RACCONTI & OPINIONI

Leggi "per le donne" in Unione europea: tra le migliori nessuna italiana


 Famiglie e donne. Italia nel MedioevoLe migliori leggi attualmente in vigore per le donne in Europa sono quattordici, ma nessuna è italiana. Sono normative che riguardano gli ambiti vicini al secondo sesso: la scelta di procreare, il diritto di famiglia, la lotta alla violenza, il lavoro e la politica. L'avvocata femminista francese Gisèle Halimi vorrebbe che l'Unione europea adottasse una "clausola" affinché ogni cittadina possa beneficiare della legislazione più progressista esistente. In questo modo verrebbero multati i clienti delle prostitute come succede in Svezia; violentare la propria moglie o compagna diventerebbe un aggravante come in Francia; divorziare e difendersi da un compagno violento sarebbe più semplice come in Spagna e sarebbe ovvio farsi eleggere in parlamento grazie alle quota rosa come in Belgio, dove le liste dei partiti che sgarrano vengono stracciate e dove, peraltro, esiste la migliore normativa sulle coppie di fatto.La proposta di Halimi è tanto più suggestiva e quasi struggente se paragonata alle parole del ministro Maurizio Sacconi che, all'apertura della Conferenza della famiglia a Milano, ripropone il modello famigliare arcaico e vaticano escludendo le famiglie allargate, omosessuali, monoparentali, con o senza figli. L'Italia è l'unico Paese europeo dove i Pacs sono letteralmente fuori della discussione politica. E' l'unico Paese dove è concepibile la legge 40 e dove le donne faticano a trovare un lavoro in quanto donne e fanno pochissimi figli.  La legge migliore sul matrimonio è austriaca, la migliore sul divorzio è spagnola, sullo stupro è francese e sull'autorità parentale è estone. Francese doveva essere anche la migliore legislazione sul lavoro femminile, ma dopo la riforma pensionistica di Sarkozy lo scettro è passato al Belgio. E' soltanto una parte del bouquet delle migliori normative per le donne che l'associazione femminista francese Choisir, fondata da Simone de Beauvoir nel 1971, ha raccolto per chiedere all'Unione europea di inserire una "clausola" affinché ogni cittadina di qualsiasi nazionalità possa beneficiare della legge più progressista in vigore, anche se approvata in uno Stato diverso da quello di residenza, negli ambiti che riguardano da vicino il secondo sesso: procreazione, diritto di famiglia, lotta alla violenza, lavoro e politica.Della cosiddetta clausola si occupa a tempo pieno l'avvocata femminista Gisèle Halimi, promotrice di Choisir, impegnata da tempo a convincere Commissione europea, Parlamento europeo e singoli deputati e deputate della bontà del suo progetto e che ieri, alla Casa Internazionale delle Donne, ha voluto incontrare alcuni europarlamentari italiani. Nella lista delle quattordici leggi più favorevoli per le donne non figura l'Italia, che anzi negli ultimi tempi ha partorito norme arretrate come quella sulla fecondazione assistita dove compare addirittura l'embrione come soggetto giuridico in contrapposizione con il diritto della madre. Per non parlare delle donne in politica: erano il 10% fino al 2008, oggi sono circa il 20% tra Camera e Senato ma, come accusa la giornalista Chiara Valentini, «sono scelte dal presidente del Consiglio con metodi che ci umiliano».Il medioevo italiano è ancora più tetro se confrontato con i diritti garantiti altrove: la migliore legge sull'aborto è svedese perché non chiede motivazioni alla donna che vuole l'interruzione volontaria di gravidanza e garantisce gratuitamente la pillola abortiva; nell'ambito della rappresentanza paritaria in politica le più fortunate sono le donne belghe: se le liste dei candidati non rispettano le quote rosa vengono semplicemente cassate. La Lituania invece figura come la nazione dove la lotta alle molestie è più efficace, mentre sulla prostituzione è ancora la Svezia sul podio con una norma che punisce il cliente e mira alla scomparsa del sesso a pagamento. In realtà l'Italia per anni è stata un modello avanzato sul lavoro femminile, con il divieto di licenziamento durante la maternità e fino al primo anno del bambino, e undici mesi totali di astensione (cinque obbligatori, sei facoltativi). Il problema sorge quando i datori di lavoro preferiscono non assumere donne per non farsi carico dei periodi di maternità.Gisèle Halimi è madre della legge francese sulla violenza sessuale, anche questa inserita nella lista della clausola, nata dopo il famoso processo di Bobigny (1972). La legge francese prevede un aggravante se lo stupratore è coniuge o famigliare della vittima, e garantisce processi a porte chiuse se richiesti.L'idea della clausola, ha sottolineato Halimi in un incontro pubblico a La Sapienza, «è frutto di una precisa volontà politica». In realtà si scontra con la sua fattibilità giuridica, visto che alcune aree come la procreazione e il diritto alla vita non sono competenza dell'Unione. Uno dei mezzi possibili è spingere la Commissione a produrre un libro bianco sull'argomento e creare una discussione con votazione all'Europarlamento, oppure ricorrere al referendum di iniziativa popolare per il quale occorrerebbe soltanto un milione di firme: «L'Europa conta 255 milioni di cittadine. La loro libertà è anche la libertà degli uomini, anche loro possono impegnarsi in questa battaglia».Finora la suggestiva clausola è stata adottata dal parlamento francese nel febbraio 2010 e dal senato belga. Il Consiglio d'Europa, in maniera assolutamente bipartisan, la sta prendendo in considerazione. Una lunga strada, ma Halimi è convinta che «tutto è possibile se c'è volontà politica». Laura Eudati09/11/2010Leggi www.liberazione.it