RACCONTI & OPINIONI

Le nostre missioni all'estero, da quelle economiche a quelle militare hanno tutte un minimo comune denominatore: la morte


Il mostro a 5 zampe del Delta del NigerL’Eni è presente in Nigeria dagli anni ‘60 e da oltre 50 anni la compagnia porta avanti le peggiori pratiche possibili, distruggendo l’ambiente e i diritti delle comunità senza mettere in atto alcun sistema di riparazione e negando loro anche il minimo diritto all’informazione sui rischi degli eventuali incidenti. “Il livello di oppressione portata avanti dall’Eni in Nigeria è altissimo. E’ una delle compagnie più pericolose in Nigeria perché opera nel silenzio” ci racconta il responsabile legale dell’organizzazione Era, Prince Chima Williams. Secondo l’attivista nigeriano, l’Eni non ha problemi a riconoscere eventuali fuoriuscite o altre contaminazioni prodotte, qualora gli vengano presentate prove, il problema è che a fronte di ciò nessuna forma di riparazione dei danni viene mai attuata dalla compagnia, che continua imperterrita a portare avanti le stesse pratiche. Il silenzio e la mancanza di informazione fanno sì che risulta molto difficile stabilire la dimensione delle attività dell’Eni nel Paese, vista anche la mancanza di dati precisi e affidabili di origine governativa o dell’Eni stessa sulle sue attività petrolifere in Nigeria.Una delle principali problematiche dell’azienda è legata alla pratica del gas flaring – che si basa sulla combustione della parte residuale di gas nel petrolio estratto. Una legge del 1984 vieta il gas flaring che, tuttavia, continua a rimanere il principale modus operandi delle imprese petrolifere e in primo luogo dell’Eni. La questione del gas flaring ha preso nel Paese una rilevante dimensione mediatica e nel 2010 l’Eni annuncia di aver installato impianti di recupero del gas e afferma l’intenzione di abbandonare la pratica del gas flaring. Nonostante ciò, Era e altre organizzazioni nigeriane e internazionali hanno riportato che la compagnia ha continuato a praticare il gas flaring in totale impunità. Nelle comunità dove opera l’Eni nel River State, il gas flaring è molto visibile, non solo perché si manifesta con grande fiammate verticali visibili a lunga distanza, ma anche perché l’Eni non si è preoccupata di recintare i suoi impianti. Nel 2011, dopo che molte fuoriuscite di gas sono state segnalate, Era è andata sul campo a filmare e documentare questa situazione per fare pressione sull’impresa affinché introducesse maggiori misure di sicurezza. Poco tempo dopo un incidente è costato la vita di una persona.Gli impatti del gas flaring sulle comunità, come dimostrato da numerose ricerche scientifiche, sono terribili, ma la maggior parte delle comunità vengono lasciate all’oscuro dei rischi che corrono. Il gas flaring colpisce le economie locali e le pratiche di sussistenza comunitarie, rendendo i campi inutilizzabili per l’agricoltura, contaminando le fonti d’acqua, distruggendo le riserve ittiche, e la contaminazione, combinata alla presenza delle enormi fiammate, fa sì che gran parte degli animali selvatici abbandoni i territori impattati, rendendo impossibili le tradizionali attività di caccia. Anche gli impatti sulla salute sono drammatici, molto numerose le patologie della pelle, delle vie respiratorie, le nascite e le morti premature. Chima ci racconta che purtroppo molte volte le comunità non capiscono tutti i problemi legati all’estrazione petrolifera e che in molti utilizzano le fuoriuscite di gas per essiccare i prodotti alimentari, senza conoscerne i rischi visto che la compagnia e il governo non si sono mai preoccupati di informarli. E’ li che Era e altre organizzazioni intervengono per educare le popolazioni sugli impatti di queste attività. “In questa maniera possiamo far capire alle comunità che quando qualcuno muore prematuramente all’interno della comunità, questo non è dovuto al malocchio o a qualche stregoneria, bensì agli impatti prodotti dalle attività petrolifere. Così si riescono a mobilitare le comunità affinché prendano parola e si possano organizzare per difendere i loro diritti e il loro territorio. Noi di Era cerchiamo anche di accompagnare le comunità attivando processi di dialogo con le autorità e con le imprese e forniamo loro assistenza in caso di confronto con le autorità pubbliche e giudiziarie.” “Vorrei passare un messaggio molto semplice all’Eni e all’Italia”, aggiunge, “il governo italiano non permetterebbe mai il gas flaring nel suo Paese e allora perché lo Stato italiano non agisce per limitare i danni prodotti dall’Eni nel nostro territorio? Se si devono proprio fare affari con la Nigeria che almeno lo si faccia con rispetto per la popolazione nigeriana.”La strategia dell’Eni mira a dividere le comunità. Quando c’è un problema in una comunità dove l’Eni è presente, l’azienda è pronta a compromettere l’intera comunità: “al posto di risolvere il problema cercano una persona importante nella comunità, la corrompono e se la comunità chiede all’impresa di rimediare ai danni provocati gli rispondo che hanno già provveduto a stanziare le compensazioni: immaginate che conseguenze può avere questo all’interno della comunità” ci spiega Chima.Il fatto che l’Eni sia un importante finanziatore della cooperazione italiana non lo sorprende affatto: “E’ una fra le loro politiche di greenwashing, così possono dire che “riparano” i danni fatti con buone azioni… Allora io mi chiedo… Se il 30% delle azioni ENI è in mano allo Stato italiano, di cosa si discute nelle Agm dell’Eni?”. Una domanda alla quale l’Eni non ha mai fornito risposte, né a noi, né agli italiani o ai nigeriani, né agli attivisti dell’azionariato attivo, che da anni pongono queste questioni nelle Agm dell’Eni.Lucie GreylA Sud Onlus24/03/2013