RACCONTI & OPINIONI

La “nuova” destra di Fini e l’ultima spallata a Berlusconi, finita la commedia? Interno o esterno ma sempre con il ducetto


L'OMBRA DELLA CRISIPerfetto. Non c’è che dire. Il battesimo della nuova formazione di destra “Futuro e libertà per l’Italia” è non solo l’atto di fondazione di un partito nazionalista, ma di un luogo dove la politica sembra tornare quella di un tempo (“Ho rimpianto – dice Fini – e credo che anche gli italiani lo abbiamo, del rigore, dello stile, del comportamento come Moro, Berlinguer, Almirante, La Malfa: la prima Repubblica era anche in queste personalità che non si sarebbero mai permesse di trovare ridicole giustificazioni a ciò che non può essere giustificato“), quella dove si celebravano veramente i congressi e dove i predellini delle automobili ancora non erano divenuti l’alzabandiera del leader di turno.Gianfranco Fini si muove benissimo nella partita a scacchi che sta giocando con il Cavaliere nero di Arcore: riadeguare la propria politica a quelli che sono gli standard costituzionali è già una mossa vincente e lo diviene ancora di più quando, come corollario un po’ avvelenato, si mettono intorno le frasi ad effetto che scuotono gli oltre seimila delegati presenti all’assise umbra del nuovo partito finiano. Il dramma è sempre quello del “cerino acceso”: nessuno vuole bruciarsi le dita e quindi Berlusconi manda a dire a Fini, a stretto giro di posta, che lui di dimettersi da capo del governo non ne ha nessuna intenzione e che, se vogliono farlo dimettere, in pratica lo devono sfiduciare in Parlamento.Fin qui la cronaca dei fatti. Venendo, invece, ad una analisi politica, è bene evidenziare subito che non siamo innanzi ad un mero divorzio alla “C’eravamo tanto amati” (programma che il deputato Luca Barbareschi un tempo conduceva su Retequattro…): siamo ad un riposizionamento degli equilibri politici verso i ceti sociali di riferimento, verso la ricerca della sintonia rinnovata con Confindustria e con, in special modo, le parole della signora Marcegaglia, da qualche mese in aperta guerra col presidente del Consiglio.Il sommovimento tellurico della politica italiana è lo sfondo da cui partire per comprendere meglio tutti gli attori in scena e le loro battute. Platealmente, è proprio il caso di dirlo, Fini dice senza mezzi termini: “Berlusconi si dimetta, salga al Colle e apra crisi. Senza questo colpo d’ala la nostra delegazione non rimarrà un’ora in più al governo“. Non significa che Futuro e Libertà toglierà il sostegno all’attuale governo, ma solamente che non ne farà più parte. Quindi un restringimento dei cordoni di tenuta dell’esecutivo che sarà costretto o ad un rimpasto molto consistente della sua compagine o alle dimissioni in blocco, con il mandato in mano al Capo dello Stato.Tutto si muove in un perfetto ambito di dialettica politica, senza minacce o senza venature dal tratteggio punzecchiante: ancora una volta il presidente della Camera gioca d’anticipo e mostra all’imprenditoria italiana, al Vaticano e a quanti guardano a lui come “speranza” di una nuova destra liberale di essere il loro futuro naturale interlocutore. L’autunno di Berlusconi, insomma, sembra cominciato; quello del berlusconismo invece non si intravvede ancora.Il rischio è che si cada nel tranello di considerare Fini e Bocchino come due rinsaviti progressisti del centrodestra, mentre niente altro più rappresentano se non una compagine di destra che ha deciso di cambiare rotta e di prendere le distanze da quel presidente del Consiglio in disgrazia e prossimo al precipiare rovinoso suo e del carrozzone pidiellino.In questo frangente di cose, la prima proposta che avanza Futuro e Libertà è, ovviamente, un nuovo governo libero dal guinzaglio leghista, dall’impronta di Bossi e del suo falso federalismo, nonchè dai metodi troppo gretti e brutali per far passare anche tra i moderati concetti di destra che altrimenti non attecchirebbero. E’ vero che i deputati e i senatori di Futuro e Libertà si mostrano leali a Fini anche sul profilo culturale: biasimano il Lodo Alfano se rivolto alla figura del solo premier; criticano le politiche sui migranti (salvo dimenticare che esiste una legge denominata “Bossi – Fini”…); difendono la magistratura come ente autonomo e indipendente dal governo e assumo il rispetto delle istituzioni come elemento base dello sviluppo di una nuova politica di destra, non più incentrata sulla figura carismatica e assoluta del leader (ancora, Fini proclama in Umbria: “Non vi farò mai cantare ‘Meno male che Gianfranco c’è!’“); si esprimono nel manifesto fondativo a sostegno di tutte le differenze e a protezione dei diritti civili di chiunque, senza distinzione alcuna. E’ tutto vero. E’ altresì vero che, da “laico”, Fini cita il pontefice quando richiama all’attenzione della platea la moralità in politica e della politica. Un colpo al cerchio e uno alla botte. In fondo, se si vuole fondare una nuova destra liberale bisogna stare attenti alle sfumature e alle forme con cui ci si esprime e si promette. Sin da ora. Alla fine rinasce il trittico “Dio, Patria e Impresa” come programma massimo a cui legale le sorti della nuova formazione finiana. Laddove Dio comprende laici e cattolici, famiglie un po’ di fatto e un po’ tradizionali (se così le si possono definire…); laddove la Patria è e resta sacra e inviolabile qualunque cosa faccia: missioni di pace – guerra comprese, è ovvio!; laddove l’Impresa, con la “I maiuscola, è il prosieguo naturale del terreno politico e lì si fonda il prolungamento antisociale che viene mostrato invece come benefico per la società: solo dal profitto viene la ricchezza di tutti. Peccato sia una favola antica, smentita e dimostratamente infondata, ma sempre accarezzata dai liberisti di ogni età.E’ facile fare il moderato accanto a Berlusconi e a Bossi. In vent’anni di crescita di populismo, xenofobia e neo-autoritarismo, le parole del presidente della Camera, il manifesto del suo nuovo partito sembrano una boccata di ossigeno nella putrida palude di PDL e Lega Nord. Abbiamo davanti, forse per la prima volta, una destra che afferma di voler essere “democratica”, di volersi attenere scrupolosamente al dettato costituzionale, di voler rispettare tutti i poteri della Repubblica. E’ già qualcosa. Ma nessuno a sinistra, o nel centrosinistra, scambi questa fase come un elemento di novità tale da considerare ipotesi di alleanze con Fini e i suoi. Qualcuno tenterà di farlo. E poi, i “futuristi” sono già pronti al voto ma, a chi glielo chiede, dicono di non volerlo. E passano la palla a Berlusconi che, per ora, resta col cerino acceso in mano. E si sa… il legno prima o poi si consuma… Ma la memoria nostra resta: Fini, nel 2001 (ben dopo i lavacri di Fiuggi…), a Genova dov’era? Chi se lo ricorda…? Marco Sferini 8 Novembre 2010