RACCONTI & OPINIONI

In una regione già massacrata da abusivismo, alluvioni e incendi. La magistratura indaga su affari e corruzione


Eolico e sciacalli. Calabria in ginocchioPale, mulini a vento ovunque. “Aerogeneratori” si chiamano, per la tecnica e per la burocrazia. Fino a qualche  anno fa non se ne vedeva neanche uno. Adesso in Calabria le turbine turbano. Da lontano i mulini a vento possono sembrare i bracci di enormi ventilatori a pale messi lì a soccorso di pendolari e vacanzieri. Phon enormi e torreggianti su aste bianche, un pronto soccorso dal caldo, una sorta  di “protezione civile” impotente a smuovere la fila di autobus e macchine che come formichine ogni mattina in questi giorni d’agosto cuociono al sole sfilando lentamente sui rettifili d’asfalto torrido dell’A3 e della “Strada dei Due Mari”, da Lamezia a Catanzaro. Il vento non manca da queste parti.I mulini a vento girano bene, ma le pale non sempre mulinano a dovere. Altre torri eoliche, più grandi, bianche ed enormi, piantate come candeline su una torta di compleanno, sono spuntate sui costoni della val di Crati, nel Marchesato di Crotone, sul reventino e sui contrafforti verdi delle Serre, verso la costa di Pizzo e Tropea.La piantagione di mulini a vento si vede dal cielo, quando l’aereo ancora sul Tirreno prima di mettere le ruote sulla pista di Lamezia, fa un mezzo giro dal mare per prendere di petto la terra. Proprio un bel colpo d’occhio. Un prato di bianchi steli di margheritone pop. In Calabria negli ultimi anni è stato tutto un fiorire di progetti per l’installazione di torri e parchi eolici. L’eolico è una gara selvaggia, una nuova frontiera del Far West nostrano. Può un territorio come quello calabrese, già massacrato in lungo e in largo da decenni di abusivismo, di dissesti e alluvioni, incendi estivi e saccheggi ambientali consumati dal mare fino ai monti e fin dentro alle aree protette e i parchi nazionali, essere sacrificato, come è stato, anche sull’altare del business eolico? La corsa all’oro dei mulini a vento qui può distruggere del tutto quel poco che resta di uno tra i paesaggi più belli d’Italia. L’affare finora è passato per le mani di improvvisati magnati del vento, d’accordo col solito sottogoverno di politici e loschi intermediari che da noi fa il bello e il cattivo tempo. Contro il proliferare dei mulini a vento non si sono levate proteste ufficiali. E poi, a che serviva l’eolico in una regione senza industrie che di energia ne ha già da vendere? La “bolla” speculativa dei certificati verdi, il sistema degli “sviluppatori” e tanti altri aspetti tetri e inquietanti di questo business in Calabria sono stati scoperti e messi di recente nel mirino dalle inchieste della magistratura, facendo il giro di diverse Procure. È una strana tribù postmoderna quella degli “sviluppatori” che agiscono in Calabria, autentici sciamani dell’intermediazione eolica. I loro troppi miracoli col vento in poppa a un certo punto si sono impigliati nelle pale dei mulini e sono finiti sui tavoli dei magistrati. Insieme ai loro referenti politici, ex assessori e funzionari regionali, iscritti nel registro degli indagati. Dalle indagini si apprende che in meno di tre anni una società del settore, la Cesp, “facilitata” dall’intermediazione locale, aveva ottenuto autorizzazioni per l’installazione di 230 megawatt. Poi tutte girate al colosso italo-spagnolo Erg-Cesa. Non solo. Cesp dichiarava di avere in ballo altri progetti per ulteriori 500 megawatt. Invece di interrogarsi su questo mostro che stava crescendo sotto i suoi occhi, la Regione Calabria negli anni scorsi autorizzava una selva di turbine pari a un terzo di quelle già esistenti in Italia. Per ora, il risultato di questo dispendio di denaro e territorio messo allo scoperto dalle inchieste è il solito: la Calabria dall’eolico produce la miseria 4 mila kwh sui 4 milioni prodotti in tutta Italia. E per giunta verificabili solo sulla carta. La scusa è quella che l’eolico comunque crea lavoro in una regione affamata di lavoro.Erano stati promessi posti di lavoro a mucchi dai mulini a vento. Che naturalmente non ci sono stati. Tutti sanno che i parchi eolici installati nel subappennino calabro al massimo impegnano quattro o cinque lavoratori veri. Per un motivo molto semplice: le pale eoliche non richiedono manutenzione, arrivano già belle e pronte su enormi tir, vengono