RACCONTI & OPINIONI

I giudici: la norma sulla procreazione viola il diritto al rispetto della vita: deve consentire la diagnosi pre impianto


Legge 40 e diritti umani: Ue boccia il governo Monti «Avevamo ragione noi: una legge sulla fecondazione assistita deve consentire la diagnosi pre impianto. La Corte europea dei diritti dell'Uomo (Cedu) ha bocciato il ricorso del Governo Monti. Ora l'Italia si adegui, la legge 40 è sempre più inconsistente». Con queste parole Filomena Gallo, segretario dell'associazione Luca Coscioni, commenta la decisione della Cedu di non accettare il ricorso con il quale l'esecutivo, tramite il ministro della Salute Balduzzi ha chiesto il riesame della sentenza con cui la stessa Corte, il 28 agosto, ha bocciato la legge sulla Pma per violazione dei diritti umani. Secondo i giudici di Strasburgo, infatti, la norma così com'è formulata viola il diritto al rispetto della vita privata. L'Italia dovrà quindi risarcire la coppia che aveva fatto ricorso alla Corte pagando 15mila euro.«Attualmente - spiega Filomena Gallo - solo le coppie infertili hanno accesso a trattamenti di Procreazione medicalmente assistita e possono chiedere di conoscere lo stato di salute dell'embrione; oggi anche a tante coppie fertili sarà possibile accedere a queste tecniche e non trasmettere gravi malattie di cui esse sono portatrici». Ora la legge italiana dovrà essere adeguata alla Carta europea dei diritti dell'Uomo, come previsto dalla sentenza della stessa Corte lo scorso 28 agosto, prevedendo l'accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita anche per le coppie fertili portatrici di patologie trasmissibili ai figli. «Il rigetto della richiesta avanzata dal Governo in difesa della legge 40 - conclude Gallo - conferma l'orientamento delle corti internazionali che avevano già condannato l'Italia con decisione all'unanimità e della Corte inter-americana dei diritti dell'uomo che lo scorso dicembre ha stabilito che l'accesso alla fecondazione assistita rientra tra i diritti umani meritevoli di tutela».Federico Tulli11/2/2013 www.globalist.it