RACCONTI & OPINIONI

Alcune notizie, paradigmatiche del senso comune e della realtà, illuminano l’Italia d’oggi meglio di mille articoli


Condoni, tasse, trucchi ed evasioni. L’assurda normalità italica  Alcune notizie, paradigmatiche del senso comune e della realtà, illuminano l’Italia d’oggi meglio di mille articoli. Tra queste sicuramente il fatto che dal maxi condono 2002/2004 mancano all’appello ancora 4,6 miliardi (questione che già nel 2008 aveva mobilitato la Corte dei conti, la quale valutava in 5,2 miliardi la cifra allora mancante all’appello e denunciato giorni or sono, nell’indifferenza quasi generale, dall’associazione Legalità ed equità fiscale).  L’ammanco è stato reso possibile dalla normativa che ha stabilito che per gli importi superiori a 3mila euro per le persone fisiche e 6mila per le società, era sufficiente versare la prima rata per rendere valido il condono. è accaduto che gli evasori fiscali, una volta ottenuta la sanatoria versando la prima rata del dovuto, non saldassero il conto con l’Agenzia delle entrate. Decisiva è stata la scelta di non subordinare il condono al pagamento dell’intera somma dovuta, ma di accontentarsi del primo versamento nei casi in cui era prevista la rateizzazione del debito.  In sostanza a mancare all’appello sono proprio i soldi dovuti dai maggiori evasori. L’errore dei legislatori è stato limitarsi a stabilire procedure di recupero coattivo delle somme, anziché prevedere l’inefficacia del “perdono”: con questo meccanismo, chi già aveva violato la legge evadendo le tasse, ha incassato il condono sul piano tributario e penale pur senza aver chiuso i conti con il fisco. Anche in un Paese in cui l’evasione fiscale pare essere lo sport nazionale, davvero c’è da restare senza parole. D’altronde la cronaca ci dice di yacht in mano a nullatenenti, di gente che gira con la Ferrari e prende sussidi di disoccupazione, di gestori di ristoranti e bar che guadagnano meno dei loro dipendenti, di commercianti, imprenditori, liberi professionisti residenti in splendidi attici ed in permanenti vacanze esotiche, letteralmente “morti di fame” per il fisco.  Si sa, chi davvero paga le tasse (perché sottratte alla fonte) è il lavoratore dipendente: per gli altri vi sono i trucchi nazionali, dai più sofisticati a quelli da bar. Vediamone alcuni tra i più gettonati. “Scatole cinesi”: si crea una società controllata, di cui in pratica si ha il controllo possedendone una quota maggioritaria. A quella società si fa acquistare la quota di maggioranza di una seconda società ed a quella la maggioranza di una terza società, e così via.  Un meccanismo che permette a chi ha il controllo della prima società di avere il controllo (anche se non la piena proprietà) di tutte le altre società controllate a cascata da quell’iniziale, con ovviamente i beni posseduti da queste società. Spesso la società iniziale ha sede in un paradiso fiscale. Un labirinto anti accertamento proprietà, anti fisco. Le “cartiere” invece sono società che aprono e chiudono i battenti nel giro di pochi mesi. Il nome evidenzia l’esclusiva funzione di produrre false fatture che permetteranno di chiedere il rimborso dell’Iva mai pagata.  Abbiamo poi le “società di comodo”, oggi alla ribalta per il meritorio lavoro della guardia di finanza sulle “vacanze”. Nel caso delle barche, sono ditte di charter che, però hanno un solo cliente, il loro azionista. Ciò serve a pagare meno tasse sulla barca, ma soprattutto a far scomparire lo yacht dal patrimonio di una persona fisica in caso d’accertamenti fiscali. Se l’Agenzia delle entrate controlla la dichiarazione dei redditi, troverà dichiarata una società di charter con un capitale basso (10/15mila euro) e non uno yacht da due milioni d’euro. Le società di comodo servono per nascondere al fisco ville al mare, attici in città, fuoriserie, patrimoni vari. Per scendere poi più nel banale quotidiano abbiamo lo scontrino non fiscale. è un metodo adottato da non pochi commercianti, come i proprietari di ristoranti e di pub.  Prestate attenzione quando vi portano il conto. Il foglio sembrerà stampato da un registratore di cassa come una ricevuta fiscale, ma sovente non lo è. Altri, addirittura, con disinvoltura si dimenticano di portare scontrino o ricevuta e si rabbuiano qualora giustamente richiesti. Normalità italica. Gianpaolo Silvestri 25/08/2010www.terranews.it