RACCONTI & OPINIONI

E' sempre più normale in Italia che i poteri forti indagati per corruzione trascinino in tribunale i giornalisti fuori dal coro


Eni querela Gabanelli. E chiede 25 milioni di euroEni querela Milena Gabanelli, giornalista conduttrice di “Report”, per 25 milioni di euro. I fatti in questione risalgono al 16 dicembre del 2012, quando la giornalista manda in onda un servizio (firmato da Paolo Mondani, anche lui querelato), dal titolo “Ritardi con Eni”, per fare chiarezza sull’attività del più grande gruppo petrolifero italiano. Ieri l’azienda, sesto gruppo petrolifero mondiale per giro di affari, con un atto di citazione di ben 145 pagine accusa “Report” di avere leso la sua immagine, e fa richiesta di risarcimento: 25 milioni di euro. Una cifra spaventosa che sa più di intimidazione che di risarcimento, come molti commentatori hanno fatto notare nelle ultime ore. Spiega Milena Gabanelli ieri in un’intervista al Corriere della Sera: «Io e Paolo Mondani siamo stati accusati di aver danneggiato l'immagine dell'azienda, mi chiedo: è normale che una compagnia indagata insieme al suo amministratore delegato per corruzione relativamente ai 197 milioni di tangenti pagati in Algeria, un'azienda che ha patteggiato nel 2012 con la Sec e il dipartimento della giustizia americana 365 milioni per corruzione, e questo sì lede l'immagine di un'impresa controllata dallo Stato, voglia trascinare in tribunale la tivù pubblica per aver raccontato fatti sui quali nessuno dei vertici ha voluto accettare un confronto?». L’Eni, nella lunga citazione, accusa Gabanelli e Mondani di un “incredibile attacco ad Eni” che non si sarebbe limitato solo al servizio andato in onda, ma sarebbe continuato anche in seguito, in particolare in un’intervista rilasciata da Gabanelli al settimanale del Corsera “Sette” in cui, riporta la citazione, la Gabanelli ha dichiarato che l'inchiesta più difficile è stata “quella su Eni, perché nessun diretto interessato ha voluto parlare con noi. Per un'azienda dove il maggior azionista è lo Stato, dovrebbe esserci più disponibilità a un confronto critico. Inoltre perché, per una settimana, ho ricevuto quotidianamente lettere minatorie”. Gabanelli puntualizza di non aver mai parlato di lettere “minatorie”, ma “intimidatorie”, termini ben distinti tra loro. Il primo infatti prevede delle minacce esplicite, il secondo ha come fine quello di “intimorire”. In sostegno ai due giornalisti, l’associazione “Articolo 21“ lancia una petizione perché in Parlamento venga rispolverata una legge finita nel dimenticatoio, in materia di libertà di informazione e contro l’intimidazione preventiva attraverso le cosiddette “querele temerarie”. Come afferma l’avvocato Domenico D’Amati, membro del comitato giuridico di Articolo2: «con le querele temerarie si verifica che lo strumento giudiziario è utilizzato con scopi intimidatori. Tra l’altro la Suprema Corte di Cassazione ha iniziato a recepire le indicazioni della Corte europea dei diritti dell’Uomo, laddove questa afferma che il diritto all’integrità della reputazione, e il diritto alla riservatezza cedono di fronte alla libertà di informazione».La petizione è sul sito di www.change.orgRoberta Ronconi03/04/2013 www.liberazione.it