi per affrontare il conflitto di interessi. Ma per il resto? Sul tema lavoro sembra regnare gran confusione e lo stesso accade sulle età pensionabili, c’è una richiesta di legalità difficile da distinguere dalla ricerca giustizialista, mancano insomma forse alcuni elementi fondamentali per ricostruire una connessione razionale oltre che sentimentale con quel terreno complesso in cui è racchiusa anche la nostra classe di riferimento. Una domanda a cui è difficile trovare una risposta, certo è che sembra essere carente una reale richiesta di democrazia partecipata come argine allo strapotere dei potenti. Piazza del Quirinale è distante anni luce rispetto alle speranze che suscita, infinitamente indietro rispetto a Piazza Tahrir. Come ridurre un gap così strutturale? Stefano Galieni 13/11/2011www.controlacrisi.org