RACCONTI & OPINIONI

Miseria e sfruttamento a due anni dalla rivolta dei braccianti africani.


RosarnoE' ricominciata la stagione delle arance a Rosarno. La terra è stata generosa e l’intera Piana è macchiata del verde e arancio degli alberi carichi di agrumi. Non altrettanto sembra esserlo gran parte di quella comunità, che ai lavoratori che anche quest’anno sono arrivati a migliaia per raccoglierli, ha riservato la ormai consueta malcelata intolleranza. Due anni fa, la rivolta di gennaio accese i riflettori sulle inumane condizioni in cui migliaia di ragazzi africani erano costretti a vivere e lavorare per pochi euro a giornata. Da allora, poco o nulla è cambiato. L’ex Cartiera, lo stabile fatiscente da cui partì quella rivolta, non c’è più, ma nuovi ghetti hanno sostituito quella struttura. Il più grande è a via Passo Nicotera, un vecchio centro di raccolta agrumicolo ormai in disuso. All’interno, vecchi materassi gettati a terra, qualche vestito, alcune scatolette di cibo impilate con cura, qualche lampadina che penzola solitaria e illumina senza pietà la quotidianità condivisa di tanti uomini costretti in uno spazio angusto. Poco distante, nelle baracche in lamiera sparse tra i campi la situazione è – forse – peggiore. Non c’è acqua corrente, né elettricità, tanto meno servizi. Stessa situazione nel centro storico di Rosarno, dove un gruppo di lavoratori ha occupato un vecchio stabile. Non c’è luce, acqua, non ci sono bagni. Per lavarsi, i ragazzi devono attraversare l’intero centro cittadino e usare i servizi pubblici della stazione ferroviaria. Una situazione complicata, che crea non pochi malumori nella popolazione locale. Ogni mattina poi, l’appuntamento rimane – oggi come allora – sulla vecchia nazionale dove  africani si raccolgono in attesa di un cenno da parte del caporale di turno. “Il più fortunato riesce a trovare lavoro per la giornata, gli altri tornano a casa”, racconta un ragazzo.  Molti hanno il permesso di soggiorno, ma solo in rari casi – come i sei fortunati assunti di recente alla rete di piccoli produttori Equosud grazie alla mediazione di Africalabria e di altre associazioni locali che lavorano sul territorio – le tariffe a giornata raggiungono i 40 euro previsti da contratto. Non c’è lavoro per tutti e la concorrenza al ribasso è fortissima. “Da due mesi facciamo questa vita e siamo accampati come animali. Non ne possiamo più. Credevamo che la situazione fosse cambiata e siamo tornati per questo, ma non c’è nulla di diverso rispetto a due anni fa”, racconta uno dei lavoratori, rimasto stoicamente ad aspettare una chiamata appoggiato al guard rail sul giglio della strada. “Meglio aspettare qui, piuttosto che tornare in quella specie di baracca in cui sto dormendo”.  Una soluzione migliore nella zona ci sarebbe. Ma non è accessibile. Il campo container di Testa dell’acqua, allestito l’anno scorso dalla Protezione civile a stagione agrumaria quasi conclusa ed inaugurato in pompa magna dal governatore Scopelliti, è ancora chiuso. L’apertura – ha assicurato il sindaco Elisabetta Tripodi – è vicina, al massimo giorno 10. Ma i 20 container del campo non possono soddisfare che una misera parte delle richieste di aiuto, alloggio, sostegno arrivate all’amministrazione rosarnese. La Giunta regionale ha stanziato solo qualche giorno fa i fondi necessari alla copertura delle spese dello scorso anno, comunicando contestualmente che da parte della Regione non è previsto alcun sostegno per i migranti nei prossimi mesi. Nel frattempo, le file di lavoratori africani che si assiepano davanti al Comune di Rosarno per fare domanda per un posto al campo, si allungano ogni giorno di più. Ci sono già più di 250 richieste alloggio, a fronte di una capacità massima di  100 - 140 persone. Sindaco e Giunta non hanno potuto far altro che bloccare – per il momento, almeno ufficialmente – la ricezione delle richieste di assistenza e scrivere alle autorità locali e non, alla ricerca di fondi e supporto. Richieste rimaste lettera morta. Un silenzio che per Rosarno equivale a una condanna. Le manovre finanziarie degli ultimi mesi hanno spogliato i piccoli Comuni di fondi e attribuzioni, scaricando sulle loro spalle il peso di molti servizi. Ma senza un intervento da Roma è difficile che Rosarno riesca a superare l’ennesima stagione delle arance. “L’unica soluzione che possa vagamente definirsi tale deve venire dalle istituzioni locali, regionali e nazionali”, commenta amaro Giuseppe Pugliese, di Africalabria “Si devono fare carico una volta per tutte di questa situazione, piuttosto che ricordarsi nel momento dell’emergenza. Questi ragazzi hanno diritto ad una vita dignitosa e a condizioni di lavoro dignitose. Noi facciamo quello che possiamo, abbiamo distribuito sacchi a pelo, coperte e kit di prima necessità, ci occupiamo di questa comunità tutto l’anno e non solo durante la stagione. Ma non basta. Tocca alle istituzioni rimuovere quelli che sono solo ostacoli insormontabili alla conquista di una vita decente per questa gente come la Bossi Fini. Se le procedure di assunzione continuano a essere così complicate e farraginose, per questi ragazzi non ci sarà mai speranza”.  Alessia Candito07/12/2011www.liberazione.it