RACCONTI & OPINIONI

La redazione di Lavoro e Salute saluta la nascita sul web di un giornale in calabria, scomodo per i poteri legali e illegali


Calabria segreta... Prime notizie dal Dispaccio Il 2 aprile è iniziata una splendida avventura editoriale www.ildispaccio.it Un giornale on line che vuole dare spazio a quanto avviene in una regione critica e importante come la Calabria, un giornale scomodo che intende fin dalle prime battute raccontare quello che non si trova nelle grandi testate, con cui si vuole denunciare la profonda struttura dell'economia criminale, il suo rapporto con le istituzioni, con i poteri forti, le forme globali e locali con cui agisce. Controlacrisi è lieta di ospitare alcuni articoli la cui importanza travalica i confini regionali e riguarda la vita di tutte e tutti noi, declina tanto la crisi attuale quanto le profonde ingiustizie e prevaricazioni di classe che da lì si diramano. Alla redazione intera un grande augurio di in bocca al lupo e a chi ci legge forniamo subito un buon pretesto per andare a curiosare nel Dispaccio (www.controlacrisi.org)C'è un filo nero nella storia della Calabria. Una storia che si dipana negli ultimi cinquant'anni di vita della regione, affiora, si inabissa per poi riemergere di nuovo e ancora tornare a scomparire. I suoi protagonisti non hanno né nomi né volto, ma tornano puntuali nei momenti topici della storia di questa terra. Affiorano nelle carte dei magistrati e nelle confessioni dei pentiti, si lasciano dietro una scia di misteri, delitti e irrisolti perché. Che si sia trattato di servizi deviati o meno, l'intelligence italiana e non, sembra aver scelto la Calabria come laboratorio privilegiato delle proprie operazioni. Più o meno pulite. Più o meno spiegabili. "Vi siete mai chiesti perché la Calabria sia la terra più gravida di personaggi dei servizi segreti o che, comunque, ruotano attorno a tale mondo?" ci ha chiesto una volta, retoricamente, un investigatore piuttosto esperto.Il nostro percorso e la nostra curiosità, vengono generati e partono proprio da questa domanda.Uomini dei servizi e società bene, antenne dell'intelligence mischiate a criminali e ndranghetisti, "uomini di rispetto" che si dichiarano a libro paga delle agenzie di informazione, manine occulte che negli anni '70 hanno legato i destini dell'eversione nera e della nascente ndrangheta imprenditoriale, che hanno messo bombe sui binari o curato il matrimonio di interesse tra ndrine e massoneria. Storie oscure, storie strane, storie che troppe volte si sono concluse senza colpevoli e senza perché, come se la parola "servizi" potesse servire da alibi a troppi omissis. A noi de Il Dispaccio gli omissis non piacciono. È per questo che abbiamo deciso di ripercorrere in un'inchiesta a puntate tutte quelle pagine della nostra storia recente che si sono chiuse sbandierando la parola servizi come una bandiera bianca, che assolva dall'obbligo di andare fino in fondo. E partiremo da una storia passata in sordina solo pochi mesi fa.30 Novembre 2011. il magistrato Vincenzo Giglio, il suo omonimo cugino, l'avvocato Vincenzo Minasi, l'assessore regionale calabrese Francesco Morelli finiscono in manette per ordine della Dda di Milano. Insieme a loro, indagati o attenzionati altri professionisti – avvocati, giudici, commercialisti, imprenditori – che spalmano la propria attività fra la Calabria e il capoluogo meneghino. Nelle carte firmate dal Gip Giuseppe Gennari, infatti, pur non indagati, appaiono nomi come quelli dello psichiatra reggino Gabriele Quattrone, ma anche del consigliere comunale di Milano, Armando Vagliati, nonché di politici come Alberto Sarra. A fare da trait d'union tra tutti questi nomi ci sarebbe la famiglia Lampada, emigrata a Milano molti anni fa per far fruttare lontano dalla Calabria dove forse avrebbe dato troppo nell'occhio, il patrimonio di Pasquale