RACCONTI & OPINIONI

Da Agrigento, in India e in Chiapas. Ecco alcune storie emblematiche di crimini contro l'umanità


A bere sono solo le multinazionali L’accesso all’acqua è un diritto umano, ha detto finalmente il Palazzo di Vetro dopo 15 anni di discussione. Non è vincolante dal punto di vista normativo ma la storica dichiarazione rafforza le mobilitazioni sociali che in ogni angolo del pianeta contrastano la privatizzazione dell’acqua. Dopo che 1.400.000 di donne e uomini hanno sottoscritto le proposte referendarie, il comitato promotore rilancia al governo l’idea di una moratoria che blocchi tutti i processi di privatizzazione. Ma, a succhiare l’oro blu, sono anche i circuiti del turismo di massa - che assetano i territori dove impiantano alberghi o piste da golf - e le multinazionali delle bibite.Da vicino a lontanissimo ecco alcune storie emblematiche.Agrigento è la città italiana dove l’acqua costa di più, 440 euro l’anno contro i 103 di Milano. Ma arriva nella case sporca e con turni settimanali. E, a pochi chilometri, le vene del sottosuolo sono gonfie di gustosa, dissetante, gradevole, con un equilibrato contenuto di sali minerali. Parola di Nestlè a cui la Regione ha permesso di raggiungere nell’arco di un quinquennio la produzione di 250 milioni di litri: dagli attuali 16.500 pezzi l’ora agli oltre 46 mila pezzi previsti e pianificati per accaparrarsi la metà della sete isolana. A Santo Stefano Quisquinna, 40 chilometri dal capoluogo, che custodisce il tesoro, si teme che la multinazionale scavi troppo e troppo in giù e prosciughi presto le vene sorgive. Ricapitolando: l’acqua c’è ma è tutta di Nestlè.Così pure in India. Dove se la bevono Pepsi e Coca. Scrive Vandana Shiva, attivista vicina ai social forum, che in India ogni impianto beve tra uno e due milioni di litri d’acqua al giorno. E ce ne sono 90, con un prelievo idrico quotidiano tra i 90 e i 180 milioni di litri. Per produrre un solo litro di cola vengono inquinati circa dieci litri di acqua potabile. Nei reflui di questi impianti il Pollution control board del Kerala ha rilevato alte concentrazioni di cadmio e piombo. Le esposizioni al cadmio protratte nel tempo possono causare disfunzioni renali, danni alle ossa, al fegato e al sangue. Il piombo invece danneggia il sistema nervoso centrale, i reni, il sangue e il sistema cardiovascolare. Le donne di un piccolo borgo del Kerala sono riuscite a far chiudere un impianto della Coca Cola. Nel distretto di Palakkad, la Hindustan Coca-Cola Beverages Limited ha sfruttato tutti i pozzi idrici esistenti, contaminandoli e compromettendo così l’esistenza di più di 750 famiglie di contadini. Gli adivasi per centinaia di giorni si sono ribellati alla devastazione nella regione del Kerala. La lotta, appoggiata anche dai contadini dalit, i fuoricasta, ha a che vedere non tanto con il gusto dolciastro o il colore della bevanda, quanto con il disastro ambientale creato dalla fabbrica della compagnia nel villaggio di Plachimada e dintorni. Aperto nel 1998, lo stabilimento portò un centinaio di posti di lavoro e altri duecento saltuari, ma ha prelevato dai corsi d’acqua e dai bacini idrici circostanti tra i seicentomila ed il milione e mezzo di litri d’acqua al giorno. La loro acqua assume il colore del latte cagliato e il suo odore diventa stomachevole, al punto da costringere un migliaio di abitanti a comprare l’acqua imbottigliata dalla stessa Coca-Cola a cinque rupie la bottiglia. 260 pozzi messi a disposizione dalla pubblica autorità come sorgenti di acqua potabile per la popolazione si erano esauriti, la Coca Cola li ha utilizzati come deposito per le sue acque di scarto di lavorazione. Nel 2003, l’ufficiale medico distrettuale ha informato la popolazione di Plachimada del fatto che la loro acqua non era più potabile. Lo stabilimento restituiva infatti parte dell’acqua depredata durante il processo di risciacquo dei contenitori, contaminando fonti, terreno e falde.I contadini e gli abitanti dei villaggi denunciarono il fatto che non riuscivano più a mettere da parte l’acqua necessaria perché continuavano a spuntare nuovi pozzi, con gravi impatti sul raccolto agricolo. Quando le accuse furono confermate dal fatto che l’azienda non era in grado di fornire un rapporto dettagliato richiesto dalle autorità locali, fu mandata un’ingiunzione a comparire in tribunale e la licenza fu revocata. A quel punto la Coca Cola provò, senza riuscirci, a corrompere il presidente del Panchayat offrendogli 300 milioni di rupie. Dopo aver privatizzato l’acqua della riserva ecologica del Cerro Huitepec, dal 2000 ancora Coca cola distribuisce acqua contenente due volte la quantità di piombo permessa dalle autorità sanitarie messicane. Dal marzo del 2007 la Giunta di Buon Governo della zona Altos, di Oventik, ha istallato un riserva ecologica comunitaria di 102 ettari, per difendere una parte della montagna dal tentativo del governo e di privati di sfruttare a fini di lucro le ricchezze naturali. Cocacola nel 2004 ha utilizzato 107 milioni di litri d’acqua, pari al consumo di 203.666 abitazioni.Checchino Antonini30/07/2010leggi www.controlacrisi.org