RACCONTI & OPINIONI

Giornata europea contro la tratta degli esseri umani. Il monitoraggio presentato da Gruppo Abele di Don Ciotti


Uomini soli tra 20 e 40 anni: l'identikit dei lavoratori sfruttati   Giovani, tra i 20 e i 40 anni, in prevalenza uomini celibi o coniugati, ma senza famiglia al seguito, provenienti da Est Europa, Africa, Cina e America Latina. È l’identikit dei migranti vittime di tratta e sfruttamento a scopo lavorativo in Italia secondo il monitoraggio presentato oggi dall’associazione Gruppo Abele. “La vita delle persone non si vende e non si compra – ha affermato don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione in apertura al seminario su sfruttamento lavorativo e lavoro nero organizzato a Torino dallo sportello giuridico Inti dell’associazione Gruppo Abele in collaborazione con Asgi e Caritas Italiana – e non può chiamarsi civile una società in cui non si producono le condizioni perché la vita sia rispettata. Lo sfruttamento crea ingiustizia e insicurezza sociale e non può esservi vero benessere per nessuno finché questo poggia sulla riduzione dell’altro a strumento di vantaggio per fini economici”.  Nel gennaio 2010 la rivolta di Rosarno ha portato alla ribalta della cronaca le condizioni di degrado che da anni vivono nel sud Italia i braccianti agricoli immigrati. Arrivati in Italia per intermediazione di caporali, a cui devono una parte del loro futuro guadagno oltre a una cifra iniziale con cui “comprano” un contratto di lavoro che non verrà mai effettivamente stipulato. Si ritrovano a lavorare per 10-15 ore al giorno percependo un compenso in nero di 20-30 euro per la raccolta di frutta e verdura. Nessuna misura di sicurezza, nessuna copertura assicurativa, vitto e alloggio assicurato in condizioni igieniche spesso fatiscenti dallo stesso datore di lavoro, che in questo modo si guadagna la “riconoscenza” oltre che la totale dipendenza del lavoratore. Oltre che nel settore agricolo, più presente al Sud, lo sfruttamento lavorativo colpisce anche nei settori dell’edilizia e della cura delle persone: “Molte badanti o lavoratrici domestiche – ha spiegato Alessandra D’Angelo per lo Sportello Giuridico Inti - percepiscono compensi in linea con i parametri salariali previsti dai contratti italiani, ma vengono pagate in nero, restando così prive del permesso di soggiorno e spesso vivono nella casa presso cui prestano servizio. Anche per loro, come per molti braccianti, perdere il lavoro significa anche perdere la casa in cui vivere e questo compromette la capacità contrattuale del lavoratore”.  Invisibili, privi di legami sociali e sanitari, i migranti sfruttati lavorativamente finiscono spesso per essere intercettati dalle forze dell’ordine ed espulsi come “clandestini”, perché non vi sono strumenti e competenze sufficienti per riconoscere e assistere le vittime della tratta a livello lavorativo: “In Italia esiste un sistema normativo riconosciuto a livello internazionale a sostegno delle vittime di tratta che persegue gli sfruttatori – spiega Oliviero Forti per Caritas Immigrazione -. Ma le risposte in quest’ambito si sono indirizzate quasi esclusivamente verso la forma più evidente e raggiungibile dello sfruttamento, quello per fini sessuali. Per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, a fronte di un dilagare del fenomeno nel nostro Paese, non sono stati rivisti e attualizzati gli strumenti giuridici che avrebbero dovuto aiutare le vittime”. L’articolo 18 del Testo Unico per l’Immigrazione prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari nel caso si ravvisino condizioni di grave sfruttamento e il pericolo di subire violenza per la vittima o i suoi familiari. Una norma che consentirebbe ai lavoratori stranieri sfruttati di poter ricostruire un progetto migratorio, eppure, come ha sottolineato l’avvocato dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Lorenzo Trucco: “Sono ancora pochi i casi di applicazione dell’articolo 18 per persone vittime di sfruttamento lavorativo, perché a differenza dei casi di sfruttamento a fini sessuale, è più difficile dimostrare tramite indagine la presenza del reato di sfruttamento lavorativo”.  In pochi denunciano gli sfruttatori, per paura e perché non ravvisano l’utilità che potrebbe scaturire dall’avvio di una vertenza nei confronti dei datori di lavoro: “Nel fare vertenza la persona migrante, a cui pure lo Stato garantisce la tutela in caso di sfruttamento lavorativo – ha sottolineato l’avvocato Marco Paggi (Asgi) - teme di poter essere successivamente espulso e per questo rinuncia ai propri diritti e accetta le condizioni di lavoro dettate dallo sfruttatore. La paura è cresciuta con l’emanazione del cosiddetto pacchetto sicurezza – prosegue – che prevede l’espulsione obbligatoria degli immigrati non in regola con il permesso di soggiorno”.  I migranti sfruttati svolgono un’attività lavorativa e vorrebbero essere messi in regola, invece “i loro diritti sono sempre più compromessi da una normativa in materia di immigrazione che li confina nella clandestinità – ha spiegato Ornella Obert per lo sportello Inti - e nell’impossibilità di far valere i diritti che sarebbero di tutti i lavoratori”.  Le associazioni e gli enti che operano per la tutela delle persone vittime di tratta e sfruttamento lavorativo guardano con fiducia al recepimento della direttiva europea che introduce sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e che apre delle possibilità di regolarizzazione per i lavoratori presenti in modo irregolare sul territorio (direttiva 2009/52/Ce): “Con questo ultimo strumento – spiega Paggi – pensato appositamente per lo sfruttamento lavorativo e il lavoro nero, assieme ad una corretta applicazione delle norme vigenti in Italia, la tutela dei diritti dei lavoratori stranieri potrebbe fare un considerevole passo in avanti”.  19/10/2010redattoresociale.it