RACCONTI & OPINIONI

Luca Trada Comitato del coordinamento di associazioni, comitati locali, centri sociali, che si oppone a Expo Milano 2015


«C'è bisogno di giornali come il vostro che raccontano le lotte sui territori» Quella dell'Osservatorio No Expo è una realtà, oggi più che mai, al centro dell'attenzione di tutti i soggetti politici e sociali di Milano. Un po' perché, contro il "mostro Expo", è stata la prima opposizione ad attivarsi. Un po' perché, ora che Milano si avvicinano le elezioni amministrative, la sua capacità di fare inchiesta, denunciare le speculazioni e proporre alternative alla logica dei Grandi Eventi e delle Grandi Opere ha iniziato a bucare anche i media meno indipendenti. In questo panorama l'intervista a Luca Trada, uno dei portavoce del Comitato, non può che partire da una domanda "di scenario".La dipendenza dei media "mainstream" dal mondo dell'imprenditoria come sta caratterizzando l'informazione, cittadina e nazionale, sul tema di Expo 2015?Analizzando Expo 2015, il controllo dell'imprenditoria sull'informazione è ancor più diretto che in altre situazioni. In primis perché, se togliamo la Repubblica, le principali testate nazionali, da Il Sole 24 Ore al Corsera, hanno tutte sede a Milano e sono di proprietà, o vicine, a quei signori del mattone che tutto hanno puntato su Expo. Ora, però, i fatti di cronaca hanno costretto i media a superare la fase iniziale in cui sulle testate non c'era spazio per nulla che non fosse una spudorata apologia di Expo. Una fase in cui l'unica eccezione a questa opera apologetica sono stati i media riconducibili alla sinistra, dalle radio storiche come Radio Popolare a testate come Liberazione, Il Manifesto o Carta, le uniche che hanno avuto il coraggio, perché di coraggio si è trattato, di parlare "controcorrente".Parlando proprio di organi di stampa come Liberazione, il rischio di tagli ai contributi pubblici per l'editoria nasconde, dietro motivazioni economiche, l'obiettivo di eliminare il pluralismo dell'informazione. Vista da un punto di vista di "lotta territoriale", come giudichi questa situazione?E' chiaro che l'intento di togliere il finanziamento pubblico a una serie di testate, locali o nazionali, a "gestione dal basso" come Liberazione è strettamente funzionale a chi vuole l'instaurarsi di un pensiero unico, o al massimo bipolare, dove tutto passa sottosilenzio o viene edulcorato, se non mistificato. Così, l'unico "diritto" che resta ai cittadini, ogni "tot" anni, è di decidere a quale candidato, calato dall'alto, dare il proprio voto. In fondo, un paese pacificato richiede una stampa che non agiti troppo le acque. Una stampa controllata e controllabile.Ovviamente, però, la crisi in cui versano i mezzi di informazione della sinistra non può essere imputata soltanto al taglio dei contributi pubblici.L'editoria di sinistra sta pagando una doppia crisi: quella della sinistra e quella dell'editoria. Purtroppo, in questo scenario di frammentazione, della sinistra e dell'editoria di sinistra, ognuno ha sentito la necessità di diventare giornale di semplice cronaca politica nel senso tradizionale del termine. Ciò che invece i territori, gli attivisti, i militanti cercano in una stampa di sinistra non è una voce fuori dal coro che suoni sulle stesse note ma una informazione diametralmente diversa, opposta, che racconti quello che accade sul territorio. Purtroppo, a movimenti e realtà sociali è venuta a mancare, negli scorsi anni, questa sponda. Nelle cronache di quel che è oggi la stampa di sinistra, a parte qualche eccezione, le voci locali sono sempre meno presenti e tutto è ricondotto alla cosiddetta "politica del potere".Credi che questo distacco abbia influito sul fatto che, riferendosi agli organi di stampa "di potere", per far si che territori o i movimenti facciano notizia è necessario lo scontro di piazza o il gesto "violento"? In fondo, prima delle manifestazioni di questi giorni, l'emergenza rifiuti in Campania era scomparsa da tutti i giornali nazionali, salvo tornarci perché qualcuno incendia un camion dei rifiuti. Eppure l'emergenza in questi mesi non si è di certo fermata.Questo è quello che accade ormai da 15 anni a questa parte: l'esempio principe è la vicenda zapatista. L'Ezln, il Chiapas, il subcomandante Marcos erano sulla bocca di tutti e su tutti i giornali finché si poteva raccontare di scontri armati e di uno scenario di guerra. Ora che la guerra, in Chiapas, è a "bassa intensità" e gli scontri armati si sono trasformati in vere e proprie aggressioni alle popolazioni, ora che il lavoro degli zapatisti è meno scenografico ma quotidiano, non di liberazione ma di autogoverno dei territori liberati, sembra che lì non ci sia più niente. Nel piccolo, questo accade anche per i movimenti nostrani: finché la mobilitazione è di piazza e c'è il rischio di scontri dove, magari, si può anche additare il cattivo di turno, c'è la notizia. Ma quando si tratta di lavoro quotidiano, di costruzione di coscienza e di sapere, non c'è la notizia eclatante e quindi, di quel territorio, si smette di parlare. Ecco, oggi più che mai è necessario, in questo scenario di crisi, raccontare e narrare il lavoro e l'impegno di chi, ogni giorno, cerca di mettersi di traverso a questo modello di società. E' questo quello che mi aspetto da un quotidiano come Liberazione. Perché è così, continuando a raccontare ciò che si muove "in basso", che si può ricostruire un consenso di opinione, di idee, di voglia di partecipare.Daniele Nalbone25/09/2010leggi www.liberazione.it