RACCONTI & OPINIONI

Schiacciata da un muletto che non potevi saper usare perché lavoravi da soli due giorni e assunta dopo morta


Morire di lavoro a 22 anni Morire di lavoro a ventidue anni è una tragedia smisurata; scoprire venti giorni dopo che quella ragazza risulta assunta mezz’ora dopo la sua morte è inaccettabile per una società che si definisce civile.Eppure tutto questo accade a Cavarzere, accade a Noale, accade nelle campagne del trevigiano e della bassa polesana, nel tanto decantato mitico nordest.Accade in quella “terra di Padania” dove i suoi leghisti inventori hanno portato in palmo di mano padroni e padroncini che hanno fatto voluminose fortune grazie alla distruzione sistematica e volontaria, da parte del capitalismo, delle grandi industrie a cominciare da Portomarghera, creando un’infinità di manodopera a basso costo, non solo straniera,che si è prestata e si presta oggi ancor di più a fornire le proprie braccia, il proprio lavoro, pur di avere un salario; non importa come: se in nero, se fuori regola, se pericoloso, se precario, se poco, non importa, purché sia un salario che ti consenta di sbarcare il lunario. In questa terra veneta dove la Lega padrona e poltrona governa da oltre un decennio tutto è possibile: lavorare senza orario e fuori da qualsiasi regola contrattuale senza essere pagati per lunghi mesi, semplicemente perché sei immigrato, mentre colui che si definisce il tuo “datore di lavoro”, sfruttatore senza scrupoli, leghista doc è perfino un pubblico amministratore; e dove anche il sindacato ti invita a stare calmo, a non denunciare, altrimenti quella che chiamano “fiorente azienda artigiana” chiude i battenti e i lavoratori sono per strada; cadere da un’impalcatura di un cantiere edile, di domenica o il giorno di Natale, massacrarti o morire e tu non hai neppure un nome, perché non risulti esistere, mentre questo tuo lavoro invisibile riempie le tasche dei tuoi padroni.Morire a ventidue anni schiacciata da un muletto che non potevi saper usare perché lavoravi da soli due giorni e risultare assunta solo dopo che hai perso la vita.Mi chiedo, e vi chiedo, se può bastare l’indignazione di fronte a tutto questo o se non sia ora e tempo di risposte esemplari, di atti concreti che consentano un cambiamento di rotta tanto urgente quanto necessario.Lo chiedo alla società civile, al Capo dello Stato, al premier Monti che si accinge a varare le cosiddette nuove regole del mercato del lavoro con la possibilità di licenziamento senza giusta causa, così altri nuovi disoccupati si aggiungeranno a quella schiera infinita già pronta ad entrare in quel vortice oscuro d’affari che è il lavoro clandestino, come se tutto questo potesse bloccare la crisi economica che stiamo vivendo.Ma dove si vuol arrivare? Cosa siete diventati? In questa terra fatta di suv, di doppie e triple case, di lussuose barche ormeggiate nelle darsene, di un numero smisurato da banche e finanziarie, di società fantasma, di evasione esponenziale e di sfruttamento senza limiti, dove non c’è più spazio neppure per la pietà cristiana, tutto questo ha un nome: capitalismo! E il suo inesorabile decorso sarà solo la barbarie, ormai sotto gli occhi di tutti. Marina Alfier Segreteria provinciale del Partito dei Comunisti Italiani – Venezia09/12/2011www.liberazione.it