RACCONTI & OPINIONI

Aversa, Barcellona Pozzo Gotto, Castiglione Stiviere, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia) 1.100 internati. Una storia


OPG. Antonio Provenzano una vita di lotta per venirne fuori Una volta entrati nel girone infernale degli Opg e delle misure di sicurezza è davvero difficile venirne fuori, anche se fuori c'è una famiglia che ti aspetta ed è pronta a lottare per il tuo ritorno. Lo testimonia la storia di Antonio Provenzano, romano, e di sua sorella Elisabetta, che ha fondato il comitato «Elj per tutti i Tonino». Dopo un grave incidente automobilistico, che lo costrinse al coma, Antonio comincia a soffrire di una forma di psicosi schizofrenica di tipo paranoide lieve ma preoccupante. Comincia così un calvario fatto di ricoveri e trattamenti sanitari obbligatori. Nel dicembre del 2005, un altro episodio ne aggrava le condizioni. Come racconta la stessa Elisabetta, «un gruppo di violenti del quartiere lo sequestrò e lo sottopose a sevizie e umiliazioni, lasciandolo sanguinante e stravolto in un canale al lato della strada dove una ragazza che assistette alla scena si fece premura di chiamare i carabinieri». Antonio, dopo l'aggressione, attraversa una nuova fase di forte stress psicologico. Ha paura di essere aggredito di nuovo e comincia a girare con un piccolo bastone per proteggersi. Viene denunciato, riconosciuto non imputabile, e condannato ad una misura di sicurezza di sei mesi. Finisce prima nell'Opg di Montelupo Fiorentino, poi in quello di Aversa. La famiglia vuole che Antonio torni e chiede alla Asl competente di predisporre un progetto terapeutico personalizzato. Solo così il magistrato di sorveglianza può trasformare la misura detentiva in misura alternativa presso una comunità. La Asl di Ostia tentenna perché si tratta di investire risorse che preferirebbe non spendere. E senza alternative la misura viene prorogata. La situazione rimane in una fase di stallo fino a quando Elisabetta Provenzano non decide, nel 2011, armata di una tenda, di accamparsi sul tetto della Asl fino a quando non saranno pronti documenti necessari per dare il via al percorso terapeutico per Antonio. La protesta ottiene eco sulla stampa e in televisione, del caso di interessa anche la Commissione presieduta dal senatore Ignazio Marino. La Asl predispone, finalmente, il progetto e stanzia le risorse necessarie a pagare le spese. Ma non è finita. Bisogna attendere l'udienza per il riesame della misura di sicurezza di fronte al magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere. Elisabetta va su è giù tra Roma e Aversa, mentre il Comitato organizza eventi di sensibilizzazione sul tema della salute mentale. La storia di Antonio raccoglie molta solidarietà, Mario Barone per l'associazione Antigone mette a disposizione l'assistenza legale. Antonio Provenzano ottiene, nel settembre del 2011 la «licenza finale di esperimento» in ricovero presso una Comunità. Al termine dei sei mesi potrebbe ottenere la liberazione definitiva. Ma c'è un imprevisto, Antonio ha un incidente e si frattura, in malo modo, le gambe. Si interrompe il percorso di reinserimento sociale e, di fatto, è costretto a scegliere tra una struttura dove possa avere assistenza psichiatrica e una dove possa disporre di assistenza per la riabilitazione motoria. Trascorrono altri mesi necessari per definire un nuovo progetto terapeutico che, finalmente, prevede che Antonio possa essere seguito dai servizi nel proprio domicilio. «È questa la risposta indispensabile - spiega Elisabetta - un progetto personalizzato calibrato sulle esigenze reali di Antonio e dei suoi familiari». Nessuna comunità o struttura, quindi, ma uno stretto raccordo con la famiglia. Ora manca un ultimo tassello, il via libero definitivo del magistrato di sorveglianza, decisivo per porre fine alla misura di sicurezza. Sono trascorsi tre anni, ma a breve questo calvario avrà fine. Ma quanto sarebbe durato se, come in centinaia di altri casi, non vi fosse stato fuori nessuno a lottare per la sua libertà? Dario Stefano Dell'Aquila23/12/2012