RACCONTI & OPINIONI

"Volevamo essere giganti" di Angela Scarparo. La storia dell'infanzia di una donna in terapia dalla sua piscologa


Con gli occhi di Lucy Un famoso film di Vittorio De Sica si intitolava "I bambini ci guardano". Anche la bambina Lucy ci guarda. Occhi grandi che vedono bene, notano, giudicano, fissano. Innocenti e impietosi, gli occhi dei bambini non sanno mentire. E Lucy non è Alice nel Paese delle Meraviglie. Lucy è una Bambina Cattiva che vede e sente e racconta tutto quello che vede e sente così com'è, senza togliere e aggiungere niente. Così com'è, un piccolo mondo di piccoli piccolo-borghesi. Che Lucy guarda. Coi suoi occhi di bambina, occhi che non perdonano.Si intitola "Volevamo essere giganti" (Gaffi editore, pag. 316, euro 18) il nuovo romanzo di Angela Scarparo (dopo " shining Valentina", "Disturbando famiglie felici", "L'arte di comandare gli uomini"), il romanzo della Cattiva Bambina Lucy. Una bambina "di giù" - un paesino pugliese, Bitrano - che va "su", a Roma, addirittura nella metropoli, al seguito della famiglia che qui ha trovato il lavoro. La famiglia, cioè la mamma, lei e la zia Iris, location il Bar del Circolo del Tennis sul Lungotevere, che mamma e zia gestiscono da brave donne di fatica. Il lussuoso Circolo del Tennis, dove - così vede lei coi suoi occhi di bambina - «gli uomini e le donne ci entravano vestiti da tennis...ed erano così eleganti, erano così bianche le loro divise da sembrare azzurre».La sua famiglia è tutto il mondo di Lucy. Il suo microcosmo, che è piccolo ma anche micragnoso, lei ha appena sei anni ma se ne accorge con la prodigiosa capacità di osservazione dei bambini; non le piace, quel suo piccolo mondo e, da quella Bambina Cattiva che è, gli fa le boccacce. Peggio, lo descrive - lo "rivela" - così com'è. Il mondo piccolo-borghese è nudo.Un racconto, il suo, appassionato e sentimentale, denso di risentita angoscia. «Cara piccola borghesia, vecchia aria di casa mia, non so se fai più pena, schifo, rabbia o malinconia», è una bella canzone di De Lollis, molto nota negli anni Settanta. Piccola borghesia, quella appunto di cui narra Angela Scarparo, la piccola piccola-borghesia protagonista del suo romanzo. Non è certo "La saga dei Buddenbrook"; la vita familiare - e sociale - che lei racconta è insieme povera e limitata, anche un po' gretta, anonima, quasi senza storia. Eppure trecento e rotte pagine non sembrano troppe per raccontare la vita ristretta di un mondo ristretto, popolato di persone vere, in carne ed ossa. Qui fatte rivivere - ed è questo il fascino del libro - nella loro dimessa realtà. Dentro la loro quotidianità faticata e opaca, senza slanci né illusioni né ideali, dal lessico familiare ai minimi termini e - rincara la Bambina Cattiva - a diffusa tendenza fascistoide.La tua Cattiva Bambina ti guarda, mamma. «Come in un sogno deve aver visto il mio unghia-smangiucchiato dito indice puntato contro di lei, vittima, anche io, a mia volta, di uomini-che-mettono-incinte-le-donne-e-poi-se-ne-vanno». Già, quando si è sposata, «era incinta di me, mia madre. Però se glielo dico, mia mamma ancora adesso lo nega». Quella gran brava e onesta donna di sua madre. Alla quale però lei non perdona di chiamare «negro» il facchino di colore; definire «mangiapane a uffa» quelli che emigrano per andare a lavorare; di essersi sposata solo «perché lo facevano tutte»I suoi occhi scavano le sofferenze, l'infelicità, le paure di chi la circonda, ma anche le pochezze e le ipocrisie, senza indulgenza. Né dal suo infantile e terribile "specchio della verità" si salva certo lo zio Gianni, l'ex marito della zia Iris che a un certo punto va a vivere con loro. Uno - rivela la verace Bambina Cattiva - che quando «vedevamo un film sugli indiani, diceva "guarda gli indiani con quelle penne, Lucy, guarda che schifo. Fateli fuori tutti!"». Uno «che il peggio lo raggiungeva nei telegiornali. "Politica? Quale politica? Quella dei magna magna!", diceva». E sta alla larga, Lucy, da certa gentaglia, diceva, specialmente «russi, cinesi, comunisti»ì, Lucy riuscirà ad essere «diversa» , lascerà la madre che è tornata in Puglia; andrà a Roma a vivere e lavorare da sola, portandosi dietro tutta la sua ribellione irriducibile, e però intrisa di dolore e affetto. «Povera Iris voglio raccontare la sua morte. Perchè ci sono vite in cui la fatica che si fa, invece di tornare indietro come ricompensa, simile a una porta che ci torni in faccia, ci fa stramazzare per terra e basta, mia cara dottoressa» .Già, tutto il libro non è che la storia della sua infanzia raccontata da Lucy alla «dottoressa Emiliano», la psicologa presso la quale adesso, che di anni ne ha più di venticinque, segue una terapia. Dice la dottoressa che lei «ha vissuto la sua infanzia come una sorta di continua prigionia» e che ha «interiorizzato la fuga, il volo, come un elemento di lotta e di vittoria».Un elemento di libertà, cara dottoressa. Io sono mia.Maria R. Calderoni17/01/2013 www.liberazione.it