Condello, "il Supremo" arrestato dal Ros dei Carabinieri il 18 febbraio 2008. E il cui patrimonio – secondo gli investigatori delle Dda di Reggio Calabria e Milano – è servito da pietra angolare per la costruzione dell'impero economico dei Valle-Lampada al Nord Italia. Un impero dai molti e insospettabili sudditi."Uomini ridotti alla condizione di ricattabilità e subalternità", si legge nell'ordinanza relativa a quell'inchiesta e firmata dal gip milanese Giuseppe Gennari, ma i cui servigi vengono lautamente ricompensati. Contanti, prebende, viaggi, soggiorni e  favori che il clan elargiva in cambio di informazioni riservate, consulenze e coperture. Secondo gli elementi raccolti dalla Procura milanese  sono tutti al servizio della cosca Valle- Lampada, clan radicati al Nord, ma nati e cresciuti ad Archi, periferia nord di Reggio Calabria e feudo storico del potente clan dei De Stefano-Condello. Qualche giorno fa invece, la Dda meneghina ha disposto l'arresto di Giancarlo Giusti, 45 anni, ex Gip presso il tribunale di Palmi, già indagato a novembre nell'ambito dell'inchiesta che ha fatto finire dietro le sbarre il suo collega Vincenzo Giglio e da dicembre sospeso da funzioni e stipendio. La figura di Giusti era già emersa proprio a fine novembre 2011, quando nelle carte firmate dal Gip Gennari erano descritti per filo e per segno i suoi viaggi pagati dalla 'ndrangheta, le sue notti calde con prostitute dell'Est, anch'esse pagate dai Lampada e, ancora, le sue frasi: "Dovevo fare il mafioso, non il giudice".Per gli indagati sarebbero emersi gli elementi di una sua assiduità con la famiglia mafiosa dei Lampada, i quali hanno speso centinaia di migliaia di euro per ospitare i loro referenti e offrire loro donne e svaghi, hanno oliato i loro terminali politici pur di assecondare le ambizioni di carriera dei professionisti coinvolti e dei loro congiunti, li hanno coinvolti nei loro milionari quanto loschi affari. Come nel caso del consigliere regionale Morelli,  che con i Lampada sarebbe entrato addirittura in società non una, ma tre volte. Il politico pidiellino oggi in manette compare infatti come socio sia nella Andromeda srl, sia nella Pegasus, come nella Orion srl. Società dalle attività eterogenee – gioco a distanza, lotterie e scommesse, consulenze finanziarie – ma che i magistrati sono in grado di ricollegare facilmente al clan calabro - milanese. Società nelle quali Morelli compare come socio fin dal giorno della fondazione. Che è identico per tutte e tre. Così come identico è il giorno in cui il consigliere regionale del Pdl decide rapidamente di disfarsi delle quote in suo possesso: il 1 settembre 2010, poche settimane dopo gli oltre trecento arresti dell'operazione Crimine. Quando il pericolo che i magistrati, indagando sulla  ndrangheta milanese, arrivino fino al consigliere della Regione Calabria – suggeriscono i giudici nell'ordinanza - è alto. Così come alti sono i profitti che le tre società gli hanno fruttato.Ma i clan non fanno nulla per mera generosità. In cambio di cosa i Lampada si sono dati tanto da fare per coinvolgere nei propri affari personaggi noti della politica e della società calabrese? I pm danno una risposta inequivocabile: in cambio di entrature, notizie su indagini, interessamenti di vario tipo su procedimenti pendenti.Dalle carte di entrambe le inchieste emerge non solo una sconcertate familiarità degli arrestati con i più alti papaveri della ndrangheta milanese, ma anche l'estrema familiarità con la quale si muovevano in ambienti istituzionali, politici, investigativi e para-investigativi. I Lampada dunque potevano contare non solo su Vincenzo Giglio,  Presidente della Sezione Misure cautelari del Tribunale di Reggio Calabria, e su Giancarlo Giusti, inebriato che in cambio di notti folli a base di escort e alcool – diligentemente appuntate sul diario che gli investigatori