RACCONTI & OPINIONI

Lo squallido e tragico teatrino della politica, con la complicità dei grassi media e dell'insipienza del PD


La farsa politica e l’attacco sociale  E’ sconfortante la farsa della politica italiana, dominata dalle pulsioni di capibastone che calibrano opinioni e orientamenti sull’impronta delle proprie mutevoli convenienze. Dove le condizioni dei cittadini, il destino del Paese, il cosiddetto bene comune rappresentano l’ultima delle preoccupazioni. Lo spettacolo inverecondo è quotidianamente messo in scena sotto i nostri occhi: la maggioranza è politicamente in pezzi, ma si scompone e ricompone ogni 24 ore sotto la spinta degli interessi più diversi. Quello di Berlusconi, che teme ormai le elezioni perché vede approssimarsi la fine della sua stagione politica e il ripresentarsi - senza più poter contare su scudi protettivi - dell’incubo giudiziario. Quello di Fini, al dunque distaccatosi dalla melma del Popolo della libertà, ma a capo di una formazione fresca di battesimo e certo non pronta ad una prova elettorale. Quello dell’Udc, che oscilla come un pendolo fra la tentazione di sostituire al governo i transfughi di Fli e l’ipotesi di un governo di transizione. All’opposto, la Lega, che gioca in proprio le sue carte, convinta che dal voto non potrebbe che uscire rafforzata e con in mano la golden share del governo, con o senza l’uomo di Arcore. E’ una maionese impazzita. Ma le convulsioni del potere berlusconiano agonizzante sono assai pericolose. Perché intanto, sotto traccia, senza clamore, giungono in Parlamento i provvedimenti più gravi voluti dalla destra. Uno per tutti: il «collegato» alla legge finanziaria che vanifica il processo del lavoro, vincolando le decisioni del giudice non più alla legge o ai contratti collettivi, ma agli accordi privatamente sottoscritti da singoli imprenditori con singoli lavoratori, in uno stato di oggettiva soggezione di questi ultimi. E introducendo l’arbitrato come forma canonica, nei fatti coatta, di soluzione dei contenziosi di lavoro. Così, alle deroghe aziendali pattuite da Cisl e Uil con le associazioni imprenditoriali, si uniranno, ad abundatiam, quelle individuali. Il contratto collettivo, stretto dall’alto e dal basso in questa morsa, si estingue, trasformandosi in un privilegio corporativo destinato a sopravvivere in enclave sempre più ristrette. Poi arriverà il colpo di grazia: la discussione della proposta di legge con la quale il Pdl intende seppellire l’articolo 41 della Costituzione. Quello che subordina l’esercizio della libertà d’impresa alla tutela della sicurezza, della dignità, della libertà di chi lavora; quello che incardina, più di ogni altro, i principi fondamentali della Carta espressi dagli articoli 1 e 3. A spianare la strada a questo sbancamento formale della nostra democrazia, sta contribuendo in modo decisivo ciò che avviene nella concretezza dei rapporti sociali. La supremazia del capitale sul lavoro, attraverso l’annichilimento della contrattazione collettiva e del diritto di coalizione dei lavoratori, è oggi praticata sul campo. L’unilateralità del comando d’impresa - finalmente affrancata da fastidiosi intralci sindacali - imposta nel nome del superiore dogma della competitività, ha già ridisegnato la costituzione materiale del Paese, nella colpevole, acquiescente passività delle forze riformiste che hanno, semplicemente, scambiato per modernità la regressione a rapporti ottocenteschi. Il dichiarato interclassismo del Pd, esito conclusivo di un progressivo smottamento identitario, ha privato il lavoro di una rappresentanza politica e ha favorito lo sfaldamento di quella cultura solidalistica che per decenni è stata il cemento ideale delle organizzazioni del movimento operaio. Su questo poderoso vulnus occorre ragionare, perché la politica non continui a camminare sulle sabbie mobili dei partiti personali, dei capi e dei capetti che popolano la scena mediatica, ora da protagonisti, ora da comparse, chiedendo ai cittadini non già partecipazione, ma delega, non contributo progettuale, ma aprioristico consenso, in una torsione populistica e plebiscitaria che è diventata non l’espressione, ma la caricatura della democrazia. Su tre prioritari terreni è allora necessario puntare: la ripresa della lotta sociale, che ha nella mobilitazione promossa dalla Fiom il più maturo collante; una legge sulla rappresentanza sindacale che riconosca e sancisca la sovranità dei lavoratori, attraverso l’esercizio del voto, su ogni atto negoziale, impedendo a sindacati di comodo, privi di consenso maggioritario, di stipulare con le controparti accordi con efficacia generale; il varo di una legge elettorale che, ripristinando il criterio della rappresentanza proporzionale, spazzi via la mostruosa perversione in forza della quale una minoranza di consensi può dar luogo a schiaccianti maggioranze parlamentari. La rivitalizzazione di un processo democratico, il superamento del bipolarismo coatto, del populismo, della politica ridotta a disfida personale fra leaders più o meno carismatici, passa anche da qui. Dino Greco (Editoriale Liberazione del 12 sett 2010)