RACCONTI & OPINIONI

Finiscono le ferie, ma le saracinesche restano abbassate. I numeri della crisi


Disastro ItaliaAnche a Termini Imerese, dopo gli stabilimenti Fiat di Melfi e Cassino, i 2.200 operai impiegati nell’assemblaggio della Lancia Ypsilon tornano a lavoro. Da queste parti la malinconia da rientro post-vacanziero è un “lusso” del passato. Come quell’odiato primo giorno di scuola che, a distanza di anni, assume la forma di un ricordo gradevole, spesso rimpianto.Nel volto mesto degli operai che fanno il loro ingresso in fabbrica dopo la pausa legata alle ferie e a una settimana di cassa integrazione,  resta soltanto la preoccupazione per un futuro che – stando alla situazione attuale – appare segnato.Il conto alla rovescia di Termini Imerese. Nel calendario, le tappe cerchiate con il pennarello rosso sono quelle del  20 settembre, quando scatteranno altre due settimane di Cig; il ritorno alle catene di montaggio previsto per il successivo 4 ottobre; il fatale appuntamento con la fine del 2011, quando il Lingotto darà il benservito allo stabilimento siciliano, chiudendone per sempre i battenti. Nel mezzo, c’è la data del 15 settembre con l'incontro fissato al ministero dello Sviluppo economico per iniziare a sondare le eventuali offerte di rilevamento della struttura. Peccato che il governo, proprio in quei giorni, sarà impegnato giorno e notte a cucire le toppe ad una maggioranza sempre più lacerata, tra i tira e molla con i finiani e le minacce del Carroccio. “Se sono stati latitanti prima – presagiscono infatti le tute blu di Termini Imerese – figuriamoci che attenzione avranno ora per la nostra emergenza”.I viaggi di Sergio. Ma la cassa integrazione a singhiozzo riguarda un po’ tutti gli stabilimenti italiani. Lui, Sergio Marchionne, l’ad dell’azienda torinese, sale a bordo del suo elicottero per visitare all’alba la fabbrica di Cassino. Incontra gli operai, il direttore della struttura e poi riparte dopo nemmeno un’ora. Altro che una nuova gamma di prodotti credibili. La politica aziendale targata Marchionne passa in primo luogo dalle pubbliche relazioni dell’Amministratore delegato. Al Meeting, in fabbrica, negli Usa. Tutto va’ bene, purché se ne dia notizia.Le cifre del ‘disastro Italia’. “L’antropologia positiva” di Sacconi. Così mentre mezzo milione di posti di lavoro restano in bilico e centinaia di aziende della Penisola non rialzeranno mai, colpevole la crisi, le saracinesche abbassate per la pausa estiva, la prima brezza settembrina stimola le riflessioni del Ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. “Solo i lavoratori e le loro organizzazioni possono determinare quella produttività che garantisce il ritorno dell’investimento” vagheggia l’ex socialista dalla pagine del Corsera. Farfuglia una “antropologia positiva” che passa dalla formula “meno Stato e più società” sull’impronta, continua Sacconi, della “tradizione francescana”. Un pugno allo stomaco a fronte di un sistema produttivo, quello italiano, in piena fase di liquidazione, con oltre 650.mila dipendenti di aziende in crisi che nel futuro non scorgono altro che il baratro della disoccupazione. E non certo per colpa dei lavoratori stessi, 400mila dei quali a breve resteranno a spasso.Made in Italy. E’ strage dei grandi e piccoli marchi. Del “made in Italy”, un tempo sbandierato dagli “ottimisti” come il volto inossidabile del Bel Paese, non resta infatti che una distesa di carcasse dai nomi altisonanti. Fallisce la Itierre con i suoi marchi Just Cavalli, Galliano, C’N’C, Ferrè e i suoi 1.500 dipendenti. Al 30 giugno 2010, la posizione finanziaria del fallimentare Mariella Burani Fashion Group (1.500 dipendenti) è negativa per 358,611 milioni di euro. Gli effetti per le quattromila aziende fornitrici monocommittenti saranno immediatamente devastanti, con migliaia (fino a seimila) posti di lavoro che potrebbero saltare.Lo ‘scontrino’ della crisi. Pagano i lavoratori. E ancora c’è il dramma dei 350 della Nokia-Siemens, dei 700 della Ixfin di Caserta e dei 1.400 dipendenti della Ex-Jabil. Per quanto riguarda la Finmek, saranno in mille, divisi tra il Veneto, l’Abruzzo e la Campania a piangere le conseguenze di una crisi tutt’altro che alle spalle. 220 i lavoratori della Ritel di Rieti e 800 quelli della Micron ad Avezzano. Questo solo nel settore delle apparecchiature elettriche. Ma sono tanti i capitoli di questo libro dall’esito annunciato. C’è la chimica, con i 400 della Portovesme a Cagliari che rischiano lo stipendio, gli 800 della Ineos Vinyls in Veneto, Romagna e Sardegna, i 300 della Montefibre a Venezia, i 450 della Nuova Pansac veneta, i 200 della Basell a Terni, gli 80 della Krotongres a Crotone. C’è il settore degli elettrodomestici: i 4.000 della Merloni in Emilia, Umbria e Marche, i 500 della Electrolux in Veneto, i 150 della Riello a Lecco, i 150 della San Giorgio a La Spezia, i 900 della Siltal in Piemonte, Veneto e Campania, gli 800 della Indesit in Piemonte, Lombardia e Veneto. Una strage di posti di lavoro e di aziende che spazzerà il comparto dei cosiddetti “prodotti per la casa” in un sol colpo: rischiano il posto e lo stipendio i 120 della Cesame a Catania, i 550 della Nicoletti a Matera, i 450 della Saint Gobain a Savigliano in Piemonte, i 650 della Ideal Standard a Brescia e in Friuli, i 1500 della Natuzzi a Bari.A parte il caso Tirrenia, e i 3mila posti a rischio, ci sono poi i capitoli disastrosi sulla Firema, la Fervet, la Ferrosud e la Keller che sta chiudendo il sito produttivo in Sicilia senza dare garanzie per quello sardo. Ci sono i 450 lavoratori della Grimeca a Rovigo i 200 della Manuli, i 200 della Astigiana Ammortizzatori, i 400 della Rieter, i 250 della Sogefi, i 1200 della Oerlikon Graziano, i 200 della Cantieri Apuania, i 300 della Eaton, i 300 della Fincantieri di Castellammare di Stabia, i 500 della Atr. Tanti (troppi) numeri che forse possono confondere, ubriacare. Ma solo se presentati nella loro crudezza, quasi come uno scontrino del supermercato, rendono pienamente le dimensioni di una spesa troppo onerosa. Un prezzo che l’Italia non sarà in grado di pagare.Tommaso Vaccaro30 Agosto 2010www.dazebao.org