hanno rintracciato sul suo computer – avrebbe procurato ai clan affari milionari. Al fianco della famiglia non c'era solo l'avvocato Minasi, legale di boss di piccolo e grosso calibro, regista delle strategie economiche delle cosche, spericolato finanziere esperto di società off-shore costituite per nascondere capitali di provenienza illecita, sponsor degli uomini delle ndrine presso politici, magistrati, istituzioni e – scrive il gip Gennari – nodo  centrale di quella "vera e propria ragnatela di relazioni inestricabili e connesse in cui tutti prendono e danno qualcosa. Il giudice Giglio ci guadagna il posto per la moglie, Morelli il sostegno politico e gli affari comuni con i Lampada, Giusti viaggi e donnine, Luigi Fedele -capogruppo Pdl in regione Calabria- il sostegno elettorale, i Lampada le notizie sulle indagini che li riguardano e l'allargamento delle loro conoscenze politiche ed istituzionali".Al servizio dei Valle-Lampada, braccio operativo dei De Stefano-Condello c'erano uomini dalle conoscenze molto più importanti e interessanti. Ma soprattutto ambigue. Come il medico Vincenzo Giglio, che, osservato dagli investigatori, avrebbe incontrato il capo dei servizi segreti a Reggio Calabria, il Colonnello Cristaudo, "per ottenere – è scritto nell'ordinanza Gennari - informazioni sulle indagini a carico dei Lampada". Incontro sul quale il funzionario avrebbe riferito agli investigatori che indagavano sul vasto mondo che gravitava nell'universo del clan. Un dato inquietante e inspiegabile. Ma soprattutto, un'informazione che un professionista, per quanto affermato, non è tenuto ad avere: come mai Vincenzo Giglio –  medico di professione e amico di noti ndranghetisti per passione-  è a conoscenza dell'identità del capo dei servizi segreti a Reggio Calabria? E da dove deriva la familiarità con cui lo convoca per un appuntamento?  Di cosa dovevano discutere? Ma soprattutto che interesse ha un'agenzia di informazione ad avere rapporti con un uomo che sarebbe legato mani e piedi a uno dei più importanti boss della ndrangheta lombarda?Ombre che diventano ancor più dense alla luce della fitta rete di interessi incrociati, favori, prebende e benemerenze in cui Giulio Lampada –regista indiscusso delle strategie dei clan – aveva imbrigliato uomini dall'estrazione più diversa, in Calabria come in Emilia Romagna e in Lombardia. Eterogenei per professione, provenienza e aspirazione ma accomunati da una medesima caratteristica: il potere. Una rete che Lampada ha costruito muovendosi con sicurezza in quell'area grigia, nella quale, si legge nelle carte dell'inchiesta "vedremo passare in rassegna individui di ogni estrazione. Più frequentemente politici, ventre molle dell'infiltrazione mafiosa e sempre disponibili ad offrire una sponda in cambio di voti". Da Milano alla Calabria, passando per Roma e Reggio Emilia, il rampollo dei Lampada si presentava ai suoi interlocutori "come l'imprenditore di carriera, che finanzia eventi politici a livello nazionale e riceve i complimenti del sindaco Alemanno come esempio di Calabria di successo".  Un nome, quello del primo cittadino di Roma, che ricorre più volte nell'ordinanza che ha spedito in carcere il presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, Enzo Giglio, il maresciallo della Guardia di Finanza, Luigi Mongelli, il medico Vincenzo Giglio, il consigliere regionale e presidente della Commissione Bilancio, Francesco Morelli e l'avvocato Vincenzo Minasi.E sarebbe proprio quella del legale una figura chiave dell'indagine milanese, che si incrocia, anzi, in moltissime parti si sovrappone, all'ultima parte dell'informativa che sta alla base del maxiprocesso "Meta", che vede alla sbarra il gotha della 'ndrangheta reggina. Minasi, infatti, sarebbe uno dei personaggi che avrebbe rivelato particolari d'indagine a Giulio Lampada, terrorizzato, negli