RACCONTI & OPINIONI

L'inchiesta sul settimanale Salvagente in edicola: arsenico, fluoro e boro oltre il consentito, a danno della salute


Acqua all'arsenico: 100 Comuni ancora fuorileggeIn Italia tutti pagano il servizio idrico ma non tutti ricevono in casa acqua potabile. Quasi un milione di persone, a volte senza saperlo, si disseta, cucina e lava frutta e verdura con acqua “fuori legge”. O meglio, con acqua a norma solo grazie a leggi speciali. È il quadro, poco consolante, pubblicato sul numero in edicola da giovedì 26 luglio del settimanale il Salvagente (acquistabile anche a un euro in Pdf sfogliabile nel nostro negozio on line).In un centinaio di comuni (qui vi anticipiamo dove), si legge sull’inchiesta realizzata dall’associazione Cittadinanzattiva, l’acqua del rubinetto non rispetta i parametri di sicurezza che le autorità sanitarie hanno stabilito per garantire la salute dei consumatori. Non solo. Da queste parti diventa pericoloso anche mangiare il pane, bere una bibita o consumare un gelato prodotto con l’acqua di zona. Deroghe in scadenzaLe deroghe, cioè i provvedimenti che consentono ai Comuni di tenere aperti i propri acquedotti anche a queste condizioni, però, stanno per scadere. L’ultima data utile per mettersi in regola è il 31 dicembre 2012. Se verrà rispettata è ancora un mistero.Braccio di ferro europeoLe sostanze presenti in eccesso ma tollerate sono arsenico, fluoro e boro: cancerogena la prima, tossiche e da guardare con sospetto le altre due. Per più di 10 anni abbiamo assistito a un incredibile braccio di ferro tra Comuni, gestori del servizio idrico, ministeri competenti e Unione europea, senza vedere una soluzione.Tanto che a gennaio scorso il Tar del Lazio ha condannato i ministeri di Ambiente e Salute al risarcimento dei cittadini di 5 regioni, Lazio, Toscana, Trentino-Alto Adige, Lombardia e Umbria, per aver permesso l’uso di acqua con arsenico oltre i limiti di legge senza avvisare adeguatamente le popolazioni del pericolo. I pericoliL’arsenico è associato dall’Oms e dallo Iarc al tumore a polmone, vescica, rene e cute. La legge prevede una soglia di tolleranza pari a 10 mcg/l, ma i Comuni in deroga possono innalzarla al doppio (20 mcg/l), purché informino la cittadinanza e offrano un’alternativa a bambini sotto ai 3 anni, donne in gravidanza e industria alimentare di accedere ad acqua veramente potabile. Ma chi controlla che ciò avvenga veramente?Dove: Lazio in derogaIl problema coinvolge una ventina di località in Toscana, la frazione di un piccolo centro in Campania, e soprattutto Alto e Basso Lazio, dove due intere province, Viterbo e Latina, con poche eccezioni, sono ancora alle prese con questa sostanza. Amministrazioni e gestori entro il prossimo 31 luglio dovranno riferire cosa hanno fatto finora alla Regione Lazio, che coordina gli interventi. Finora molto pochi. Che poco sia cambiato negli ultimi due anni lo conferma il dossier di Legambiente e Cittadinanzattiva, realizzato attraverso un questionario diretto ai Comuni interessati. Non tutti hanno risposto. In 17 hanno assicurato di non aver avuto bisogno di ricorrere all’ultima deroga. Tra questi Cecina in Toscana, e nel Lazio Orte e Bracciano, l’ultimo ad attivare ai primi di aprile un impianto di trattamento capace di dearsenificare l’acqua e di abbattere la concentrazione dei floruri sotto gli 1,5 mg/l di legge. Cittadinanzattiva: 10 anni di ritardi non sono accettabili “Non è accettabile che la quantità di una sostanza sia giudicata non tossica per decreto”, commenta il neosegretario generale di Cittadinanzattiva, Antonio Gaudioso. “Le deroghe sono strumenti che dovrebbero essere utilizzati provvisoriamente, mentre si risolve un problema con celerità. In Italia però non c’è niente di più definitivo del provvisorio”. E conclude: “Colpisce che dopo 10 anni di allarmi, i cittadini coinvolti non sono ancora stati informati”.Il rischio è che, dopo anni di inerzia, per trovare una soluzione in pochi mesi, i gestori aumentino le tariffe del servizio scaricando gli investimenti sui cittadini o che in forza dei milioni da spendere per i dearsenificatori convincano le amministrazioni a privatizzare gli acquedotti, in barba all’ultimo referendum. Marco Mattei, l’assessore all’Ambiente del Lazio, per esempio, ai sindaci del Viterbese ha garantito solo 6 milioni di euro per progettazione e avvio delle gare d’appalto. Per le spese ha spiegato: “Servirà un aumento della tariffa. Ipotizzabile in un 5% annuo per i prossimi cinque anni”.Barbara Cataldiwww.ilsalvagente.it