RACCONTI & OPINIONI

I grossi e grassi media sponsorizzano la fine dei pochi finanziamenti ai piccoli giornali. E' l'ingordigia dei servi del sistema


Meno stato più mercato ma non per loro  Dalle loro colonne colano fiumane di piombo per decantare le meraviglie del mercato e della concorrenza. Oppure calate di inchiostro si sprecano per condannare i contributi diretti ai piccoli giornali che gareggiano sul medesimo campo – le edicole – ma in una gara perennemente truccata. Ai grandi editori di giornali piace vincere facile. Indimenticabile la performance con cui decollò Libero: un paio di righe microscopiche spiegavano che si trattava dell’organo ufficiale del Movimento monarchico, un partito che nessuno aveva eletto ma che godeva di una montagna di fondi pubblici per solleticare gli istinti peggiori degli italiani e le smanie liberiste delle confindustrie. I nomi di editori come Verdini, Ciarrapico, Lavitola, Angelucci spiccano nelle inchieste della magitratura sulla legittimità dei contributi intascati. Una montagna. Il principale settimanale di inchiesta, è in voga il termine “newsmagazine” per definirlo, ha dedicato un box alle “Sante Gazzette” e fa il conto dei contributi all’editoria destinati ad Avvenire, a Famiglia Cristiana e ai settimanali diocesani, evitando accuratamente di entrare nel merito della legge del 1990 che stabilisce i contributi all’editoria, in linea con l’articolo 21 della Carta. Il pluralismo informativo è solo uno slogan per operazioni di marketing. E Napolitano, osannato nel discutibile ruolo di regista del governo “techno”, viene quasi ignorato quando si preoccupa per il destino dell’informazione e domanda al governo di rivedere i tagli. Viene da chiedersi se per le copie spedite via Poste italiane fino al 31 marzo 2010 l’editore di quel settimanale abbia pagato la tariffa riservata ai periodici oppure l’intero importo ordinario. Nel primo caso è bene ricordare che lo Stato ha integrato per anni, con soldi dei cittadini, la differenza fra le due tariffe, anche per le “travagliate” spedizioni di un quotidiano che si vanta di campare bene senza soldi pubblici. Si chiamano contributi indiretti, ma sempre contributi statali sono. E sono la voce principale di spesa pubblica nelle faccende legate all’editoria. In cima alla lista dei beneficiari nomi eccellenti: Sole24ore, ossia Confindustria, La Stampa della Fiat, Mondadori di Berlusconi, il Corsera di Rcs e, naturalmente, il gruppo Espresso che, con i suoi canali nazionali, ha preso parte alla spartizione del digitale terrestre. I contributi indiretti sono di tre tipi. Le agevolazioni postali sono state la prima voce, basti pensare al volume di copie spedite dai colossi del settore. Certo, in questo momento sono state sospese col celebre pesce d’aprile dell’indimenticabile ministro Romano che, il primo di aprile aboliva ogni sorta di agevolazione che lo stato avrebbe pagato. A farne le spese però furono le onlus, un vero scandalo, che potevano contare su tariffe molto scontate per il proprio materiale associativo. Resta, per almeno una decina d’anni – secondo gli addetti ai lavori – la coda avvelenata del debito dello stato con le poste ormai privatizzate che premono per rientrare di quei soldi. Sul conto la cifra di 50 milioni l’anno di debito consolidato. Per tutto il 2011 ha funzionato un tavolo tra le poste e il dipartimento per l’editoria finché non sono state trovate tariffe per la platea di soggetti. Il secondo tipo di contributo indiretto sono le agevolazioni telefoniche che abbattono del 50% degli editori. Si pensi al traffico telefonico dei colossi del settore. E poi c’è il credito di imposta sull’acquisto della carta, ossia il 10% di sconto su oneri fiscali e previdenziali, per un totale di 30 milioni. Sui grandi numeri lo sconto è notevole, la perversione, così spiega una consulente a Liberazione è il costo alto della certificazione da pagare alle società di revisione di bilanci che riduce la platea perché alle piccole società non conviene accedere a questo tipo di gara. Intanto, mentre i loro giornali minimizzavano la crisi, i grandi editori, dal 2007 in poi, hanno raggiunto col ministero, importanti accordi per il prepensionamento e l’esodo di grandi firme che hanno speso una vita a cantare le lodi del libero mercato. E ora la nuova frontiera dell’assalto alla cassa pubblica si chiama rimborso degli interessi dei mutui agevolati per le ristrutturazioni, il credito di imposta sugli investimenti. Fino alla voce Irap sulla manovra delle lacrime e del sangue: è uno sgravio enorme per le aziende dai grandi numeri, 10mila euro l’anno per ciascun dipendente, più altri 5mila per i lavoratori del Sud. Di questo s’è vantato proprio ieri il sottosegretario all’editoria Malinconico nell’incontro con le parti sociali. Nella sua vita precedente, ossia fino a ieri, Malinconico era presidente della Fieg, la confindustria degli editori. Ai grandi editori piace vincere facile. Anche quando diventano “tecnici”. Checchino Antonini10 dicembre, 2011 www.liberazione.it