issate sui cocuzzoli e l’unico intervento importante da fare dopo averle piantate è quello di realizzare sui terreni le strade di servizio. Il che attira altra speculazione, altre brutture che sfregiano il paesaggio in modo definitivo. Ci sono meccanismi chiari che spiegano bene tutto questo interesse. Le sovvenzioni ai parchi eolici in Italia sono le più alte e le più ricche d’Europa. Il prezzo dei certificati verdi è il più generoso del Continente. E così da noi, e in Calabria soprattutto, i mulini a vento degli impianti eolici sono diventati un affare. Che attrae faccendieri, amministratori corrotti e grandi aziende internazionali. Ma anche la criminalità che controlla i territori. Non è la prima volta che in Calabria nel sistema degli appalti vanno a braccetto amministrazioni compiacenti e interessi malavitosi. Politica e interessi criminali si saldano specie quando il potere in Calabria si baratta con le risorse pubbliche, con i beni indisponibili dell’ambiente e della natura, con la terra di un demanio su cui dominano e spadroneggiano i prepotenti. Anche i privati proprietari dei suoli dove sono ubicate le turbine traggono dai mulini un reddito superiore a quello che ricaverebbero dai raccolti o dal pascolo. A presentare le domande per le centrali e per i contributi spesso non sono state le grandi società che poi realizzano il campo eolico, ma un sottobosco di «facilitatori» locali che vantano buone entrature nel Palazzo e arraffano permessi da vendere al miglior offerente.L’autorizzazione per un impianto vale oro: 500 mila euro per ogni megawatt. Una centrale da 30 megawatt vale quindi 15 milioni di euro. Le chiavi di questo forziere sono in mano alla politica che ha partorito un sistema sconcio: gli impianti nascono in posti inadatti, in aree di interesse ambientale, vicino ai centri abitati o dove non ci sono cavi per trasportare l’energia pulita eventualmente prodotta. In Calabria le turbine girano poco, ma i mulini a vento sono sempre di più e nessuno sa se di energia ne producono davvero e quanta.Intanto i campi dei mulini a pale continuano a crescere e a roteare indisturbati nei posti più improbabili. Il più grande parco eolico d’Europa: 48 torri per 120 megawatt nelle campagne di Isola Capo Rizzuto. Nella calura immobile di quei campi desertici e allucinati, davanti alla specchio di cobalto dello Ionio, Monicelli ha girato la saga picaresca dell’armata Brancaleone e prima di lui Pasolini nel 1963 aveva scelto questi stessi luoghi riarsi per la rappresentazione ruvida e minimalista del suo Vangelo secondo Matteo. Vento poco da quelle parti, però la temperatura è torrida, tanto. Il Marchesato di Crotone è uno dei luoghi più aridi del continente, a imminente rischio desertificazione. In più c’è il rischio mafia. Qui più che il vento servirebbe l’acqua. Avanti così e la Calabria diventerà tutta un mostro eolico. Praticamente una foresta di turbine e mulini a vento sparpagliati ovunque secondo calcoli e convenienze tutt’altro che sostenibili per l’ambiente e per la gente. Il vento dell’angelo sterminatore presto pianterà sul suolo calabro un terzo degli «aerogeneratori» installati in tutta Italia. I nuovi campi elisi del vento, piantati su una terra che ha perso un’altra delle sue beatitudini. Nel 1889 lo scritore vittoriano George Gissing, dal ponte di un vapore che solcava il mare verso la Sicilia, in un «cielo color cremisi, senza una nuvola», ammirava gli ultimi bagliori di «un nobile tramonto sul Tirreno».Davanti al lui il paesaggio maestoso della costa Calabria avvolta di «un blu purpureo e intenso». Per questo vittoriano solitario era l’immagine della bellezza: «A sinistra le colline selvagge della Calabria appaiono come una lunga piega ondulata di corpi, colline su colline di un oscuro color pervinca. Sono rimasto a lungo a guardarle, pensando a cose inesprimibili». L’apostrofe rivolta da Gissing alle colline calabresi sospese tra mare e cielo adesso resta lì, impiccata tra le pale bianche degli aerogeneratori che mulinano a vuoto sulle colline di vento e di polvere di questa Calabria.  Mauro Minervino 23 agosto 2010*Il testo pubblicato è parzialmente tratto da un capitolo che l’autore, Mauro Francesco Minervino, antropologo e scrittore, ha dedicato ai temi dell’ambiente in un volume dal titolo eloquente: La Calabria brucia  (Ediesse, Roma, II° ediz. 2009, pp. 205, E. 10).