anni, dalla possibilità di essere arrestato: "Sono stato a casa di Giglio tante volte – ha detto nei suoi interrogatori al cospetto dei pm milanesi -. Lo tenevo sotto pressione, gli chiedevo di informarsi, di farmi sapere perchè volevo chiarire la mia posizione". Paure, quelle di Lampada che, a suo dire, sarebbero state sempre rigettate al mittente: "Sta tranquillo non c'è niente, se ci sarà qualcosa ti chiameranno loro..." Poi Lampada sarebbe stato chiamato dal proprio avvocato che gli avrebbe mostrato un documento d'indagine con la sua iscrizione nel registro degli indagati. Per quella informazione, a suo dire Lampada darà del denaro a Minasi "mille euro una volta e mille e 500 un'altra [...] Mi disse che doveva darli a qualcuno che gli passava le informazioni, ma non so a chi". In un suo interrogatorio, l'avvocato Minasi, tuttora in carcere, darà la propria versione dei fatti, tirando in ballo un soggetto, Domenico Gattuso, 36enne reggino che, anche sulla scorta di tali dichiarazioni, verrà arrestato su mandato della Dda di Milano: "E questo Gattuso in un primo momento non avevo capito, o meglio non avevo saputo, o meglio non mi era stato detto chi era la fonte, lo scoprirò in un momento successivo, quando si parlò del Colonnello dei Ros che praticamente era in società con il padre di Gattuso".Fughe di notizie, partite da ambienti istituzionali o para-isituzionali, che avrebbero favorito le 'ndrine. E la figura del fantomatico "Colonnello dei Ros", narrata da Minasi, sembra incollarsi in maniera precisa e netta a quanto raccontato il 10 febbraio scorso, nell'ambito del procedimento "Meta" (i cui atti, come detto, sono poi confluiti a Milano), dal Colonnello dei Carabinieri Valerio Giardina. In quell'occasione, l'ufficiale dell'Arma ha riferito su alcune fughe di notizie che avrebbero favorito Domenico Barbieri, imprenditore edile e personaggio centrale dell'indagine. Barbieri, infatti, già condannato in primo grado per mafia, è l'uomo che sarebbe stato in contatto con importantissimi boss della 'ndrangheta, ma anche con una serie di personaggi politici. Stando al racconto di Giardina, già il 28 gennaio 2007, dunque, Barbieri parla di una maxioperazione con circa 300 arresti. Un numero che rimanda all'operazione "Crimine", scattata, sull'asse Reggio-Milano, nel luglio 2010, ma già in quel periodo in fase d'indagine. Carabinieri e Finanzieri tra le presunte fonti confidenziali dell'uomo: e in questo contesto si inquadra la figura del Maresciallo Sberna, comandante a Catona, quartiere della periferia nord di Reggio Calabria. Lo stesso Sberna andrà a trovare Barbieri dopo un interrogatorio fittizio dell'imprenditore (chiamato a testimoniare con un pretesto proprio nel tentativo di "stanare" la talpa). Un interrogatorio cui parteciperebbe anche un sedicente "Maggiore del Ros", che gli inquirenti, anche ascoltando Sberna (che in passato è stato indagato per rivelazione di segreto d'ufficio) non sono riusciti a individuare: "Al Ros, sotto di me, che ero Tenente Colonnello, avevo solo Capitani in qualità di ufficiali, e nessun Maggiore. E, d'altra parte, non risulta che da altre città siano stati inviati ufficiali per ascoltare Barbieri" ha chiarito in aula Giardina.Sono molto strani gli intrecci e le presunte fughe di notizie che si incastrano intorno al 2007 e che riguardano le attività che, in un modo o nell'altro, vanno a incrociarsi con l'indagine "Meta" che sta tentando di ricostruire le storiche alleanze delle cosche di Reggio Calabria. Intrecci e fughe di notizie, forse all'ombra dei servizi, per sabotare delicate indagini sulla 'ndrangheta. Magari con la copertura di un sedicente "Maggiore dei Ros" presente all'interrogatorio di Barbieri o di un "Colonnello dei Ros" citato da Minasi. Sempre che non sia la stessa persona...(1 - continua)Claudio Cordova e Alessia Candito 3/04/2012 www.ildispaccio.it